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Tasse universitarie: risposta a Sylos

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Tra le affermazioni di Francesco Sylos Labini nel suo ultimo intervento, la più sorprendente è quella in cui mi domanda "Quale indagine mostrerebbe che i ricchi vanno all’università più dei poveri?" Questa sua domanda richiede una risposta, in attesa che altri vogliano intervenire in questo dibattito per non limitarlo ad uno sterile scambio bilaterale.

"Quale indagine mostrerebbe che i ricchi vanno all’università più dei poveri?"

Deve esserci un equivoco perché la mole di ricerche internazionali che mostrano l'impatto del background familiare sulle scelte d'istruzione è enorme e generalmente ben nota. Il dato Almalaurea citato da Francesco mi induce a pensare che lui confonda la distribuzione della ricchezza familiare tra gli iscritti all'università, con la probabilità di iscriversi all'università data una certa ricchezza familiare: questi due concetti statistici sono in relazione tra loro (Teorema di Bayes), ma solo il secondo è quello rilevante ai nostri fini.

Visto che Francesco mi accusa di usare esempi "confusi" e con numeri inventati, provo ad usare un minimo di notazione matematica abbinata alla spiegazione intuitiva e a dati reali (chi non è interessato ai simboli può comunque seguire le parole).

Innanzitutto assumiamo, seguendo Francesco, che "la ricchezza delle famiglie sia proporzionale al grado d’istruzione" e quindi che la laurea dei genitori sia un indicatore (binario) di maggiore ricchezza della famiglia d'origine. Ha ragione Francesco a dire che in linea di principio è una ipotesi da verificare, ma almeno in prima approssimazione è un ipotesi ragionevole e largamente supportata nella letteratura.[1]

Definiamo quindi con:

  • L=1: figlio laureato
  • L=0: figlio non laureato
  • Y=1: genitori laureati e quindi "famiglia ricca"
  • Y=0: genitori non laureati e quindi "famiglia povera"

I dati Almalaurea dicono che tra i figli che si laureano la frequenza di genitori non laureati ("povertà") è maggiore della frequenza di genitori laureati ("ricchezza"). Ossia:

72% = Pr(Y=0|L=1) > Pr(Y=1|L=1) = 28%

Francesco conclude quindi che tra i laureati italiani ci sono più poveri che ricchi e per questo la mia affermazione è falsa. Dimentica però di guardare a come la ricchezza familiare è distribuita nel gruppo dei figli che non si laureano (L=0). Questa informazione non è contenuta nei dati Almalaurea che si riferiscono evidentemente ai soli laureati. Supponiamo ad esempio che accada questo (ed è la realtà del caso italiano[2]):

93% = Pr(Y=0|L=0) >> Pr(Y=1|L=0) = 7%

ossia che tra i non laureati la frequenza di “famiglie povere” sia addirittura pari al 93% e quindi molto maggiore che tra i laureati (72%). Quindi le “famiglie relativamente povere” (secondo questa definizione) sono tante in generale e sono relativamente più frequenti tra coloro che non si laureano. L'immagine che ora si trae dai due dati congiunti (1) e (2) comincia ad apparire diversa da quella che Francesco vuole far trasparire usando solo il primo. I due risultati sono infatti possibili solo se la probabilità di laurearsi di un figlio, condizionatamente alla ricchezza del padre, è inferiore quando il padre è povero. Ossia il confronto statistico che deve interessare è quello tra:

Pr(L=1|Y=0)   e   Pr(L=1|Y=1)

In altre parole dobbiamo chiederci se la probabilità di laurearsi del figlio di un povero sia maggiore o minore della probabilità di laurearsi del figlio di un ricco.[3]

Vediamo allora i dati rilevanti per questo confronto, iniziando da quelli per Italia e USA che ho analizzato con Daniele Checchi e Aldo Rustichini[4]: l'evidenza dice, ad esempio, che " ... the odds of obtaining a college degree in Italy are almost 25 times higher if the father has a college degree, while in the US having a graduate father increases the odds only by 6 times. Hence, both countries do not ensure a situation of equal opportunities in the transitions between education levels, but Italy appears to be more distant than the US from such a situation."[5] Incidentalmente, l'articolo mostra anche che la mobilità sociale è maggiore in USA (fatto, immagino, sorprendentemente per Francesco), dove il sistema scolastico è largamente privato e andare all'università costa molto.

Ma forse Francesco non si fida dei miei conti e delle leggi della statistica. Può allora scaricarsi direttamente i dati dell'Indagine della Banca d'Italia sui Bilanci delle Famiglie Italiane (http://www.bancaditalia.it/statistiche/indcamp/bilfait), che è un’indagine campionaria rappresentativa, mentre tra l'altro i dati Almalurea soffrono di un tasso di non risposta probabilmente maggiore tra i laureati con carriere professionali migliori e quindi distorsivo per le analisi rilevanti in questa sede.

Con questi dati potrà verificare autonomamente che, ad esempio, i contribuenti con reddito (lordo) entro i 40000 euro (che possiamo considerare relativamente "poveri") sono circa il 90% del totale dei contribuenti, ma sono solo il 25% di coloro che hanno figli all’università. L'ipotesi del mio esempio numerico incautamente ridicolizzata da Francesco (su 4 studenti universitari uno povero) non è troppo lontana da questi numeri, tenendo conto anche della ovvia necessità di semplificazione di un esempio.

Più recentemente, il già citato articolo di Checchi, Fiorio e Leonardi, usando i dati Banca d'Italia, conclude che "... there is still a persistent difference in the odds of attaining a college degree between children of college educated parents and children of parents with lower secondary educational attainment."

Infine, e tralasciando di citare l'analoga evidenza internazionale, Francesco può anche consultare i numerosi libri di Antonio Schizzerotto, (ad esempio, Sociologia dell'Istruzione, Il Mulino 2006, con Carlo Barone).

Francesco Sylos Labini mi dice che "Invece di presentare modelli fondati su ipotesi irrealistiche e numeri inventati, tra l’altro con risultati piuttosto confusi, bisognerebbe analizzare la realtà." Lascio al lettore giudicare chi sia più vicino alla realtà

"Progressività della fiscalità generale e regressività del finanziamento universitario"

Assumendo che ora possiamo tutti finalmente concordare sul fatto che, a meno di ingegnose definizioni di povertà e ricchezza relative, i "poveri" usufruiscono dell'educazione terziaria relativamente meno dei "ricchi", la seconda questione su cui Francesco Sylos Labini mi invita ancora a fornire spiegazioni è la questione di chi finanzia gli studenti universitari. Anche in questo caso, se gli esempi simulati non bastano, provo a rispondere con i numeri dell'indagine Banca d'Italia e con i dati del Ministero delle Finanze:[6]

  • Il 25% più povero delle famiglie che hanno almeno un figlio all’università ha un reddito (lordo) inferiore o uguale a 40000 euro; il secondo 25% ha un reddito compreso tra 40000 e 65000 euro; il terzo 25% tra 65000 e 97000; l’ultimo 25% superiore a 97000 (i dati vengono dall’indagine Banca d'Italia del 2008).
  • Guardando ora ai dati del Dipartimento delle Finanze per lo stesso anno, i contribuenti con reddito entro i 40000 euro pagano il 54% del gettito IRPEF netto; quelli con reddito tra 40000 e 65000 ne pagano il 16%; quelli con reddito tra 65000 e 97000 ne pagano il 12%; quelli con reddito superiore a 97000 ne pagano il restante 18%

Quindi[7]:

  • le famiglie più povere con figli all’università (ossia quelle con reddito inferiore ai 40000 euro) usufruiscono del 25% dei 7 miliardi del Fondo di Finanziamento Ordinario (circa 1,75 miliardi) ma li finanziano per il 54% (circa 3.8 miliardi): trasferiscono quindi implicitamente 2 miliardi alle famiglie con reddito superiore ai 40000 euro.
  • il successivo 25% delle famiglie (quelle con redditi tra 40000 e 65000), riceve un altro 25% del FFO e lo paga per il 16%: ne ricavano un trasferimento netto a loro favore pari a circa 600 milioni; il successivo 25% riceve poco meno di un miliardo, e l’ultimo 25% riceve circa mezzo miliardo.
  • Ovviamente il finanziamento del FFO viene anche da altre imposte, che qui non si considerano. Ma a meno che queste non siano più progressive dell’imposta sui redditi (e non lo sono), l’argomento risulta semmai rafforzato.

Spero quindi che anche su questo punto si possa finalmente archiviare la questione. Ossia è comunque vero (e quasi lapalissiano) che se aggiungiamo una componente regressiva in qualsiasi sistema fiscale, riduciamo la progressività pre-esistente di quel sistema fiscale, quale che essa sia. Se la progressività preesistente è quella considerata equa dalla Costituzione, vuol dire che è quella che rende a ciascuno il suo. Il modo in cui in Italia finanziamo l'università (e lo stesso vale per i numerosi altri paesi che fanno altrettanto) implica togliere ai poveri ciò che la progressività voluta dalla Costituzione vorrebbe che loro legittimamente avessero.

"Debito pubblico ed evasione fiscale"

Su questo punto esiste un'evidente e legittima divergenza di posizioni tra Francesco e me, che non è possibile sanare in quanto non dipende da fatti ma dalle nostre rispettive preferenze. In altre parole, sia io che Francesco concordiamo sul ridurre le spese inutili della pubblica amministrazione (ad esempio gli aerei da caccia) e combattere seriamente l'evasione fiscale. Ma qui le strade si dividono. Io darò l'appoggio ai politici che vorranno utilizzare questi risparmi per ridurre lo stock di debito pubblico. Francesco a quelli che invece vorranno aumentare la spesa universitaria (contendendo i risparmi a sanità, giustizia, servizi sociali ...). Vedremo che cosa diranno gli elettori.

In ogni caso Francesco Sylos Labini fa un'operazione scorretta confrontando variabili stock come il debito (2000 mld,) e variabili flusso come la spesa universitaria, (7 mld ).

"La proposta di Ichino non “consiste affatto nel far pagare l'università di più ai ricchi (quelli di oggi subito e quelli di domani in modo differito) e di farla pagare di meno ai poveri”."

Se capisco bene quello che Francesco vuol dire, con la mia proposta il ricco avrebbe un vantaggio rispetto al povero perché il ricco non ha vincoli di liquidità, ha risorse in eccesso, non è costretto ad indebitarsi e il valore marginale del reddito è per lui inferiore. Per il povero è vero il contrario. Concordo pienamente, ma attenzione: il vantaggio per il ricco non deriva dalla mia proposta, ma dal fatto che è ricco in partenza. Ossia quale che sia l'intervento che preferiamo (borse, prestiti o finanziamenti a pioggia) rimane il fatto che il ricco non ne avrebbe bisogno. Proprio per ovviare a questo la mia proposta facilita i poveri consentendo la possibilità di:

  • Alzare le tasse universitarie per i ricchi anche al di sopra del costo del servizio da loro utilizzato, realizzando così anche nell'ambito ristretto del finanziamento universitario la progressività voluta dalla Costituzione (come già spiegato sopra il finanziamento basato sulla fiscalità generale preferito da Francesco, riduce, invece, la progressività totale).
  • Offrire prestiti che possono benissimo essere agevolati in misura fortemente maggiore per i meno abbienti; le borse di studio a fondo perduto sono la versione estrema di un prestito di questo tipo; ma i prestiti consentono una gamma di modulazioni molto più flessibile e generano meno sprechi.
  • Offrire prestiti che devono essere ripagati solo in proporzione al reddito, e quindi non generano "l'ansia della rata fissa da pagare" a tutti i costi; la percentuale di restituzione può di nuovo essere modulata in modo da favorire anche fortemente i meno abbienti.
  • Offrire prestiti che non devono essere ripagati sotto una soglia di reddito post laurea da stabilire, favorendo quindi la mobilità sociale in misura tanto maggiore quanto più alta è questa soglia.

L'effetto combinato di queste caratteristiche della proposta, può quindi implicare un forte trasferimento pubblico a favore dei meno abbienti per frequentare l'università. Farlo o non farlo dipende dalle preferenze della collettività: ma il mio strumento lo consente. Invito quindi Francesco e i lettori a distinguere tra il giudizio tecnico sullo strumento proposto e il giudizio su come può essere utilizzato nelle sue diverse modulazioni a seconda delle preferenze politiche della collettività.

Rimane ovviamente vero che le famiglie abbienti non hanno bisogno di prestiti perché sono ricche. Ma cosa c'entra questo con il giudizio sulla mia proposta? Il fatto che esistano ricchi e poveri dobbiamo prenderlo per dato, almeno nell'attuale situazione. Proprio partendo da questo dato di fatto, la mia proposta consentirebbe di favorire un maggiore accesso dei poveri all'istruzione terziaria rispetto alla situazione attuale e quindi di ridurre la disuguaglianza e incrementare la mobilità sociale.

"Altre questioni"

Le altre questioni toccate da Francesco sono in larga parte tangenziali rispetto alla mia proposta.

È vero: in Italia le tasse universitarie non sono zero, ma sono ridicolmente basse rispetto ai costi di erogazione del servizio. Dire che per questo in Italia si va all'università praticamente gratis mi sembra un'approssimazione non insensata. Però accetto la critica: un piccolo costo in termini di tasse universitarie c'è e avrei dovuto essere più preciso. D'altro canto Francesco ammetta che una differenziazione in fasce di reddito come quelle da lui citate (da 300 a 1500 ad esempio) implica un costo ridicolo per una famiglia abbiente. Continuo a non capire perché Francesco (e chi la pensa come lui) trovi accettabile che ad esempio un professore ordinario come me possa mandare i suoi figli all'università spendendo solo poco più di 2000 euro di tasse universitarie all'anno.

Inoltre la mia proposta tiene in considerazione il fatto che dobbiamo finanziare anche le spese di alloggio e trasferimento degli studenti: anche per queste spese potrebbe essere chiesto il prestito.

Infine, inutile discutere di qualità del sistema universitario, o specificamente della Bocconi: abbiamo opinioni diverse e usiamo unità di misura differenti. E poi entrambi i nostri interventi hanno confuso didattica e ricerca, valutazione generale e field specific.

Rimane invece il fatto che quale che sia il livello attuale dell'università italiana si possono migliorare le cose e a questo aspira la mia proposta.

A questo punto, ad altri la parola.



[1] Vedi ad esempio, limitandosi solo all'evidenza italiana più recente: Checchi, Fiorio e Leonardi (2011), "Intergenerational persistence of educational attainment in Italy", IZA Working Paper 3622, http://www.iza.org/en/webcontent/publications/papers/searchResults.

Mentre dati precisi sulla ricchezza sono meno diffusi e quindi la relazione tra istruzione e ricchezza è stata meno frequentemente stimata, la relazione tra istruzione e reddito da lavoro è forse la relazione maggiormente studiata da economisti e sociologi. Qualsiasi manuale di economia del lavoro riporta rassegne di studi per ogni paese del mondo che confermano una relazione positiva e statisticamente molto significativa: nei paesi avanzati, mediamente, un anno di istruzione è associato ad un aumento del reddito da lavoro pari a circa il 6-8% (vedi, ad esempio, Brucchi Luchino. "Manuale di Economia del Lavoro", Il Mulino).

[2] Il dato non è inventato, ma è tratto da Checchi, Ichino e Rustichini (1999), "More equal but less mobile? Education financing and intergenerational mobility in Italy and in the US", Journal of Public Economics, Tabella 8, pag. 360, http://www2.dse.unibo.it/ichino/dc-ai-ar%60%60moreequal-jpe.pdf)

[3] Il Teorema di Bayes mette in relazione questi concetti statistici nel modo seguente:

P(L=1|Y=0) = Pr(Y=0|L=1) Pr(L=1) / [ Pr(Y=0|L=1) Pr(L=1) + Pr(Y=0|L=0) Pr(L=0)] (5)

dove è evidente che per avere P(L=1|Y=0), ossia l'indicatore che ci interessa, a partire da Pr(Y=0|L=1), ossia quello che dicono i dati Almalaurea, servono due altre informazioni: Pr(L=1) e Pr(Y=0|L=0), fornite nel mio articolo con Checchi e Rustichini (e non solo).

Analogamente per la seconda probabilità condizionata:

P(L=1|Y=1) = Pr(Y=1|L=1) Pr(L=1) / [ Pr(Y=1|L=1)Pr(L=1) + Pr(Y=1|L=0) Pr(L=0)]  (6)

[4] Vedi nota 2. Per essere ancora più precisi e depurare il confronto dalle variazioni delle distribuzioni marginali, la letteratura compara gli odds ratios, ossia i rischi relativi, definiti come:

Pr(L=1|Y=0)/ Pr(L=0|Y=0)    e    Pr(L=1|Y=1)/  Pr(L=0|Y=1)             (7)

Questi rischi relativi sono gli indicatori menzionati nella citazione che segue tratta dall'articolo con Checchi e Rustichini.

[5] Si veda l'articolo per ulteriori analisi e risultati, in particolare sulla relazione positiva tra istruzione e reddito, che in questa sede giustifica la considerazione delle famiglie con genitori laureati come famiglie economicamente avvantaggiate.

[6] Ringrazio Daniele Terlizzese, con cui sto lavorando ad un rapporto esteso sulla nostra proposta di riforma del finanziamento universitario, per l'aiuto nel reperimento di questi numeri, e per la conversione da redditi netti a redditi lordi nei dati Banca d'Italia.

[7] Trascurando, in prima approssimazione, l'imprecisione derivante dalla combinazione di redditi familiari e individuali.


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