fbpx Quante emozioni nei ricordi! | Scienza in rete

Quante emozioni nei ricordi!

Tempo di lettura: 5 mins

E’ una bella sera d’estate. Stiamo camminando per le vie del centro. Improvvisamente, uno sconosciuto si avvicina e con voce minacciosa ci aggredisce. Da questo momento, il ricordo di quell’evento così emotivamente coinvolgente tenderà a persistere nel nostro cervello. Tutte le volte che risentiremo quella voce o rivedremo quella persona ne avremo paura e rabbia. In maniera analoga, ricordiamo molto bene le voci e le fisionomie delle persone a noi care, o che comunque hanno avuto un ruolo importante e positivo nella nostra vita. E’ questo uno degli aspetti tipici dei ricordi emotivi: tendono a persistere nel tempo, anche per tutta la vita. Questi ricordi rappresentano uno degli aspetti cruciali della nostra vita, e sono in grado di influenzare le nostre decisioni e azioni future.

Come si formano i ricordi degli eventi emotivamente salienti? Durante un’esperienza emotiva, i suoni, le voci, i colori, gli odori presenti sono associati all’aspetto emotivo dell’evento. In altre parole, attraverso l’esperienza emotiva, gli stimoli sensoriali visivi, uditivi, olfattivi acquisiscono un connotato emotivo. E’ il ricordo del significato emotivo che hanno acquisito con l’esperienza a far sì che una voce o un odore determinino in noi paura o piacere.

Ma cosa succede nel nostro cervello quando formiamo questi ricordi emotivi? E dove vengono conservate queste informazioni anche per tutta la vita? Da molti anni le neuroscienze cercano di rispondere a questi quesiti e le informazioni ottenute sono molteplici, a volte anche contraddittorie. Sono state identificate infatti alcune strutture chiave nel nostro cervello per l’elaborazione degli aspetti emotivi, quali l’amigdala e il nucleo accumbens. Tuttavia, non è ancora chiaro se queste strutture servano per regolare la formazione dei ricordi emotivi in altre strutture cerebrali, per la maggior parte ancora da scoprire, oppure se queste informazioni siano conservate all’interno dell’amigdala e del nucleo accumbens stessi.

Recentemente, uno studio pubblicato dal nostro gruppo di ricerca sulla rivista internazionale Science (Sacco e Sacchetti, Science 2010) ha dimostrato che alcune cortecce sensoriali di ordine superiore svolgono un ruolo chiave nel conservare i ricordi emotivi. Le cortecce sensoriali sono quelle aree del nostro cervello che servono per elaborare gli stimoli sensoriali. Avremo quindi cortecce visive, uditive, gustative e così via. Queste cortecce sono molto eterogenee. Alcune analizzano gli aspetti più elementari dell’informazione sensoriale: ad esempio, la frequenza e l’ampiezza di un suono, la forma di un oggetto, ecc. Queste aree sono chiamate cortecce sensoriali primarie. Altre elaborano invece aspetti più complessi dell’informazione sensoriale (“cortecce di ordine superiore”). Avremo quindi cortecce uditive di ordine superiore che analizzano la localizzazione di un suono nello spazio, che uniscono i suoni tra loro così da creare una melodia; cortecce visive di ordine superiore che elaborano le sfumature dei colori, le fisionomie delle persone e così via. Evolutivamente, le cortecce sensoriali di ordine superiore tendono ad aumentare notevolmente, sia in termini di numero che di estensione. Rispetto agli altri mammiferi, nei primati e nell’uomo queste aree sono infatti molto più estese, e la loro funzione è in parte ancora poco nota.

Come detto, recentemente abbiamo riportato che alcune di queste cortecce sensoriali di ordine superiore sono coinvolte nel deposito dei ricordi emotivi. Ma qual è il ruolo svolto da queste strutture nelle memorie emotive? Grazie al finanziamento ottenuto dalla Comunità Europea (L’”ERC Starting Grant” 2010) per i prossimi cinque anni saremo in grado di approfondire questo quesito. La nostra ipotesi è che queste strutture siano fondamentali per associare le informazioni sensoriali (visive, uditive, gustative,…) con gli aspetti emotivi. In altre parole, sarebbe a livello di queste strutture che gli stimoli sensoriali acquisiscono una valenza emotiva.

Infatti, anatomicamente queste sedi sono collegate sia con le cortecce sensoriali primarie, che elaborano le informazioni sensoriali, sia con le strutture cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle informazioni emotive, come l’amigdala e il nucleo accumbens. Queste cortecce sensoriali di ordine superiore rappresenterebbero quindi il luogo dove le informazioni sensoriali, elaborate dalle cortecce sensoriali primarie e da altre cortecce di ordine superiore, e le informazioni emotive, elaborate da strutture come l’amigdala, convergono e sono associate tra loro. A supporto di questa nostra idea, diversi studi precedentemente effettuati hanno dimostrato che l’attività di queste strutture aumenta significativamente in presenza di stimoli che precedentemente avevano acquisito un forte connotato emotivo, mentre rimane non elevata in presenza di stimoli sensoriali simili ma non precedentemente associati ad alcun contenuto emotivo.

Per affrontare questo studio, ci avvarremo di tecniche di analisi comportamentale, di registrazione elettrofisiologica dell’attività dei neuroni corticali, di biologia molecolare e di microscopia confocale. Il nostro scopo sarà quello di verificare se in queste strutture ci siano dei neuroni in grado di rispondere alle componenti emotive delle esperienze sensoriali e quindi di associare queste informazioni con gli stimoli visivi, uditivi,… . Inoltre, cercheremo di studiare se e come avviene lo scambio di informazioni tra queste strutture e le aree “emotive” come l’amigdala e il nucleo accumbens. Infine, valuteremo se queste strutture corticali siano in grado di conservare queste informazioni per periodi di tempo prolungati.

I risultati sperimentali che speriamo di ottenere nel corso di questo studio potrebbero avere una notevole importanza in diverse discipline. Innanzitutto, aumenteranno le nostre conoscenze sulle funzioni svolte dalle cortecce sensoriali di ordine superiore. Inoltre, forniranno nuove informazioni su come funziona e da quali strutture è formato il circuito cerebrale che consente la formazione e il mantenimento dei ricordi emotivi. In quest’ambito, l’identificazione del ruolo svolto da alcune componenti essenziali di questo circuito, (le cortecce di ordine superiore) potrebbe aprire nuovi scenari per lo studio dei disturbi associati alle memorie emotive, come i disturbi post-traumatici da stress e le fobie. In quest’ultimo caso, infatti, si potrebbe essere tentati di speculare che alcune fobie possano derivare da un erronea attribuzione di un significato emotivo a determinati stimoli sensoriali, un processo in cui come detto potrebbero svolgere un ruolo chiave le cortecce sensoriali di ordine superiore. 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):