fbpx Come si fa scienza in mezzo al mare? | Scienza in rete

Come si fa scienza in mezzo al mare?

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Esaminare le dinamiche lavorative di un gruppo di ricercatori specializzati in scienze marine che a bordo della nave oceanografica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) “Urania” utilizzano strumentazioni dalle più complesse e sofisticate a quelle più semplici e di uso comune. Lo scopo è di capire gli aspetti che caratterizzano e rendono originale questa realtà rispetto ad altre simili in contesti diversi, come quella analizzata da Charles Goodwin nel suo lavoro Il senso del vedere (2003) su una nave militare statunitense. Sono questi gli argomenti trattati nello studio “dal vivo”, realizzato nel corso di una spedizione nel mare Mediterraneo "La ricerca scende nelle profondità del mare. Indagine etnografica per analizzare tecnologie, lavoro e pratiche sociali a bordo della nave del Cnr Urania”. Un viaggio nel mondo della ricerca oceanografica per studiare le interazioni tra i ricercatori e capire come le tecnologie complesse, e non solo, influenzano le pratiche lavorative del team di lavoro.

Nave oceanografica Urania
Nave oceanografica Urania

Il  Mediterraneo costituisce un'eccellente area di studio sia per le ridotte dimensioni rispetto ai bacini oceanici sia per i tempi relativamente brevi di residenza delle acque, che consentono alla comunità scientifica di chiarire eventi climatici transitori che si sono verificati nel mar Mediterraneo e le conseguenti implicazioni di tipo biogeochimico. A collaborare allo studio degli ecosistemi marini e dei cambiamenti climatici nelle acque del Tirreno centrale e meridionale, più gruppi di ricerca appartenenti a diversi Enti come Cnr, Enea, Università Partenopea di Napoli, Università di Messina, Stazione Zoologica di Napoli.

L’idea di partenza era osservare le pratiche svolte quotidianamente dai ricercatori esperti e novizi, utilizzando un approccio di ricerca di tipo emico, ovvero all’interno del gruppo, secondo il punto di vista degli attori sociali, cercando di capire come le attività lavorative, particolarmente complesse per l’uso di tecnologie informatiche e strumentazioni sofisticate, possano generare sentimenti di precarietà e sensazioni di incertezza sia lavorativa che di vita. Proprio come analogamente avviene per le organizzazioni ad alto rischio come le strutture ospedaliere dove gli imprevisti lavorativi sono frequenti.

Rispetto ad altre realtà straniere - come quella statunitense - la nave "Urania" mostra una organizzazione tipicamente civile, offrendo maggiore libertà di manovra nelle operazioni di ricerca. Tranne situazioni di criticità, momenti in cui il comandante è l’unico deputato a prendere decisioni insieme al ricercatore esperto che lo affianca; essi decidono tempi, modalità e team per le operazioni sulla nave.

Retini per lo studio del Plancton
Retini per lo studio del Plancton

Sebbene le procedure di prevenzione e monitoraggio dei rischi siano le stesse, l’emergenza sulla nave oceanografica si differenzia da altre realtà, sia per la presenza del mare che non agevola eventuali aiuti dall’esterno sia per la gestione dell’emergenza: dalle regole di sicurezza per tutte le attività di ricerca e di lavoro, alle strategie per la risoluzione di problemi che possono mettere in pericolo l’incolumità dei passeggeri e degli strumenti, fino alla velocità con cui entrambe risolvono le urgenze. In tali momenti è il comandante, team leader, a prendere le redini della situazione.

Inoltre, se da una parte l’organizzazione lavorativa risulta non prevedibile e in continuo divenire, anche con momenti di crisi, dall’altra non bisogna sottovalutare quanto i contratti di lavoro, ultimamente sempre più flessibili e di breve durata, possano influenzare i comportamenti e le dinamiche lavorative stesse delle professionalità coinvolte.

Le note sul campo mostrano poi come la programmazione sia sempre a breve termine, di ora in ora, in quanto legata alla continua evoluzione delle condizioni atmosferiche, che richiedono nell’arco della giornata una grande flessibilità nell’adeguare continuamente le necessità della ricerca alla volontà del mare.

Durante la missione, la programmazione del piano di campionamento ha subito una serie di cambiamenti in corso d'opera a causa del progressivo peggioramento delle condizioni meteo, che ha visto il mare raggiungere anche forza 7. Tra le attività portate a termine: l'immersione dei retini per lo studio del Plancton, delle pompe in situ per filtrare grandi volumi d'acqua a diverse profondità per lo studio del disequilibrio uranio/torio, dello spettroradiometro per misurare la luce a varie frequenze e infine la misurazione della produzione primaria fitoplanctonica in situ.

strumentazioni A documentare le relazioni e le interazioni che si sono succedute durante la missione, foto e riprese video, mentre a completare lo studio un DVD con immagini riprese durante l’osservazione.

Lo studio si è chiuso con una ulteriore prospettiva di ricerca: creare un team di esperti in grado di monitorare periodicamente la comunità dei ricercatori durante le campagne oceanografiche per migliorare da una parte il sistema organizzativo delle pratiche lavorative quotidiane e dall’altra la progettazione dell’usabilità degli apparati tecnologici complessi e di nuova generazione, sviluppando al contempo nuove strategie di ricerca per ridefinire in modo innovativo la relazione tra tecnico e sociale, cambiando in meglio le attività di lavoro.

strumentazioni

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: “Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.