fbpx Il campo, Higgs e i cacciatori di particelle | Scienza in rete

Il campo, Higgs e i cacciatori di particelle

Tempo di lettura: 15 mins

Il “bosone di Higgs” cui LHC sta dando la caccia a Ginevra è una particella davvero particolare. Perché è l’unica prevista dal Modello Standard delle Alte Energie la cui esistenza, a tutt’oggi, non è stata provata in via sperimentale. E perché la sua scoperta è l’unica possibilità che abbiamo di dimostrare l’esistenza di uno strano campo quantistico: il campo di Higgs. Il campo di Higgs – uno strano campo di energia che i fisici definiscono molasseslike , viscoso come melassa – è a sua volta assolutamente necessario per tenere insieme il Modello Standard. Ma forse la storia ci aiuta a venire a capo di questo ginepraio.

Il campo

Il campo non è affatto un concetto nuovo in fisica. Nasce, infatti, già nel XIX secolo. Quando la spiegazione dell'interazione a distanza tra due corpi separati, sia essa di tipo gravitazionale, elettrica o magnetica, diventa un problema fondamentale e difficile da risolvere. Come fa, per esempio, la massa del Sole a informare la Terra della sua presenza e, quindi, a esercitare la sua attrazione? Anche Isaac Newton, oltre un secolo prima, si era posto il problema. Ma non aveva tentato di risolverlo. Non avanzo alcuna ipotesi, sosteneva. Non conosco la natura dell'attrazione gravitazionale. So solo che la forza di gravità esiste e agisce tra i due corpi come prevedono le mie equazioni.

Quella di Newton è una posizione saggia, ma i fisici e i matematici dell'800 si rendono conto che non è sostenibile a lungo. La manifestazione della gravità va spiegata. Propongono, allora, che l'azione a distanza tra due corpi si attualizzi seguendo dei percorsi, minimi, in un campo di forze gravitazionali.

L'idea è semplice. Si può pensare al campo gravitazionale come al modo in cui la forza di gravità si spalma nello spazio. Questa distribuzione è puntuale. Nel senso che a ogni punto dello spazio sono associati l'intensità, la direzione e il verso con cui la forza gravitazionale accelererebbe, in quel punto, un corpo di massa unitaria. L'attrazione gravitazionale diventa così la tendenza che hanno la masse presenti nel campo gravitazionale a muoversi dalle regioni in cui il campo è più debole verso le regioni in cui è più forte. In modo analogo, l'interazione elettromagnetica può essere immaginata come la tendenza che hanno la particelle a muoversi nel campo elettromagnetico.

Il campo gravitazionale è, dunque, una sorta di rete elastica a maglie molto fitte che copre tutto lo spazio. E le masse gravitazionali sono come sfere di piombo sorrette da questa rete. Le sfere incurvano la rete, creando dei pozzi tanto più profondi quanto maggiore è la loro massa. I corpi si muovono lungo i percorsi disegnati dalle masse in questa rete, scivolando verso i pozzi più profondi. Così la Terra orbita intorno al Sole seguendo nel campo gravitazionale il solco scavato dalla massa della stella.

L'immagine della rete gravitazionale sembra indicare che già nella fisica classica il campo appaia come un autentico oggetto fisico. Invece l'ascesa ontologica del concetto è piuttosto lenta e graduale. E non può essere diversamente. La meccanica classica si basa sull'idea, mutuata dalla filosofia atomistica, che la realtà fisica è costituita di particelle elementari, eterne e indistruttibili, che si aggregano in modo composito. Il divenire altro non è che il gioco disegnato nel tempo dell'interazione tra questi atomi elementari di materia. Sarebbe davvero strano che i fisici dell'800 abbandonassero immediatamente questa immagine, intuitiva e persino tangibile della natura, per abbracciarne una fondata su di un concetto tutto sommato astratto. E, almeno in potenza, soggetto a interpretazioni misticheggianti.

Le particelle hanno il pregio di definire una realtà visualizzabile. Ma hanno anche il difetto di definire una realtà dalle caratteristiche discrete, non continue. Caratteristiche difficili da gestire, matematicamente. Il campo, invece, ha il dono della continuità. Si estende e ricopre tutto lo spazio. La sua descrizione matematica è abbastanza semplice e coerente. Ecco perché in prima battuta il concetto, astratto, di campo viene introdotto per soddisfare l'esigenza, puramente matematica, di avere parametri e quadri di riferimento continui.

Per molto tempo, dunque, il campo appare come uno strumento matematico particolarmente adatto a descrivere la realtà della fisica, ma non un ente fisico dotato di realtà. Insomma, sarebbe un utile artificio.

Un deciso passo in avanti verso l'ispessimento dello stato ontologico del concetto di campo è, senza dubbio, quello prodotto da Michael Faraday nella sua descrizione dell'interazione elettromagnetica. Un'interazione che prima del fisico inglese è descritta in termini newtoniani per mezzo della legge di Coulomb: due particelle con cariche opposte si attraggono, mentre due particelle con cariche uguali si respingono. L'intensità dell'azione di attrazione o di repulsione è proporzionale al quadrato della distanza tra le due particelle. Faraday invece sostiene che le particelle cariche sentono un campo e si muovono lungo linee di forza. Il campo elettromagnetico è una proprietà dello spazio, definita, punto per punto, dal contributo di tutte le cariche e di tutte le correnti elettriche. Il campo, a sua volta, influenza tutte le cariche e tutte le correnti elettriche.

Le linee di forza consentono finalmente di escludere quell'azione a distanza che lo stesso Newton aveva abbandonato ritenendola: «un'assurdità talmente grande che nessun uomo in possesso di qualche competenza in materia filosofica avrebbe potuto accettare» [Motz e Weaver, La storia della fisica, Cappelli]. Così, quando James Maxwell sintetizza in un'elegante teoria fisico-matematica le intuizioni di Faraday, appare chiaro che in fisica il concetto di campo (elettromagnetico e gravitazionale) può e deve sostituire il concetto di forza.

L'innovazione è fondamentale. Il campo comincia ad assumere una sua concreta realtà fisica. Non è più, solo, matematica. Occorre tuttavia altro tempo prima che questa modifica dello statuto ontologico del concetto venga percepita e interiorizzata dai fisici. L'importanza dell'innovazione, d'altra parte, sfugge allo stesso Maxwell. In fondo il campo può ancora essere inserito e compreso all'interno di una visione materialistica che ne nega l'ontologia. I fisici, infatti, sono convinti che esista una quintessenza materiale, l'etere, che permea di sé tutto l'universo. Si può dunque pensare che le interazioni gravitazionale ed elettromagnetica, descritte dall'ipotesi immateriale di campo, siano in realtà propagate materialmente mediante l'etere.

Tutto cambia, in modo radicale anche se non definitivo, nel 1905. Con Albert Einstein, naturalmente. Grazie a uno di quei tre famosi razzi fiammeggianti che lancia nel suo annus mirabilis. Con l'articolo sulla relatività ristretta, Einstein spazza via la necessità dell'etere: il campo elettromagnetico non richiede alcun mezzo per propagarsi. È un'entità fondamentale e irriducibile. Einstein però non si limita a spazzare via dalla teoria la necessità dell'etere. Introduce anche una nuova costante in natura: la velocità della luce. Un soglia fisica insuperabile. La novità modifica profondamente l'idea di campo elettromagnetico. Il limite rappresentato dalla velocità della luce, finalmente, fa assurgere il campo elettromagnetico «alla dignità di referente ontologico» [Dalida Monti, Equazione di Dirac, Bollati Boringhieri]. Ecco perché.

La particella carica che si muove nello spazio determina una variazione del campo elettromagnetico che non è più «sentita» simultaneamente in tutto lo spazio, ma si propaga in un tempo finito. Non c'è più, dunque, un'azione diretta tra particelle distanti. Esse comunicano nel tempo. E solo indirettamente. L'interazione fondamentale è, infatti, tra la particelle e il campo. «Il campo, allora, non è più un mero strumento formale ma è il responsabile imprescindibile del trasferimento dell'informazione. Esso è finalmente dotato di una dinamica sua propria, in quanto determinata dalle cariche in moto sulle quali, a sua volta, esso agisce» [Dalida Monti, op. cit.].
Il campo esiste, infine.

Il campo quantistico

Il primo tentativo di «quantizzare» il campo, ovvero di applicare i concetti e i formalismi matematici della nuova meccanica quantistica alle teorie di campo della fisica classica, viene operato, già nel 1926, da Max Born, Werner Heisenberg e Pascual Jordan. Il tentativo riguarda il campo elettromagnetico, che già soddisfa i requisiti posti dalla relatività ristretta. Il tentativo registra un buon successo. Max Born, Werner Heisenberg e Pascual Jordan dimostrarono come la vecchia idea di Einstein, quella di considerare i fotoni come particelle di luce prive di massa, può essere formulata in termini rigorosamente matematici.

Nel 1930, grazie ai lavori di Pascual Jordan ed Eugene Wigner da un lato e di Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli dall’altro, si riesce a dimostrare che a ciascuno dei campi noti in fisica è associata una particella. Il fotone è la particella associata al campo elettromagnetico. Il campo è un'onda di probabilità per la sua particella quantistica. L'intensità del campo in un dato punto dello spazio rappresenta la probabilità di trovare in quel punto la particella quantistica associata. Con questa dimostrazione cessa, di fatto e in linea di principio, l’indipendenza tra campo e particelle. Le particelle non sono altro che manifestazioni del campo quantizzato. Il campo diventa l'entità fondamentale della natura. La realtà soggiacente. A esso si riconducono tutte le nozioni della fisica sopravvissute alla rivoluzione relativistica e alla rivoluzione quantistica.

La massa, per esempio, altro non è che un parametro preciso in una teoria di campo. L'interazione non è altro che l'accoppiamento tra campi diversi. E la fisica non è più lo studio delle particelle elementari e delle loro interazioni, ma lo studio di simmetrie fondamentali connesse con parametri elementari. Come scrive Steven Weinberg ora: «l'essenza della realtà è un insieme di campi [...] tutto il resto può essere dedotto come conseguenza della dinamica quantistica di tali campi» [Steven Weinberg, The Search for Unity: Notes for a History of Quantum Field Theory, Daedalus].

Questo risultato è, anche da un punto di vista filosofico, di estrema importanza. La materia, dunque, altro non è che la manifestazione di una realtà più profonda. Una realtà immateriale. Questa forse è la prima falsificazione, in termini scientifici, di una filosofia: la filosofia dell’atomismo. Della realtà costituita da unità materiali fondamentali e indivisibili. Le stesse particelle quantistiche sono difficilmente rappresentabili come «pezzi di materia», sia pure microscopici. Tutto quello che si può conoscere intorno a una particella sono le sue proprietà intrinseche (come massa, carica elettrica, spin) che i fisici chiamano osservabili e le sue interazioni con altre particelle.

L'interpretazione statistica della teoria ribadisce, infine, l'intrinseca indeterminazione della meccanica quantistica. La teoria infatti determina la distribuzione degli eventi, ma non determina i singoli eventi. Poiché l'intensità di campo rappresenta solo la probabilità e non la certezza di trovare in un punto la particella associata, la teoria non dice dove un fotone che passa attraverso un buco andrà a colpire uno schermo. Dice solo come saranno distribuiti sullo schermo una serie ampia di fotoni passati dal buco.

Campi quantistici relativistici

Uno dei primi a porre il problema dei vincoli relativistici che si applicano alle teorie quantistiche di campo è stato Paul Dirac. E la prima teoria quantistica relativistica di campo fu la sua teoria di campo dell'elettrone. In base alla quale il fisico inglese di origine francese predisse, nel 1931, l'esistenza dell'antimateria. Formata da antiparticelle con la medesima massa e il medesimo spin intrinseco, ma con carica elettrica opposta a quella delle particelle di materia ordinaria.

L'equazione di Dirac è, per importanza, paragonabile a quelle di Maxwell. L'esistenza di antiparticelle e la possibilità che nel vuoto si creino coppe di particelle e antiparticelle hanno sconfitto la filosofia di Democrito. E hanno dato una visione dinamica, evolutiva, della materia. La materia è qualcosa che muta. Un protone può essere un protone, ma può anche essere un protone più una coppia elettrone-positrone. La teoria quantistica relativistica ha portato Dirac a prevedere l'antimateria. Ma ci sono ci sono altre particelle oltre l’elettrone e altri campi oltre quello elettronico. Bisogna quindi comprendere come le varie particelle e i vari campi interagiscono.

Negli anni successivi, i tentativi di generalizzare le conclusioni cui è giunto Dirac per il campo dell'elettrone sono, tuttavia, frustranti. Per esempio definire una teoria completa dell'interazione degli elettroni con il campo elettromagnetico risulta piuttosto complicato. Ogni qual volta si cerca di calcolare i processi di interazioni tra le particelle quantistiche, si ottengono dei valori infiniti. L'infinito, in fisica, è un assurdo. E il fatto che nelle teorie di campo se ne ottengano parecchi di questi assurdi, indica che qualcosa, nella teoria, non va.

Malgrado queste difficoltà, i fisici non abbandonano le teorie di campo. Bisogna attendere, tuttavia, gli anni '50 prima che Richard Feynman e un gruppo nutrito di altri fisici teorici che comprende Freeman Dyson, Julian Schwinger e Shin'ichiro Tomonaga, proponga un metodo, non del tutto soddisfacente, per superare gli infiniti che si incontrano nel tentativo di definire una teoria quantorelativistica dell'interazione tra due sole particelle, l'elettrone e il fotone. Il metodo matematico, chiamato rinormalizzazione, consente di definire la QED: l'elettrodinamica quantistica.

La teoria concilia la meccanica quantistica e la relatività ristretta di Einstein. Ciò che stupisce molti fisici è che la QED, malgrado sia fondata su artifici matematici, è una teoria fisica di straordinaria precisione. I processi di rinormalizzazione, che consistono nell'eliminare gli infiniti che di volta in volta si presentano, sono stati affinati. E oggi molti pensano che abbiano un significato fisico.

Occorrerà attendere invece l'inizio degli anni '60 perché si riesca a definire una teoria di campo delle particelle subatomiche. Murray Gell- Mann, lavorando di volta in volta con Yuval Ne'eman e George Zweig, propongo la QCD, la cromodinamica quantistica e una nuova particella fondamentale, il quark, di cui sono costituiti i protoni, i neutroni e tutti gli adroni. I quark sono confinati negli adroni da un'interazione fondamentale della natura, l'interazione forte, che si esprime mediante lo scambio di alcune particelle, i gluoni (dall'inglese glue, colla). I gluoni sono i “messaggeri” dell’interazione forte, proprio come i fotoni sono i messaggeri dell’interazione elettromagnetica.

A differenza dell’interazione elettromagnetica, la cui intensità diminuisce con la distanza, l'interazione forte ha la particolarità di aumentare con la distanza, cosicché i quark sono costretti a stare sempre confinati. I protoni e i neutroni che formano la gran parte della materia visibile dell'universo sono formati ciascuno da tre quark.

I campi di gauge

Negli anni '60, infine, diventa possibile creare un nuovo tipo di teoria di campo, chiamate teorie dei campi di gauge non abeliani. Non entreremo nel merito di queste teorie. Sono teorie che si fondano sulla nozione di simmetria. E le particelle possono essere, infatti, definite sulla base del modo in cui si trasformano quando sono sottoposte a operazioni di simmetria. I campi di gauge consentono di semplificare la fisica delle alte energie. Ma hanno un difetto: le particelle associate sono tutte prive di massa. Mentre molte particelle reali sono dotate di massa. Un'altra particolarità delle equazioni del campo di gauge è che sono equazioni simmetriche. Mentre le soluzioni non lo sono. Insomma le teorie di campo di gauge sembrano teorie utili, ma di scarso avvenire. Almeno finché Peter Higgs, nel 1965, non propone un meccanismo matematico che consente alle simmetrie di gauge di rompersi spontaneamente. Anzi, le obbliga a rompersi. Perché la situazione simmetrica, nel quadro descritto da Higgs, è una situazione instabile. A rompere la simmetria Peter Higgs chiama un nuovo campo, che sarà chiamato campo di Higgs. Il bosone di Higgs è la sua particella messaggero.

Il nuovo campo ha tre capacità molto apprezzate dai fisici. E un difetto, per ora, trascurato. Le tre capacità molto apprezzate sono, nell'ordine: il campo di Higgs è compatibile con la teoria standard delle alte energie; la rottura di simmetria del campo di Higgs provoca la rottura spontanea di simmetria di tutti i campi di gauge; interagendo con il campo di Higgs alcune delle particelle dei vari campi di gauge acquistano la massa. Il difetto è che non si sa bene cosa ci sia all'origine del campo di Higgs. Il campo elettromagnetico ha origine dalle cariche elettriche, il campo gravitazionale ha origine dalle masse, ma cosa dà origine al misterioso campo di Peter Higgs?

La domanda è ancora aperta. E speriamo che ottenga una risposta ora che la scoperta del bosone di Higgs e data per imminente.

L'attesa della risposta non ha impedito all'americano Steven Weinberg e al pakistano Abdus Salam di dare un primo contenuto fisico alle idee matematiche di Higgs e di riuscire a unificare, alla fine degli anni '60, le due forze che agiscono sulle particelle quantistiche, l'interazione elettromagnetica e l'interazione debole (un'interazione responsabile del decadimento della particelle). Grazie al meccanismo di Higgs, Weinberg e Salam dimostrano che a elevate energie l'interazione debole e l'interazione elettromagnetica sono unificate, formano un'unica interazione: l'interazione elettrodebole. Quando l'energia si abbassa, provoca la rottura di simmetria del campo di Higgs. Che a sua volta provoca la rottura di simmetria del campo elettrodebole.

Il modello di Weinberg e Salam prevede che dalla rottura di simmetria nascono il campo elettromagnetico, con associata una particella ben nota, il fotone, priva di massa. E un campo, il campo debole, con particelle, i bosoni W+, W- e Zo, dotati di grande massa ma ancora sconosciuti. Nel 1983 Carlo Rubbia al CERN di Ginevra dimostra che i tre bosoni esistono e hanno esattamente la massa prevista dalla teoria di Weinberg e Salam.

Il Modello Standard

La cromodinamica quantistica di Murray Gell-Mann e la teoria elettrodebole di Weinberg e Salam formano, insieme e organicamente, il Modello Standard della fisica delle alte energie. Che possiamo così riassumere. Esistono in natura quattro forze fondamentali: l'interazione elettromagnetica, l'interazione debole, l'interazione forte e l'interazione gravitazionale.

Il Modello Standard descrive tre di queste forze. In quanto non si è ancora riusciti a ottenere una solida teoria di campo quantistica della gravità. Ciascuna delle forze è mediata, come si vede in tabella, da particelle quantistiche.

Le particelle che mediano queste forze interagiscono con due tipi di particelle: i leptoni e i quark. I leptoni, in realtà, interagiscono solo con i fotoni e i bosoni intermedi. Tra i leptoni, le particelle stabili sono gli elettroni e i neutrini. I quark, invece, formano due particelle stabili, i protoni e i neutroni. Protoni e neutroni possono ritrovarsi in un nucleo atomico.

I nuclei atomici possono interagire con gli elettroni, formando atomi neutri e stabili. Gli atomi sono alla base della materia visibile.

Tabella | Le forze fondamentali della natura

InterazioneBosoneNumeroMassa (MeV)CaricaRange d'azioneForza relativa
Fortegluone8>102010-131
Elettromagneticafotone100infinito10-12
Debolebosoni W+, W-, Z03≈105+1, -1, o10-1510-14
Gravitàgravitone100infinito10-40

 

I limiti del modello standard

Il Modello Standard descrive con grande precisione quello che avviene a livello subatomico. Tuttavia ha molti limiti. E difficilmente può essere considerata la teoria fondamentale della fisica. Il principale di questi limiti è il fatto che nel modello, come dicono i fisici, compaiono ben 19 parametri d'ingresso. A iniziare dalla masse di quark e leptoni. In altri termini la teoria non prevede il valore di questi parametri, che vanno misurati sperimentalmente. I fisici cercano una teoria che non lasci tanta libertà alla natura.

Il Modello Standard dimostra che l'interazione elettromagnetica e l'interazione debole sono manifestazioni diverse di un'unica interazione, l'interazione elettrodebole. Da questo processo di unificazione è esclusa l'interazione forte. I fisici cercano una nuova teoria (ipotesi sono la teoria di grande unificazione o GUT, o le teorie supersimmetriche) che riunifichi le tre interazioni.

Oltre al bosone di Higgs, necessario per stabilire definitivamente la validità del Modello Standard, i fisici di LHC sono alla caccia di nuove particelle in grado di dimostrare l’unità profonda tra interazione forte e interazione elettrodebole.

Il Modello Standard non dice nulla sulla quarta, grande interazione fondamentale: la gravità. I fisici non sono ancora riusciti a ottenere una teoria di campo quantistica della gravità che, a differenza della teoria di Weinberg-Salam e della teoria di Gell-Mann, richiede di riconciliare meccanica quantistica e relatività generale. I fisici hanno già un nome, Teoria del Tutto, per il modello in grado di unificare tutte le forze fondamentali della natura. Ma non hanno ancora ipotesi sufficientemente accreditate. 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Un ricordo del coraggio visionario di Vittorio Silvestrini

Vittorio Silvestrini è stato uno dei principali promotori della Città della Scienza, progetto nato negli anni ’90 con l'obiettivo di creare un modello di sviluppo innovativo nel Sud Italia. La sua visione andava oltre le politiche tradizionali e, nonostante le difficoltà incontrate e l'incomprensione della politica e dell’accademia, il suo contributo rimane un esempio di coraggio e lungimiranza per il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia. Lo ricorda Luigi Amodio.

Nell'immagine di copertina: rielaborazione della foto di Vittorio Silvestrini alla Città della Scienza (1996)

Il fisico Vittorio Silvestrini è scomparso, dopo una lunga malattia, lo scorso 30 agosto, all’età di quasi 90 anni. “Vittorio”, lo chiamerò semplicemente per nome, in ragione della nostra lunga e stretta collaborazione, durata quasi trent'anni. Da quel giugno 1990, in cui cominciai a lavorare con lui e con Vincenzo Lipardi, l’altro vero protagonista della realizzazione di Città della Scienza, fino alla fine del 2017, quando i nostri rapporti si interruppero, soprattutto a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.