L’esperimento Opera, coordinato dal fisico italiano Antonio Ereditato, è giunto dopo anni di lavoro all’importante risultato secondo il quale i neutrini, sparati dal Cern di Ginevra fino ai laboratori del Gran Sasso, avrebbero viaggiato più veloci della luce.
Nel caso in cui l’esito fosse confermato anche dalle verifiche e misure indipendenti previste, il mondo della fisica si troverebbe a un punto di radicale svolta: si dovrà leggere sotto un nuovo sguardo tutta la fisica relativistica di Einstein e ribaltare la credenza universale che la costante C (= velocità della luce) sia un limite invalicabile.
Proprio per la rilevanza della ricerca, il caso di Opera si presta a un’analisi che voglia porre in luce il rapporto tra la figura dello scienziato, oltre che della scoperta scientifica, e la nostra società. Tutto ciò osservando in primis le dichiarazioni lasciate dai responsabili del progetto e di altri scienziati, strumenti comunicativi attraverso i quali il mondo scientifico in questione si è aperto e ha acquisito massima visibilità, penetrando così tutta la società globale.
Per far ciò è comunque bene partire da uno degli stereotipi, forse il più forte, che riguarda la figura dello scienziato e della ricerca. L’idea comune e allargata che si ha dello scienziato e del suo operato, infatti, spesso combacia con l’immagine di un genio: un soggetto isolato che presta ogni suo sforzo e ogni sua attenzione a calcoli ed esperimenti, costantemente chiuso nel suo laboratorio e distante dal resto della società. Nel nostro immaginario comune, lo scienziato esce allo scoperto solo una volta raggiunto un risultato certo, cioè, sia esso atteso o inatteso, ne vengano necessariamente verificate tutte le sue diverse dimensioni: il concetto di risultato scientifico al quale noi generalmente pensiamo gode di massima precisione ed è totalmente inconfutabile.
Questa idea preconcetta, generalmente diffusa nelle nostre teste, può essere riassunta dall’esclamazione che Archimede utilizzò quando scoprì che si poteva calcolare il volume di un corpo di forma irregolare misurando il volume dell'acqua spostata quando il corpo veniva immerso: lo scienziato siracusano del III secolo a.C., infatti, subito dopo la scoperta esclamò eureka!, che in greco significa ho trovato!. L’affermazione sottolinea il carattere di singolarità e si riferisce a una ricerca finalizzata esclusivamente al risultato atteso della scoperta scientifica.
Cerchiamo di capire se tutto questa rappresentazione si può sovrapporre al nostro caso, il progetto Opera.
Opera è tutto tranne che una ricerca, e molto probabilmente il successo, di un singolo scienziato, visto che è seguito da 60 figure professionali diverse: un’insieme di scienziati, ingegneri, tecnici e studenti appartenenti a 31 istituzioni, provenendo da 11 Paesi del mondo.
Allo stesso modo variegati e dislocati sono i luoghi della ricerca: prima di tutto vi sono i Laboratori nazionali del Gran Sasso e del Cern, in secondo luogo anche numerose università (ben nove, da Bari a Padova passando per Roma e Bologna). Altri contributi e altri uomini vengono inoltre da Giappone, Belgio, Francia, Germania, Svizzera, Croazia, Israele, Corea, Russia e Turchia.
Antonio Ereditato stesso, che è il coordinatore di questa collaborazione internazionale, pone l’importanza della dimensione collettiva del risultato, definendolo «il frutto di un lavoro complesso e gratificante, nel quale l’aspetto del gruppo è importantissimo».
A questo punto possiamo domandarci comunque se, oltre al carattere di pluralità e di differenzazione dei soggetti interessati nel progetto Opera, per il resto cambi poco, soprattutto per ciò che concerne l’approccio degli scienziati alla ricerca scientifica.
Sono sempre le parole dello stesso Antonio Ereditato a toglierci qualsiasi dubbio, il quale dichiara: “Questo risultato è una completa sorpresa. Dopo molti mesi di studi e di controlli incrociati non abbiamo trovato nessuno effetto dovuto alla strumentazione in grado di spiegare il risultato della misura. Continueremo i nostri studi e attendiamo misure indipendenti per valutare pienamente la natura di queste osservazioni.”
D'altronde anche la restante parte del mondo scientifico, dai più scettici ai più ottimisti sui risultati di Opera, converge sul fatto che «scoperte straordinarie richiedono dimostrazioni straordinarie», motto dell´astronomo americano Carl Sagan con il quale è stata accolta la conferma dei dati arrivati direttamente dal Cern di Ginevra. La calma e la riflessione si sostituiscono all’impeto e all’emotività che caratterizzano al contrario l’affermazione eureka!.
Lo stesso Ereditato vuole porre l’attenzione sulla cautela, quindi anche sul controllo dell’emotività, che una scoperta da un così grande impatto mediatico e scientifico debba avere: «Gli scienziati non sono gli uomini delle certezze, ma del dubbio. Tant’è vero che quando facciamo una misura, ci mettiamo sempre l’errore, che poi non è altro che la misura dell’incertezza del risultato. Quando poi si tratta di qualcosa che ha potenzialmente un grande impatto, come questa nostra misurazione, allora la cautela è doppiamente d’obbligo».
Questa consapevolezza è costantemente presente nel lavoro dello scienziato contemporaneo e lo si nota anche dalle parole di Roberto Petronzio, Presidente dell’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: «Gli stessi scienziati di Opera continueranno a lavorare sui loro dati. Non siamo una religione e non procediamo per verità. Quando un esperimento si imbatte in un risultato incredibile e non riesce a individuare un errore, il dato viene sottoposto all´indagine della comunità».
Lo scienziato dunque non è più portatore assoluto di verità, ma opera in un campo di incertezza e di controlli costanti e differenziati, proprio per questo il suo lavoro non si sviluppa in un contesto di isolamento e totale autonomia: lo scienziato è inserito in una struttura di relazioni e di collaborazioni fitta e differenziata, senza la quale il suo lavoro non sarebbe neanche plausibile. Lucia Votano, direttrice dei laboratori del Gran Sasso gestiti dall´Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), esprime bene questo concetto: «Abbiamo chiesto due revisioni agli istituti di metrologia svizzero e tedesco. Ci siamo fatti aiutare dal gruppo di geodesia della Sapienza di Roma. Abbiamo chiuso una notte l´autostrada per ricalcolare la posizione esatta di Opera sottoterra».
L’immagine dello scienziato che il clamore e la popolarità del progetto Opera hanno largamente diffuso, non vede più dunque quell’atteggiamento all’Archimede, basato sull’urlare al mondo i risultati e la verità assoluta raggiunti. Infatti all’emotività e all’esaltazione che la scoperta scientifica facilmente imprimono sulla pelle e sul cervello dell’uomo che fa proprio il dato ottenuto, ora si sostituisce un forte senso di responsabilità nei confronti del mondo, atteggiamento che si traduce nella necessità di cautela lungo tutte le fasi della ricerca scientifiche, quindi anche durante la verifica e l’interpretazione del dato osservato, ma anche nella divulgazione di esso all’opinione pubblica. Cautela nella gestione dell’osservato significa oltremodo maggior attenzione alla propria reputazione per l’uomo della scienza, visti i migliaia di esperti a lui pari pronti a sottoporre verifiche e a porre severe critiche, oltre che possibili falsificazioni, ai risultati vaneggiati, ancor più se senza cautela o in mancanza di verifiche indipendenti.
In attesa che le misurazioni indipendenti facciano maggior luce sui risultati scientifici raggiunti da Opera, per ora si può affermare che il progetto guidato da Ereditato abbia già comunicato importanti aspetti e verità, specie su come lo scienziato del terzo millennio e la gestione del suo lavoro siano sostanzialmente diversi da ciò che l’immaginario comune vorrebbe far credere.
di Giuseppe Nucera