fbpx Darwin e l'anima | Scienza in rete

Darwin e l'anima

Tempo di lettura: 5 mins

Dopo Darwin non c’è più dubbio: l’uomo è tutto «dentro la natura». Comprese le sua capacità mentali. Comprese le sue capacità morali. Ma questo lungi «dal precipitare la razza umana al livello di degradazione più basso», come temeva il reverendo Adam Sedgwick, uno dei maestri di Darwin, le conferisce una nuova e inedita responsabilità tra le specie viventi. La responsabilità di comportarsi con sapienza. Anzi, con saggezza eco-solidale. È questo a ben vedere, il succo del nuovo libro – Darwin e l’anima. L’evoluzione dell’uomo e i suoi nemici – che Orlando Franceschelli, filosofo e docente di Teoria dell’evoluzione e politica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha di recente pubblicato presso l’editore Donzelli.

Il 2009 è un anno darwiniano. Si celebrano, infatti, i 200 anni dalla nascita di Darwin e 150 anni della pubblicazione del suo capolavoro, l’Origine delle specie. Un libro, quest’ultimo, che possiamo definire uno spartiacque: perché ha modificato non solo il modo con cui i biologi guardano alla specie umana e alla biosfera, ma anche il modo con cui i filosofici e persino teologici guardano all’uomo e alla natura.

In Darwin e l’anima Orlando Franceschelli affronta il tema più delicato di tutta la teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto proposta nel 1859 con cui lo scienziato inglese ha restituito completamente l’uomo alla natura. E il tema più delicato sono le capacità mentali di Homo sapiens. Ivi inclusa quella capacità di esprimere giudizi morali che gli consente di distinguere il bene dal male. Questo tema è una logica conclusione dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto e dell’origine delle specie a partire da progenitori comuni. Ma è un tema così delicato che Darwin evita di affrontarlo direttamente nell’Origine delle specie. Preferisce prende tempo e ne parla esplicitamente solo nel 1871, quando pubblica l’Origine dell’uomo. L’idea di Darwin è che l’uomo non rappresenti in alcun modo un’eccezione, ma sia completamente interno alla natura. Frutto per intero dell’evoluzione biologica. Anche le sue capacità mentali non rappresentano un’eccezione: non differiscono in genere (in kind) rispetto a quelle di altre specie, anche se differiscono infinitamente per gradazione (immensely in degree). Persino le capacità di esprimere giudizi morali di Homo sapiens sono frutto dell’evoluzione biologica e non sono in kind diverse da quelle di altre specie, anche se a maggior ragione lo sono immensely in degree.

Tutto ciò non mina alla base le fondamenta etiche della società umana, perché l’uomo non è (non deve essere) buono contro natura. L’uomo, come tante specie animali, è per dirla con l’etologo cognitivo Frans de Waal, «naturalmente buono». L’antropologia di Darwin è difficile da accettare: la rifiutavano tra gli altri sua moglie Emma, il suo maestro Adam Sedgwick, l’altro grande padre della teoria evoluzionistica, Alfred Russel Wallace. Non meraviglia, dunque, che la pericolosa idea di Darwin abbia avuto, come rileva Orlando Franceschelli, molti nemici. I più facili da individuare sono coloro che, come alcuni movimenti evangelici, negano in toto l’evoluzione biologica e propongono un «creazionismo ingenuo».

Tuttavia, sostiene Franceschelli, le schiere dei nemici di Darwin non si limitano ai «soldati di Dio», ai creazionisti militanti del mid-west americano che ancora credono nella creazione del mondo realizzata da Dio poco più di 6.000 anni fa. Sono su posizioni non darwiniane anche coloro che, pur accettando l’evoluzione biologica nel tempo profondo e il ruolo centrale della selezione naturale, pongono le capacità mentali umane «fuori dalla natura» e considerano la moralità, come sosteneva persino il più fedele dei suoi seguaci Thomas Henry Huxley, definito il “mastino di Darwin”, la spada forgiata dall’uomo per uccidere il drago del suo passato animale. Anche oggi molti evoluzionisti, credenti e non, pongono le capacità morali di Homo sapiens al di là dei processi adattativi della selezione naturale e «fuori dalla natura». Restituendoci, in maniera più o meno sofisticata, l’idea di una qualità – un’anima – conferita all’uomo da qualcosa (o da qualcuno) di trascendente.

Ma sono nemici di Darwin anche coloro che sembrano accettare l’idea che l’uomo è «dentro la natura» e che, proprio per questo, considerano Homo sapiens naturalmente cattivo. La natura sarebbe intrinsecamente cattiva. E l’uomo, che ne fa parte per intero, sarebbe intrinsecamente malvagio. In realtà la natura sfugge a queste categorizzazioni. Non è né buona cattiva. In natura non sono scolpiti, come sulle tavole di Mosé, né i comandamenti del bene né i comandamenti del male. Dalla natura molte specie hanno ricevuto, mediante processi adattativi di selezione naturale, solo capacità di esprimere giudizi morali. Questa capacità l’uomo l’ha ricevuta in quantità ben più grande (immensely in degree) rispetto ad altre specie. Con questa capacità è in grado di definire griglie valoriali e di considerare bene il comportamento che rispetta quella griglia e male il comportamento che non la rispetta.

Ma «quali» giudizi morali esprime, come sono costituite di volta in volta queste griglie valoriali, questo è sotto la completa responsabilità dell’uomo. La costruzione di queste griglie valoriali è determinata dalla storia. Ed è questa la ragione per cui di griglie valoriali diverse le comunità umane ne ha elaborate molte, in diversi luoghi e in diversi tempi. Ciò non significa affatto cadere in un relativismo totale: per cui ogni e qualsiasi comportamento umano va bene.  La gran parte delle griglie valoriali elaborate dall’uomo nel corso della sua storia tendono a premiare gli «istinti sociali» e a condannare gli «istinti antisociali». Franceschelli sottolinea come tra i «nemici di Darwin» vadano collocati anche i cosiddetti «darwinisti sociali», coloro che giustificano il prepotere dei più forti nella società umana interpretandolo come espressione del darwinismo e della selezione naturale.

In definitiva, il fatto che dopo Darwin l’uomo sa di essere tutto e per intero «dentro la natura» non determina affatto, come temeva il reverendo Adam Sedgwick, lo sgretolamento delle fondamenta etiche della società. Al contrario, cementa la società: perché, come scriveva lo stesso Darwin, gli uomini saggi sentono che «la massima soddisfazione deriva loro dal seguire certi impulsi e precisamente gli istinti sociali». Oggi la ragione e il sentimento ci inducono gli uomini saggi a trarre la massima soddisfazione perseguendo sia il bene della società sia il bene della biosfera, peraltro strettamente intrecciati. Cosicché la consapevolezza di essere completamente «dentro la natura» obbliga l’uomo a essere sapiente e razionale. Lo obbliga, come sostiene Orlando Franceschelli, a una «saggezza eco-solidale».


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.