ITunes U è un innovativo sistema di distribuzione di materiale didattico targato Apple: intere lezioni universitarie, corsi di lingua, film, audiolibri… L’Università degli Studi di Pisa ha un suo portale ITunesU, seguendo l’esempio di atenei stranieri l’ateneo toscano ha introdotto nel nostro Paese un metodo di diffusione della didattica che ambisce a dare un ruolo più importante alla formazione ‘a distanza’. Dopo un anno dalla sua nascita, il portale pisano ha registrato un livello record di accessi. Questo eccezionale risultato è stato presentato in una due giorni tenutasi lo scorso 26 gennaio, il primo Congresso ITunes U Italy al complesso di Santa Croce in Fossabanda a Pisa, a cui hanno partecipato molti esperti del settore. Enrica Salvatori ha guidato il gruppo di lavoro, supportato dal personale del CISIAU e da Claudio Benedetti.
L’Università di Pisa ha organizzato un convegno dedicato ad ITunes U. Questa nuova realtà è quindi un segnale forte, come nuovo strumento di didattica e divulgazione?
Abbiamo riscontrato che nel nostro Paese sono molti gli atenei predisposti ad affiancare l’e-learning e ITunesU, alcuni hanno già qualche forma di organizzazione dedicata all’insegnamento a distanza. Ci sono tuttavia ancora problemi di carattere organizzativo. Una loro forte presenza al congresso ci ha confermato però una convinzione nelle potenzialità di questo strumento e un’apertura a capire come fare per avere una visibilità‘a distanza’ più ampia.
Ci sono stati altri motivi particolari che vi hanno spinto ad organizzare il congresso?
La sfida è, in qualche modo, cercare di fare rete per collegare le università e centri di ricerca per proporre soluzioni innovative di divulgazione. Dopo aver conosciuto la realtà inglese, abbiamo realizzato che una didattica più aperta verso il resto del mondo è un progetto concretamente realizzabile. La differenza tra il concetto classico di ateneo – rivolto solo ai propri studenti – e ITunes U è proprio nei numeri: Pisa può contare già su 200.000 contatti al mese.
Pisa aveva deciso in tempi 'non sospetti' - circa un anno fa - di inserire contributi. Una tendenza che, nel frattempo, ha avuto un seguito adeguato in Italia?
In realtà c’è ancora un seguito ancora basso, perché l’idea di università che abbiamo noi è differente da quella americana o inglese, ad esempio, sempre più legata all’idea di marketing e comunicazione verso l’esterno. Le cose però stanno lentamente cambiando, virando verso quell’apertura globale che consente di invertire la tendenza di fruizione di contenuti di didattica e di ricerca – un articolo pubblicato, generalmente, può essere compreso da un numero ristretto di persone, mentre questi contenuti sono rivolti potenzialmente a tutti.
Si possono fare previsioni sul futuro di questi nuovi mezzi, in Italia e oltre? Crede ci sia una strada preferenziale per mettersi al pari dei colleghi oltreoceano, per quanto riguarda questi contenuti?
L’America ha sicuramente una marcia in più rispetto a quest’iniziativa, quello che l’Italia può fare è mettere insieme dei corsi specifici, unire le diverse potenzialità delle singole università per realizzare contenuti su specifici argomenti. Dopo il convegno, direi che la strada italiana possibile potrebbe appunto essere quella della condivisione di risorse. Un limite ancora da superare sembra però essere un certo tipo di scetticismo da parte dei docenti: non è certo semplice mettersi in gioco personalmente nella realizzazione di questi contenuti video, con il timore sempre presente che questo possa voler dire ‘svuotare’ fisicamente le aule a favore di una didattica più a distanza. Oltre al fatto che spesso mancano le risorse strutturali per avere aule attrezzate per produrre questo tipo di contenuti.