Sulle statine, i farmaci più prescritti al mondo, negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi studi che confermano fra i possibili effetti collaterali perdita di memoria e diabete mellito di tipo 2. Solo recentemente, però, i dati raccolti dai ricercatori hanno convinto la Food and Drug Administration (FDA), l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, a mettere in guardia i consumatori contro rischi che per anni alcuni medici e pazienti avevano segnalato, inascoltati. Chi assume statine continua ad essere efficacemente protetto dal rischio di danni cardiovascolari, attacchi di cuore ed ictus, grazie al controllo dei livelli del colesterolo. Diventa però innegabile, in certi casi, la possibilità di incorrere in inconvenienti più o meno preoccupanti.
Da qui, la necessità di prestare maggiore attenzione alla storia clinica del paziente, all’interazione con altri farmaci assunti dalla stessa persona e ad un corretto stile di vita che preveda dieta adeguata e attività fisica costante. Ci sono, infatti, fondamentalmente due categorie di pazienti che assumono statine ogni giorno: persone affette da una malattia cardiovascolare (per la maggior parte, uomini di mezza età) e persone con un alto livello di colesterolo. Per il primo gruppo l'efficacia delle statine è provata: riducono il rischio di morte. Per il secondo gruppo, quello da prevenzione primaria, costituito principalmente da uomini e donne che non soffrono di cuore e da anziani over 70, non esiste evidenza scientifica di un prolungamento della vita. In parole povere, i pazienti ad alto rischio traggono un vantaggio tangibile dall’assunzione giornaliera di statine, mentre per il resto dei pazienti c’è spesso il rischio di un sovradosaggio inutile che, secondo quanto riporteranno le confezioni dei farmaci d'ora in poi, può addirittura causare danni cognitivi e diabete.
Beatrice Golomb, della University of California San Diego, ha raccolto più di tremila segnalazioni di effetti collaterali causati dall’assunzione di statine, disturbi che spesso i medici sminuiscono o catalogano come i primi segni di invecchiamento: brevi vuoti di memoria, dolori muscolari, torpore. Problemi, tutto sommato, di bassa rilevanza e che molto probabilmente non intaccheranno i criteri di prescrizione finora adottati dai medici.
Di diversa entità, invece, è il rischio di sviluppare una malattia cronica come il diabete di tipo 2, una eventualità che almeno negli USA potrebbe interessare più di 100mila persone che attualmente ricevono dosi eccessive di statine particolarmente potenti. Il legame di causa/effetto è noto da alcuni anni, grazie soprattutto ad una metanalisi apparsa su Lancet nel 2010[i], che ha esaminato le informazioni disponibili su un totale di 91mila pazienti. Certamente occorre stabilire esattamente quale sia, per ogni tipo di statina, la dose limite oltre la quale si incorre nel rischio di contrarre il diabete. È anche necessario condurre uno studio di più lunga durata rispetto a quello finora eseguito, basato su pazienti che assumevano statine da non più di cinque anni. Anche la genomica sarà forse uno strumento cruciale per identificare i soggetti a rischio, in futuro.
La letteratura scientifica relativa a questa classe di farmaci, tuttavia, ha recentemente evidenziato anche effetti collaterali positivi. L'uso delle statine da parte di pazienti clinicamente stabili, affetti da malattia coronarica non acuta produrrebbe una significativa riduzione del rischio di depressione. Già sapevamo che questo tipo di disturbo è spesso associato alla patologia coronarica e da essa aggravato. In un articolo pubblicato online il mese scorso sul Journal of Clinical Psychiatry[ii] viene descritto lo studio condotto da Mary A. Whooley, del San Francisco Veterans Affairs Medical Center. Il suo gruppo ha reclutato 965 pazienti affetti da malattia coronarica e li ha seguiti per sei anni, presso dodici diverse strutture ambulatoriali nell'area della baia di San Francisco. Il 65% assumeva statine giornalmente: fin dall'inizio dello studio questo gruppo di pazienti ha mostrato meno sintomi di depressione e nel corso dell'osservazione è risultato anche meno incline a svilupparne. A fine ricerca, la riduzione del rischio a manifestare sintomi depressivi per chi assume giornalmente statine è stata del 38%: un dato molto significativo, difficilmente casuale, nonostante lo studio sia di natura osservazionale e non randomizzata.
In generale, sia che si tratti di inconvenienti lievi o più invalidanti, o sia che parliamo di vantaggi indiretti, è bene tener presente che le possibili conseguenze per chi assume statine interessano decine di milioni di persone al mondo. Solo negli USA sono oltre 20 milioni, con un mercato di 20 miliardi di dollari annui. Anche in Italia questi farmaci continuano ad essere il sottogruppo a maggior spesa (17,7 euro pro capite nel 2011, con un aumento del 7,2% rispetto alle rilevazioni del 2009) che registra annualmente un aumento delle dosi prescritte (dal 2009 al 2011 l'incremento è stato dell’11,5%. Dati: Rapporto Osmed).
[i] Sattar N,
Preiss D,
Murray HM,
Welsh P,
Buckley BM,
de Craen AJ,
Seshasai SR,
McMurray JJ,
Freeman DJ,
Jukema JW,
Macfarlane PW,
Packard CJ,
Stott DJ,
Westendorp RG,
Shepherd J,
Davis BR,
Pressel SL,
Marchioli R,
Marfisi RM,
Maggioni AP,
Tavazzi L,
Tognoni G,
Kjekshus J,
Pedersen TR,
Cook TJ,
Gotto AM,
Clearfield MB,
Downs JR,
Nakamura H,
Ohashi Y,
Mizuno K,
Ray KK,
Ford I. Statins and risk of incident diabetes: a collaborative meta-analysis
of randomised statin trials. Lancet 2010 Feb 27;375(9716):735-42.
[ii] Otte C, Zhao S,
Whooley MA. Statin Use and Risk of Depression in Patients With Coronary Heart
Disease: Longitudinal Data From the Heart and Soul Study. J Clinical Psychiatry
published online 2012 Feb 2.