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La ricerca spagnola sull’orlo del baratro

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Con una lettera aperta presentata ai membri del parlamento spagnolo e alla Accademia reale delle scienze di Madrid, la comunità scientifica spagnola dichiara la propria opposizione ai tagli alla ricerca, mettendo così in guardia il governo che i tagli di bilancio e il blocco delle assunzioni potrebbero essere fatali per il futuro della ricerca. Finora il documento è stato firmato da 65 organizzazioni, e più di 36.000 persone, tra cui tre premi Nobel. "Questo documento potrebbe essere l'ultima pallottola d'argento della scienza spagnola”, dice Amaya Moro-Martín, fisico presso il Centro di Astrobiologia di Madrid e portavoce dell' organizzazione di base Investigación Digna. Nel mese di dicembre, il governo ha annunciato un taglio di 600 milioni di euro nel bilancio della scienza per il 2012. Successivamente Carmen Vela, Segretario di Stato per la ricerca ha aggiornato la somma a 743 milioni avvertendo che il taglio potrebbe aumentare ulteriormente. La spesa in ricerca scientifica in Spagna ammonta circa all’1% del PIL. Molto lontana da quella dei paesi del Nord d’Europa (la Germania è al 2,5%), degli Stati Uniti (2,8%) e del Giappone (3,2%). Lontana anche da quella dei paesi a economia emergente (la Cina è all1,6%; la Corea del Sud al 3,4%). Rispetto al 2009 la ricerca spagnola potrà contare di circa il 20% di finanziamenti in meno. “La ricerca scientifica spagnolo ha raggiunto un punto di non ritorno, afferma Carlos Duarte, biologo e un membro del comitato scientifico del Consiglio europeo della ricerca, o riusciamo a mantenere attività la ricerca, oppure la Spagna cesserà di essere un paese importante". La notizia dei tagli non fa altro che aggravare la situazione che si è venuta a creare negli ultimi tempi nel mondo della ricerca spagnola. La Spagna, rispetto per esempio al nostro Paese aveva un dicastero e di conseguenza un ministro che si dedicava a tempo pieno alla scienza e alla tecnologia un ministro a tempo pieno. Da noi, al contrario, ricerca scientifica e tecnologica sono temi di cui il ministro competente si può occupare nei ritagli di tempo, tra una polemica sull’ insegnamento della religione a scuola o nella ricerca di un tunnel tra Cern di Ginevra e il Gran Sasso.

Nasce un ministero ad hoc

Negli ultimi giorni del 2011 però, il nuovo governo ha trasferito la politica nazionale della scienza al Ministero dell'Economia e la Competitività, un compito per il quale questo ministero non sembra proprio il più idoneo. Per la prima volta quindi nella storia del governo spagnolo non è previsto un ministero o un dipartimento che rechi il nome “scienza' o “ricerca”. Questo probabilmente non è solo un passaggio simbolico ma l’evoluzione di un paese che deliberatamente sta minando e minimizzando l'importanza della scienza.

La Spagna d’altronde come molti altri paesi europei sta attraversando una crisi economica senza precedenti e quindi misure di austerità sono necessarie.Ma misure  come quelle relative al blocco delle assunzioni potrebbe essere una scelta suicida. La Spagna infatti, a differenza di paesi come Germania e Regno Unito, ha l'industria tecnologia molto limitata  che non è in grado di poter assorbire lavoratori altamente qualificati, così gli scienziati di età compresa tra 20-40 anni non avranno altra scelta se vogliono proseguire la loro carriera di abbandonare il paese. La Spagna si potrebbe ritrovare quindi difronte a una fuga di cervelli multigenerazionale, con perdite corrispondenti in innovazione, ispirazione e credibilità. La crisi della ricerca  spagnola solo qualche anno fa sembrava difficile da prevedere, nel 2008 il futuro sembrava radioso, quando il ri-eletto governo socialista annunciava di voler spingere verso l'innovazione.

Che fare?

Evitare finanziamenti finanziamenti "a pioggia"; aumentare le retribuzioni dei borsisti e ricercatori e puntare l'attenzione al tema del technology transfer: queste erano solo alcune iniziative sui cui puntava il governo per rendere la ricerca spagnola all’altezza dei maggiori stati europei. Altre iniziative comprendevano il cosiddetto programma “Campus di Eccellenza Internazionale” per l'aggregazione di talenti e la creazione della massa critica di innovazione, che stanziava 150 milioni di euro e vincolava gli istituti universitari a render conto dei loro risultati di ricerca. Senza dimenticare il “programma Ramón y Cajal”, che lanciato nel 2001 era stato in grado di attrarre e trattenere i ricercatori altamente qualificati provenienti da Spagna e all'estero.                                                                                                                                                                                                        La La Spagna sembrava un isola felice, dove la ricerca scientifica aveva una priorità ma già in un editoriale del 2009 la rivista Nature esprimeva le proprie perplessità e metteva in guardia il governo spagnolo, sottolineando come il ministero della ricerca spagnolo avesse tardato a svilupparsi, e a perseguire la visione nazionale per la scienza, non creando per esempio un consiglio scientifico, simile a quella Wissenschaftsrat tedesca, costituita prevalentemente da scienziati che eletti dalla comunità scientifica aiutano il governo a prendere le decisioni per lo sviluppo della scienza e della tecnologia. Con l’arrivo della crisi economica il governo spagnolo non ha avuto più il coraggio di continuare a credere nella ricerca, utilizzandola nell’ “economia reale”, creando per esempio un industria per la  produzione di beni e servizi hi-tech che richiede grandi investimenti in ricerca e in alta educazione, però ripaga in termini di competitività sui mercati internazionali.


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