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Scienza e religione in Vita di Galileo di Bertolt Brecht

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Il dramma teatrale Vita di Galileo di Bertolt Brecht affronta con profondità le problematiche che si instaurano nel rapporto tra scienza e potere, ed in particolare tra la scienza e il potere temporale della Chiesa. La conflittualità che viene descritta nell’opera ha diverse sfaccettature: la scienza entra in conflitto con il potere politico rappresentato dalla Chiesa, ma anche con i dogmi teologici su cui la dottrina cattolica si fonda, affrontando così il tema delicato del rapporto tra scienza e religione.

Dal punto di vista personale sappiamo che Galileo non vede contraddizione tra le verità espresse dalla fede e quelle che lui ricerca attraverso la scienza. Secondo lui scienza e fede si conciliano in quanto sono entrambi strumenti per comprendere la stessa verità che proviene da Dio. Come scrive nella Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana, sia la Sacra Scrittura che la Natura sono emanazioni dirette del volere divino:

[…] nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio […]. 1

La differenza sta nell’interpretazione che viene data delle Sacre Scritture rispetto all’analisi che secondo Galileo deve essere fatta dei fenomeni naturali, appunto attraverso le “sensate esperienze” e le “dimostrazioni necessarie”. Esistono quindi due libri in grado di rivelare il Verbo divino: uno è la Bibbia, che non si pone come scopo l’interpretazione dei fenomeni naturali, bensì la redenzione delle anime. L’altro è invece il libro della Natura che gli uomini, “dotati di sensi, di discorso e d’intelletto”2 da Dio stesso, sono tenuti a leggere attraverso il metodo scientifico. Ecco come lo descrive Galileo: 

La filosofia [naturale] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.3

In Vita di Galileo la fede che lo scienziato professa nella ragione e nei sensi viene ripetutamente sottolineata. La ragione è necessaria per elaborare delle teorie, ma queste devono essere poi confermate dall’evidenza dei sensi attraverso le prove fornite dagli esperimenti.

L’opera di Brecht si apre a Padova nel 1609, dove Galileo tiene la cattedra di matematica dal 1592. Lo scienziato viene in contatto con il cannocchiale, inventato in Olanda l’anno prima, e lo perfeziona per usarlo nelle sue osservazioni astronomiche. È grazie a questo strumento che giunge alla sua prima grande scoperta, e cioè l’esistenza dei quattro satelliti di Giove. Non tutto ciò che si trova in cielo, quindi, ruota intorno alla Terra. Come mette in evidenza Brecht nella scena III si tratta della prima prova che può mettere in crisi il sistema tolemaico, secondo cui il Sole e tutti gli altri pianeti ruotano attorno alla Terra, centro immobile di tutto l’universo. Galileo ora si sente pronto a difendere la teoria eliocentrica di Copernico pubblicamente. All’amico Sagredo, che lo esorta a non divulgare le sue scoperte per timore delle reazioni delle autorità ecclesiastiche, Galileo risponde:

Li agguanterò per il collarino e li pianterò da­vanti al mio telescopio. Anch'essi soggiacciono alla se­duzione delle prove. Copernico, non dimenticarlo, voleva che credessero alle sue cifre: io chiederò loro soltanto di credere ai loro occhi.4

Ma le previsioni di Galileo si rivelano errate. Le convinzioni dei filosofi aristotelici e dei teologi non sono così facili da scalfire. Giunto a Firenze alla corte di Cosimo de’ Medici, Galileo è desideroso di presentare al Granduca il cannocchiale, e con esso le sue scoperte. Ma gli aristotelici con cui si scontra spostano la disputa su un piano puramente filosofico e, mostrando il loro disprezzo per le prove sperimentali, si rifiutano addirittura di guardare attraverso il telescopio.

Ma c’è chi all’evidenza delle prove e della ragione non può resistere, come Brecht sottolinea in tutta la sua opera. Secondo le parole di Barberini, il futuro papa Urbano VIII, la formazione scientifica “è come un prurito che ti resta addosso”.5 Nonostante l’aperta ostilità di scienziati aristotelici ed ecclesiastici è proprio un autorevole astronomo del Collegio Romano, Cristoph Clavius, che nel 1611 conferma le scoperte di Galileo, incapace di sottrarsi alla dimostrazione scientifica data dall’osservazione col telescopio. Ma in seguito Clavius afferma che “adesso i teologi dovranno prov­vedere a rimettere in ordine il cielo”6, ben consapevole di come l’interpretazione delle Sacre Scritture sostenga il modello geocentrico.

Infatti, nonostante l’approvazione delle scoperte di Galileo da parte del Collegio Romano, allo scienziato viene intimata prudenza: nel 1616 la teoria di Copernico viene messa all’indice e il cardinale Bellarmino, membro del Sant’Uffizio, impone a Galileo di considerare l’ipotesi eliocentrica solo come supposizione teorica, senza prefigurarla come un dato di fatto. Le apparenze così vengono salvate, e Bellarmino lascia Galileo “libero di dissertare anche su queste dottrine, pur­ché sotto forma di ipotesi matematiche”.7

Il contrasto tra scienza e religione qui è notevole: mentre il pensiero della Chiesa si fonda su dogmi irrefutabili, al contrario per Galileo la scienza deve essere sempre in grado di rimettersi in discussione. Nel 1623 Maffeo Barberini, da anni amico ed estimatore di Galileo, sale al soglio pontificio col nome di Urbano VIII. Il nuovo papa è, inoltre, anch’egli uomo di scienza, il che incoraggia Galileo a riprendere i suoi studi sulle macchie solari, accantonati dopo gli ammonimenti del cardinale Bellarmino. L’osservazione delle macchie solari, infatti, dimostra che il Sole ruota su sé stesso, contraddicendo così le affermazioni di Aristotele. Ecco come Galileo, riprendendo le sue osservazioni, esorta sé stesso e i suoi collaboratori ad affrontare la ricerca scientifica senza pregiudizi, con una disposizione d’animo sempre pronta a rimettere tutto in discussione:

Non m'importa di mostrare di aver avuto ragione, ma di stabilire se l'ho avuta. E vi dico: lasciate ogni speranza, o voi che vi accingete a osservare! […] Sì, rimetteremo tutto, tutto in dubbio. E non procederemo con gli stivali delle sette leghe, ma a passo di lumaca. E quello che troviamo oggi, domani lo cancelleremo dalla lavagna e non lo riscrive­remo più, a meno che posdomani lo ritroviamo un'altra volta. Se qualche scoperta seconderà le nostre previsioni, la considereremo con speciale diffidenza. E dunque, prepariamoci ora ad osservare il sole con l'inflessibile determinazione di dimostrare che la terra è immobile! E solo quando avremo fallito, quando, battuti senza speranza, saremo ridotti a leccarci le ferite, allora con la morte nell'anima cominceremo a domandarci se per caso non avevamo ragione, se davvero è la terra che gira! Ma se tutte le altre ipotesi, all'infuori di questa, ci si dovessero squagliare fra le dita, allora nessuna pietà per coloro che, senza aver cercato, vorranno parlare!8

Ma anche qui l’entusiasmo di Galileo dovrà venir meno a capo di qualche anno. Nel 1624 lo scienziato inizia un nuovo lavoro in cui mette a confronto il sistema tolemaico con quello copernicano, pubblicato poi nel 1632 col nome di Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. È a causa di questo scritto, forse la più nota tra le opere di Galilei, che lo scienziato inizia ad avere i suoi problemi. Galileo descrive, appunto sotto forma di dialogo, una disputa in cui il sostenitore del sistema copernicano, Salviati, viene descritto come uno scienziato intelligente e acuto. Il difensore del sistema tolemaico viene rappresentato da un aristotelico di nome Simplicio, che appare al contrario come un personaggio poco arguto. Nella conclusione dell’opera Galileo mette in bocca a Simplicio alcune argomentazioni spesso ripetute da Urbano VIII, secondo cui è possibile che le cause dei fenomeni naturali, emanazioni della potenza divina, rimangano imperscrutabili agli occhi dell’uomo. Quello di Galileo vuole essere un omaggio al papa, a cui appunto riserva l’ultima parola all’interno della disputa. Ma il fatto che il suo pensiero venga messo in bocca al “semplice” Simplicio irrita notevolmente papa Urbano VIII, facendo così cadere in disgrazia lo scienziato fiorentino.

La scena in cui Brecht descrive la reazione del papa alla pubblicazione del Dialogo è interessante sotto diversi punti di vista. Da un lato evidenzia come Urbano VIII, passato attraverso una formazione scientifica, prova quasi un’avversione a opporsi ai risultati ottenuti da Galileo: la scienza impone una sua etica di verità, e chi ha morso “il frutto dell’albero della conoscenza […] sarà dannato in eterno”9, incapace di chiudere gli occhi di fronte all’evidenza scientifica. D’altro canto Brecht sottolinea come la filosofia di Galileo, improntata al dubbio e sempre pronta a rimettere tutto in discussione, costituisca un serio pericolo per l’ordine su cui si fonda la dottrina della Chiesa. Nel seguente dialogo il cardinale Inquisitore mette in guardia papa Barberini, inizialmente benevolo nei confronti dello scienziato: 

papa: Non voglio mettermi contro la tavola pitagorica. Questo poi no!
inquisitore: Contro la tavola pitagorica o contro lo spi­rito del dubbio e dell'insubordinazione? Sono costoro che invocano la tavola pitagorica; ma è ben altro, noi lo sappiamo. Il mondo è percorso da un'inquietudine nefanda; e l'inquietudine dei loro cervelli, costoro la trasferiscono alla terra, alla terra immobile. « Le cifre parlano chiaro »: questo, il loro grido di battaglia! Ma don­de provengono quelle cifre? È presto detto: dal dubbio. Loro mettono in dubbio ogni cosa; e possiamo noi fon­dare la compagine umana sul dubbio anziché sulla fede?10

La situazione poi degenera quando Urbano VIII vede nel finale del Dialogo una messa in ridicolo delle sue argomentazioni. Ma la scintilla non si innesca solo a causa dell’irritazione di papa Barberini. Galileo mette in atto un meccanismo pericoloso quando decide di esprimere le proprie idee a proposito del sistema copernicano in volgare, rivolgendosi deliberatamente a un pubblico che non si riduce solo a un’élite di esperti. Attraverso il testo di Brecht si vede bene come l’opera di persuasione che Galileo intende compiere è di carattere globale. Include i dotti e i potenti, come si vede nella già citata scena in cui lo scienziato, appena arrivato alla corte di Cosimo de’ Medici, cerca invano di convincere il Granduca e gli aristotelici che lo accompagnano a guardare attraverso il cannocchiale. Galileo si rivolge poi alle massime autorità ecclesiastiche, cercando legittimazione ai suoi studi anche da parte della Chiesa. Ma il suo principale interesse è raggiungere con le sue idee quante più persone possibili, già consapevole di come i progressi della scienza non riguardano una piccola cerchia di esperti, ma comportino conseguenze che vanno ad investire l’intera società. Ed è dunque importante che tutta la società venga coinvolta, sia per essere consapevole dei cambiamenti che la ricerca scientifica porta con sé, sia per poter compartecipare attivamente a tali cambiamenti. Come Galileo stesso dichiara nel 1612 relativamente al Discorso intorno alle cose che stanno sull’acqua “io l’ho scritta vulgare, perché ho bisogno che ogni persona la possi leggere”.

La faccenda si complica quando a essere scritto in volgare è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui comunque traspare la propensione di Galileo per la teoria di Copernico. Fino al momento della sua pubblicazione, infatti, tutte le controversie con la Chiesa si sono ricomposte. Come afferma lo scienziato subito prima di riprendere i suoi studi sulle macchie solari:

Se Roma mi ha permesso di diventare famoso, è perché sono stato zitto.11

La preoccupazione da parte della Chiesa è duplice. Innanzitutto non si ammette che l’autorità delle Sacre Scritture, su cui la dottrina cattolica si basa, venga incrinata dalle teorie di Galileo. In secondo luogo a Roma si percepisce chiaramente che, una volta messa in discussione questa autorità, si instaura un meccanismo rischioso. La forza del dubbio può intaccare pericolosamente l’ordine costituito, come spiega il cardinale Inquisitore per convincere papa Urbano VIII ad agire contro Galileo:

In Italia, in questo paese dove tutti, fino all'ultimo degli stallieri, vanno ciarlando delle fasi di Venere sul funesto esempio di quel fiorentino, non v'è nessuno che non pensi in pari tempo anche a tutto quello che si dichiara incontestabile nelle scuole e in al­tri luoghi, e che riesce così sgradito! Che succederebbe se tutti costoro, deboli nella carne, inclini ad ogni ecces­so, tenessero per valida istanza solo la loro ragione, co­me va predicando quel forsennato? Una volta che dubitassero se il sole si sia davvero fermato in Gabaòn, i loro sporchi dubbi potrebbero estendersi anche alle questue! […] Quel malvagio sa ciò che fa, quando scrive le sue opere d'astronomia non più in latino, ma nell'idio­ma volgare delle pescivendole e dei lanaioli!12

È proprio grazie all’uso del volgare che le idee di Galileo si diffondono per le strade e nelle piazze, e addirittura i cantastorie ne discorrono tra la folla durante le manifestazioni del Carnevale: 

Oggi queste eresie

si diffondono come malattie.

Che resta, se si cambia la Scrittura?

Ognuno dice e fa quel che gli comoda

senza aver più paura.[…]

Se certe idee fan presa, gente mia,

cosa può capitare?

Non ci saran più chierici alla messa,

le serve il letto non vorran più fare...

Brutta storia! Non è cosa da poco:

il libero pensiero è attaccaticcio

come un'epidemia.13

La scienza quindi non si limita a occuparsi di teorie astratte e di ricerche che interessano pochi addetti ai lavori, ma agisce sul pensiero collettivo, stimolando una presa di coscienza da parte di tutta la società. In Vita di Galileo la scienza in questo si contrappone all’atteggiamento del potere ecclesiastico e della nobiltà, intenzionati a proteggere i propri privilegi con un saldo mantenimento dello status quo.

La filosofia di Galileo è improntata fermamente alla ricerca della verità, e per raggiungerla è necessario usare la ragione e spalancare gli occhi. Ma aprendo gli occhi non si rivelano solo i meccanismi che regolano l’andamento del cielo, ma anche quelli che governano il funzionamento della società sulla terra. Secondo Brecht il progresso portato dalla scienza va a influenzare la vita dell’essere umano, liberando l’individuo dal giogo dei potenti e migliorando nel concreto le sue condizioni di vita.

Galileo, convocato a Roma dal papa nel 1633, viene processato dall’Inquisizione con l’accusa di aver difeso e divulgato la teoria geocentrica. Per salvarsi è costretto a rinnegare il suo pensiero e la sua fede nella ragione, disconoscendo pubblicamente la dottrina di Copernico attraverso l’abiura. La Chiesa in questo modo riafferma il proprio potere, schiacciando l’uomo e proclamandosi arbitro assoluto in materia di fede così come di scienza.

Galileo vive i suoi ultimi anni sotto la stretta sorveglianza dell’Inquisizione. In una delle ultime scene dell’opera Brecht descrive l’incontro tra Galileo e il giovane Andrea, suo discepolo fin da bambino. Riflettendo sul suo caso lo scienziato si condanna con parole amare: 

Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.14

Ma la lucidità con cui riflette sull’importanza e sulla responsabilità della scienza nei confronti della società lo riscatta agli occhi di Brecht e dei posteri. La scienza, secondo Galileo, si deve porre due imprescindibili obiettivi. Da un lato attraverso le scoperte scientifiche l’uomo tende verso il progresso, capace di alleviare le fatiche dell’esistenza umana. D’altro canto la scienza non deve porsi come unico scopo la ricerca del sapere fine a sé stesso, ma uscire dal proprio isolamento tenendo sempre presente i suoi doveri nei confronti dell’umanità, lottando per liberarla dal peso dell’ignoranza e della superstizione con cui il potere tenta di sottometterla: 

Che scopo si prefigge il vostro lavoro? Io credo che la scien­za possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si li­mitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo. E quan­do, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità. Tra voi e l'umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale...15

Galileo a questo punto passa il testimone, offrendo la propria esperienza così come la propria ricerca nelle mani di chi rappresenta la scienza del futuro. Andrea, infatti, raccoglie gli insegnamenti dello scienziato, riuscendo a portare l’ultima opera di Galileo al di fuori dei territori controllati dall’Inquisizione. Si tratta dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, in cui lo scienziato illustra le sue scoperte sui principi della dinamica e sulla caduta dei gravi. L’opera più importante di Galileo giunge fino a noi, e la scienza elude il controllo di chi voleva tapparle la bocca.

Note

1 GALILEI, G. (1615), Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana, in Opere, a cura di A. Favaro, Barbèra, Firenze 1890-1909.

2 Ibidem.

3 GALILEI, G. (1623), Il Saggiatore, Feltrinelli, Milano, 1992.

4 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena III.

5 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena VII.

6 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena VI.

7 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena VII.

8 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena IX.

9 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena XIII.

10 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena XII.

11 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena IX.

12 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena XII.

13 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena X.

14 BRECHT, B. (1938-56), Vita di Galileo, Scena XV.

15 Ibidem.

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