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Il dialogo prima della parola

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“Bisogna trattare la natura attraverso il cilindro, la sfera, il cono, il tutto messo in prospettiva" P.Cezanne

« Egli [l'universo] è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. » G.Galilei

7 maggio 1959. In un intervento divenuto storico Charles Percy Snow denuncia la separazione tra quelle che in tutto il mondo vengono percepite e definite come le due culture: la cultura scientifica e la cultura  umanistica. Questa separazione secondo lo stesso Snow non fa altro che impoverire la popolazione stessa che non riconosce nelle arti come nelle scienze il comune e universale processo della conoscenza. Di questa separazione tuttavia non vi è traccia fino all’Illuminismo: Aristotele, Galileo, Pascal sono al contempo filosofi e scienziati.

È solo con l’Ottocento, in concomitanza delle rivoluzioni industriali e del trionfo della scienza applicata che assistiamo alla cristallizzazione della figura dello scienziato come di colui che, dedicandosi interamente all’applicazione delle leggi fisiche alla realtà quotidiana, si estrania dalle disquisizioni filosofiche o letterarie. La possibilità di controllare il mondo circostante e di piegarlo alle proprie necessità infonde quel senso di ottimismo e di fiducia che permea e caratterizza il positivismo. In un simile contesto, agli occhi di Benedetto Croce, la scienza assume la valenza di un mero “libro di ricette di cucina”.

Tuttavia il progresso non durerà per sempre o, quanto meno, non nell’accezione positivista; complice la ricerca un etere inesistente, una insidiosa somiglianza con gli scimpanzé e la fastidiosa scoperta della quantizzazione dell’energia, le colonne portanti del positivismo vacillano.

Se fosse vero che cultura umanistica e cultura scientifica sono distinte e impenetrabili, non assisteremmo al proliferare di quel senso di inquietudine e stordimento che caratterizza tutte le opere del primo novecento.

Accostando il quadro dipinto da Delacroix nel 1830 “La libertà che guida il popolo” a “Les demoiselles d’ Avignon” di Picasso, 1906, ci si rende conto che tra le due opere non vi è solo una distanza temporale ma lontananza culturale, espressione di una frattura insanabile.

Nel famoso quadro, Picasso rappresenta una realtà frammentata accostando punti di vista che non rispettano le regole classiche dello spazio e del tempo; regole che un impiegato dell’ufficio brevetti di Berna, tal Albert Einstein spezza nel 1905 con la pubblicazione della relatività ristretta.

Alcuni anni prima, tra il 1895 e il 1896 Sigmund Freud dà vita alla psicanalisi dichiarando l’esistenza di un mondo sommesso, sfaccettato e complesso della psiche che rivoluzionerà interamente la psicologia del ‘900. Nel 1909, sull’onda di questa modernità destabilizzante Pirandello inizia la stesura di “Uno,  nessuno e centomila”.

Seppure la crisi dei primi anni del XIX secolo sia un caso emblematico dell’intreccio tra scienza ed arte, a ben guardare in ogni ambito culturale possiamo ritrovare questa commistione e compenetrazione di linguaggi.

L’opera somma della letteratura italiana, la Divina Commedia di Dante Alighieri ci restituisce la rappresentazione medievale del cosmo e ci consente di affermare nel XIV secolo era noto che la terra non fosse piatta. Dante fa anche di più, nel Convivio dichiara di introdurre l’uso del volgare come mezzo di comunicazione scientifica “ne la via de la scienza, che è l’ultima perfezione”.

Ariosto, Leopardi, Calvino, per citarne alcuni, si lasciano inebriare dal profumo della scoperta e descrivono, cantano e raccontano infiniti mondi possibili.

Di arte in arte, tutte le opere pittoriche, architettoniche e scultoree non possono prescindere dal minuzioso studio geometrico, prospettico e anatomico; sarà addirittura la rappresentazione figurativa del corpo umano a dare inizio nel 1543, con Vesalio, alla medicina quale disciplina scientifica.

Persino il processo creativo lega indissolubilmente arte e scienza. Sebbene il luogo comune dominante vuole l’artista estroso e fantasioso creatore e lo scienziato uno schematico e rigido calcolatore è bene ricordare quanta genialità e creatività ci sia alle spalle di un esperimento scientifico: Eratostene, nel III secolo a.C., misurando l’ombra prodotta dal Sole ad Alessandria d’Egitto e Assuan fu in grado di determinare il raggio della Terra con un errore rispetto alla stima attuale dell’1%.

E non è solamente questione di genio: esiste, accanto all’intuizione, un paziente e meticoloso lavoro quotidiano che accomuna Michelangelo Buonarroti che colora le vesti e il cielo della Cappella Sistina, Cezanne che rappresenta maniacalmente la stessa mela o Galileo che segna notte dopo notte la posizione di Giove e dei suoi satelliti.

Neppure arte e tecnologia sono facilmente separabili: l’etimologia della parola “tecnologia” deriva dal greco “techne”: “arte” (collegato alla poiesis, ovvero alla produzione) e “logia”: discorso, trattato.

Non è un caso quindi che tra le meraviglie del mondo oggi annoveriamo opere la cui portata è epocale proprio in merito alla tecnologia con cui sono state realizzate; dalle piramidi egizie ad uno Stradivari qual è il confine tra arte, tecnologia e tecnica?

Muse8 giugno 2010. In una afosa serata milanese trentacinque mila persone accalcate, urlano all’unisono le parole “supermassive black hole”. Non sono astrofisici, non sono scienziati; è il pubblico presente allo stadio G. Meazza di San Siro per il concerto dei Muse, rock band inglese, in occasione dell’uscita dell’album “Black Hole and revelation”. Cantano e rimandano più o meno inconsapevolmente ad un concetto squisitamente scientifico e specialistico. Einstein mai avrebbe immaginato qualcosa di simile. Trentacinque mila persone in uno stadio si divertono giocando con concetti, formalismi e parole.

Se è vero che la comprensione della realtà è legata alla nostra capacità di giocare, di provare, simulare, testare e immaginare, che differenza c’è dunque tra arte e scienza?

“La funzione creatrice dell’immaginazione appartiene all’uomo comune, allo scienziato, al tecnico; è essenziale alle scoperte scientifiche come alla nascita dell’opera d’arte è addirittura condizione necessaria della vita quotidiana” (G. Rodari, La grammatica della fantasia).


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La storia della talidomide, con le sue drammatiche conseguenze, ha segnato un punto di svolta per la medicina e la regolamentazione farmaceutica. Le parole di Giulio Maccacaro, del quale ricorrono nel 2024 i cent'anni dalla nascita, ci ricordano ancora oggi l'importanza della consapevolezza e della responsabilità collettiva.

Crediti immagine: modificata da Kai Oesterreich/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 3.0

Lo studente, diciottenne, che si è appena iscritto in una nostra università per laurearsi medico tra sei anni, può intendere il titolo di questo libro? Conosce il significato di “talidomide”? Immagina il “potere dell’industria farmaceutica”? Io, suo insegnante, posso rispondere, negativamente, per lui che era appena scolaro delle elementari quando termini come “talidomide” e “focomelia”, nomi come Chemie Grünenthal e Contegan facevano titolo su tutti i giornali del mondo.