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La genesi dell’opera d’arte. I pensieri dell'artista

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Un pensiero mi ossessiona. Non mi dà tregua né pace. So cosa voglio realizzare. Una nuova opera. Aggiungerla alla mia collezione. Collocarla accanto alle altre creazioni artistiche esposte nella galleria. Io le terrei tutte per me. Invece dovrò venderne qualcuna per sopravvivere. Quel tipo arrogante dell’altro giorno. Mi ha preso per un suo dipendente. Chi si crede di essere. Invece di acquistare è stato esplicito. Desidera un capolavoro su committenza per il compleanno della sua ultima conquista. Accidenti a lui. Io non lavoro a comando di altri ma soprattutto per far contento me stesso. Purtroppo la ragione pratica mi obbliga a fare questo. Anch’io devo nutrirmi. Se solo si potesse vivere di aria avrei risolto i miei problemi. Cosa mi ha suggerito? Chi se lo ricorda. Non stavo neanche a sentirlo tanto era noioso. Pensavo ad altro. Come sempre faccio solo quello che mi pare e piace. Non sono avvezzo ad ascoltare i consigli di chicchessia. Lei invece era molto bella. Di una bellezza conturbante. Troppo per lui. Per me è una professionista. Non stanno insieme certo per amore. Va a sapere cosa è l’amore per una donna. M’ispirerò a lei. Si! Sarà la mia musa. Il tutto mi sarà più gradito se penserò a lei.

Ora devo trovare il collegamento tra lei e il desiderio di esprimermi artisticamente. Devo tradurre le sensazioni psichiche nel mio linguaggio. Adesso percepisco a un livello diverso. Trasfigurato. Nebuloso. Indistinto. Informe. Non mi capacito di come nella mente si possa avere simultaneamente lucidità e opacità nei confronti della stessa idea. Devo riflettere ancora. Scegliere la forma espressiva tra le tante. "Quale sarà la migliore", mi domando. Chiudere gli occhi per immaginarla forse mi aiuterà. Sento di essere nella giusta direzione. Devo impostare l'ordine dei lavori anche scrivendo un canovaccio e apponendovi delle chiose a margine. Come ottenevo il massimo dell'ispirazione le altre volte. Non lo so. Chi si ricorda. Non faccio niente di diverso. Almeno, mi pare. Lo facevo e basta. Un dubbio insidioso mi assale: "Non avrò esaurito la vena creativa". Non voglio nemmeno pensarci. Il timore mi fa stare male. Devo solo concentrarmi e la cosa verrà da sola. Sta squillando un telefono. Che suono lontano, ovattato. Non può essere mio, ha un trillo che perfora i timpani, lo riconoscerei. Che strano però. Qui ci sono solo io e nessun altro.

Prepariamo l'occorrente. Anzi mi preparo l'occorrente. Non posso certo permettermi un aiutante. Devo farmi tutto da solo. Mi sto completamente dissociando. Uso il plurale. Sono sempre più confuso. Cosa mi succede? I miei muscoli hanno dei fremiti e la mia vista si annebbia. Mi coglie improvvisamente un torpore allucinato. La mia testa è, però, leggerà e penso lucidamente. Tutto mi è perfettamente chiaro. Qualche minuto di riposo mi farà bene. Mi stendo un poco. Tutto sarà diverso, dopo. Ne sono sicuro. Che ore saranno? Non so. Saperlo è facile. Guardati l'orologio al polso e lo saprai. Mi dico. Strano! Non mi ero accorto che fosse passato tutto questo tempo. Oramai mi sono ridotto a dialogare con me stesso. Le disposizioni me le impartisco da solo come ho fatto ieri quando mi sono imposto il programma di lavoro per oggi. Cosa mi sono detto? Si! Finalmente ricordo. Mi sono prescritto di prepararmi l'occorrente e di approfittare di un giorno libero per esprimere il mio talento, senza interferenze esterne; e anche di concentrarmi per eseguire l'opera, senza soluzioni di continuità, ma con brevi intervalli di pausa al bisogno. Tale concentrazione, mi dissi, sarebbe perdurata fino al momento in cui non fossi soddisfatto del risultato e questo fosse conforme alle attese. Le mani si sarebbero mosse agili come sospinte da forze misteriose ma amiche e mi avrebbero fornito tutto l'aiuto necessario. Mi rialzo. Il cervello diviene sereno ed entra in uno stato di euforia. Niente mi disturba sono indifferente a tutto tranne che a quello che sto facendo. La mia vista osserva l'azione e tutto intorno e sfocato privo di contorni e oggettività. Tutto l'intorno mi è indifferente. Senza rilievo o interesse alcuno. Non so più chi e dove sono. Vivo il presente in un'altra dimensione. Estranea ma contigua a questa mentre io sono parte di entrambe allo stesso tempo. Vivo uno stato mentale di rapimento. Sono totalmente assorbito in me stesso e dalla mia intensa attività.

Osservo il risultato soddisfatto. Alcune finiture devono ancora essere apportate prima che possa dirsi completata. Questo era quello che volevo e per raggiungerlo ho dovuto raccogliere tutte le mie forze. La stanchezza mi vince. Sono sfinito. Prima di abbandonarmi al meritato riposo, metto in sicurezza la mia creatura, affinché non le accada nulla di male, durante il ristoro delle forze. La mente è sovraeccitata dalla gioia. La lunga gestazione e la fatica di una snervante attesa è stata coronata dal successo pieno e completo. Voglio ammirarla ancora una volta e un’altra ancora. Quasi incredulo, con occhi vitrei, fisso innanzi a me il pensiero astratto emerso dalle profondità dei labirinti della mia mente, divenuto esistente sotto forma di palpabile concreta materia. La copro pudicamente con un telo affinché essa non soffra per la sua virginea fragilità. Desidero conservare quest’atmosfera. Non voglio uscire da questo spirito prima d’essere certo d’avere bene sviluppato ogni aspetto fondamentale. Difficilmente potrei ricreare questo clima tanto atteso e raro da conquistare in cui sento così bene. Verifico ogni aspetto. Osservo prospettive e angolature. Lo stile è perfetto. Sono felice. L’atto della creazione è benefico e salutare. Un esercizio mentale d’introspezione con il quale mi studio internamente e divento sintonico con il mio ego.

L'onirismo estatico sfuma gradatamente e mi riporta alla realtà della normale coscienza. La visione si amplia. Riconosco tutto quanto mi circonda. L'arredo e i suoi complementi. Riprendo cognizione della mia identità corporea e spaziale. Sorrido soddisfatto in preda ad un diffuso benessere. Da dove è iniziato il fenomeno? Mi ricordo. Da quando organizzavo e riordinavo le mie cose. Allora devo riportarmi in quella situazione. Come sono entrato in quello stato mentale ne uscirò percorrendolo a ritroso. Riordino gli oggetti sparsi in modo disordinato e tutto diventa normale con gli attributi di sempre. Avverto i rumori, gli aromi e la temperatura esterna e in tutto questo ritrovo la dimensione ordinaria della quotidianità.

di Gilberto Bignamini


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