fbpx L’Italia diversa. L’ambientalismo nel nostro Paese. | Scienza in rete

L’Italia diversa. L’ambientalismo nel nostro Paese.

Tempo di lettura: 3 mins

10 luglio 1976, ore 12:37. Una data che è, in qualche modo, un punto di non ritorno: il disastro di Seveso, il paese più colpito dall’incidente dello stabilimento chimico di Meda, ricordato come uno dei disastri ambientali più tragici e emblematici del nostro Paese. Tale data è anche un punto di partenza per un viaggio nella memoria storica degli ultimi decenni dell’Italia, con lo sguardo rivolto ai cambiamenti e agli stravolgimenti del nostro paesaggio. “L’Italia diversa”, diGabriele Salari, è un progetto editoriale che nasce come un’urgenza – come raccontato dallo stesso Salari in appendice – considerando le ricorrenze chiave del 2011: 35 anni da Seveso, appunto, 25 da Chernobyl, tra le più importanti.

240 pagine che - con la complicità di contenuti fotografici d’archivio e più attuali - cercano di capire quali siano stati gli scempi ambientali più rilevanti in un Paese che sembra non accorgersi ancora dell’eccezionale diversificazione del suo paesaggio. E molto spesso, invece, lo mortifica.

L’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo – dopo la rivoluzione francese – privo di certezza del diritto in materia di uso del territorio”: sono le parole di Vezio de Lucia, urbanista non nuovo alle polemiche sulla gestione dissennata nel territorio e assetto urbano italiano, a fare da apripista a questo volume. Quella di de Lucia non è l’unica voce prestata a questo viaggio, molti sono gli ospiti che lo rendono una specie di romanzo per immagini, reali o evocate lungo la cronistoria documentata. Partire dal ‘76 significa, inevitabilmente, ricordare la crisi energetica di metà anni ’70, il percorso lento che ha permesso una ridefinizione di ‘natura’ in ‘ambiente’, con la nascita delle prime associazioni. O ancora, la minaccia dell’amianto (messo al bando nel 1982) e gli eventi di portata internazionale che hanno influito, inevitabilmente, su alcune scelte italiane: Bhopal in India, 1984, Chernobyl, fino ad arrivare a Kyoto e Fukushima, ultima tappa.

Non si parla però solo di sconfitte e disastri più o meno annunciati. Il racconto si fa corale nella seconda sezione, con il contributo dei pionieri dell’associazionismo per la tutela ambientale: Franco Iseppi presidente del Touring Club Italiano, Alessandra Mottola Molfino presidente di Italia Nostra, Fulco Pratesi presidente onorario del WWF, tra gli altri - “Abbiamo creato un modello in Italia consentendo a milioni di persone, soprattutto bambini, di conoscere e amare gli ecosistemi naturali, sviluppando la ricerca scientifica in queste aree e favorendo il turismo

Se i successi guadagnati da questi protagonisti - come l’istituzione delle aree protette, la rivalutazione del paesaggio rurale e il rimboschimento - hanno in qualche modo arginato un processo di perdita, la crisi complessiva in cui versiamo richiama in modo prepotente l’ambiente, in senso lato. Guardare al futuro con la certezza che le risorse ambientali siano un volano per lo sviluppo è il leit motiv dell’ultima sezione, “Le sfide che ci attendono”, curato daLuca Carra. Non solo natura, ma anche arte, agricoltura e turismo: l’ambiente diventa un soggetto complesso con cui convivere e le sfide vengono affrontate con proposte di Vincenzo Balzani per la crisi energetica, Antonio Navarra per la politica nel cambiamento climatico,Riccardo Petrella per la risorsa dell’acqua – alcuni tra i dodici contributi conclusivi.

“L’Italia diversa” è un volume che vuole fare il punto, insomma, provando ad aprire un nuovo viaggio e proporsi come guida, non per gli addetti ai lavori. Un progetto ambizioso e non semplice, considerando la posta in palio. Che però avrebbe potuto avvantaggiarsi di un maggiore contributo dedicato a quanto l’iniziativa dei singoli cittadini, ora, può fare la differenza, senza aspettare (inutilmente?) improbabili cambiamenti nelle strategie politiche che troppo hanno influito sullo spreco delle nostre risorse. E, a ben vedere, questa prospettiva sarebbe rafforzata dalla consapevolezza che i difetti del Bel Paese serpeggiano nella cultura figlia di una storia ben più lunga degli ultimi 35 anni.

Ma lo spirito evocativo e la documentazione di questo viaggio non lasciano dubbi su quello di cui si sta parlando.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.