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I medici di domani

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Il numero degli iscritti agli esami d'ammissione alle facoltà di medicina quest'anno ha superato ogni record. Lo scorso 11 aprile, a Roma, quasi novemila giovani, per la maggior parte donne (5.215 vs. 3029 maschi), hanno partecipato ai test scritti per l'ingresso all'Università Cattolica. La loro straordinaria affluenza ha addirittura mandato in tilt il traffico della capitale. Se le statistiche non mentono, si tratta di un trend inarrestabile. Basta verificare il numero sempre crescente negli anni dei candidati che competono per un posto presso le facoltà di medicina e chirurgia di qualsiasi ateneo italiano (vedi tabella). 

 

ATENEO

 

POSTI DISPONIBILI

a.a. 2010-11

 

CANDIDATI

a.a. 2010-11

 

 

POSTI DISPONIBILI

a.a. 2011-12

 

CANDIDATI

a.a. 2011-12

Padova

326

2218

 

414

2536

Milano

360

2299

 

427

3105

Napoli Federico II

338

2082

 

427

3299

Roma La Sapienza

(Iª facoltà)

610

4580

 

861

6536

Fonte: nostra rielaborazione dati http://www.unimed-test.it/

In base alla più recente anagrafe del personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, riferita al 2008 ma pubblicata dal Ministero della Salute solo lo scorso anno (marzo 2011), il nostro Paese può contare su 105.792 medici, per la maggior parte donne (oltre il 63% del totale). In base al rapporto Ocse 2008, il nostro sistema è contraddistinto dal più alto numero al mondo di medici per abitante: più di 600 ogni 100 mila persone (dati 2005). Come se ciò non bastasse, la competizione nel settore pubblico è molto alta e i più giovani faticano per ritagliarsi un posto di lavoro. L'esubero dei medici è un fenomeno che ha iniziato a verificarsi a partire dagli anni Settanta e che negli anni Novanta si è tentato di regolare ricorrendo al numero chiuso, riducendo quindi il numero degli iscritti alle facoltà di medicina. Da un totale di oltre 17 mila nel 1980 siamo passati ai 5623 del 2006. Eppure questa operazione risulta tuttora poco efficace e, a nostro parere, limitata anche nel razionale di partenza. 

Sono tre i punti che ci preme sottolineare:

  1.  Non vi è dubbio che occorra porre un limite numerico alla formazione dei medici italiani, ma il tetto dovrebbe essere calcolato sulla base delle concrete esigenze del Sistema sanitario nazionale, valutando le necessità delle diverse specialità su tutto il territorio e compilando la mappa dei bisogni reali del Paese. È un metodo già utilizzato da tempo, con successo, altrove. 
  2. L'altra anomalia del metodo di selezione dei nostri futuri medici è la disomogeneità dell’applicazione dello sbarramento alle facoltà di Medicina sul territorio nazionale. I candidati rispondono alle stesse domande ovunque sostengano il test ma ogni ateneo predispone la propria classifica, in base ai propri criteri. Anziché prevedere un punteggio minimo necessario per essere ammessi, variabile da ateneo ad ateneo, sarebbe auspicabile una graduatoria unica, su base nazionale, che prenda in considerazione non soltanto i risultati dei test d'ingresso, ma anche, ad esempio, il voto di maturità o la media degli ultimi tre anni della scuola superiore. Insomma, una lista unica che comprenda più elementi, possibilmente anche un colloquio o un'altra forma di valutazione della motivazione a diventare medico, e che consenta a tutti di scegliere l’ateneo che preferiscono, con un diritto di priorità determinato dalla posizione in graduatoria. La cultura del merito, ancora così carente all'interno delle nostre università, diverrebbe anche cultura del metodo, producendo benefici effetti sull’impostazione della futura classe medica italiana
  3. Infatti, non è solo la quantità, ma la qualità dei medici da formare, che dovrebbe preoccuparci. I test d'ingresso italiani attualmente comprendono quattro prove suddivise per argomento (cultura generale e ragionamento logico, biologia, chimica, fisica e matematica). Ogni anno vengono sollevate polemiche sul loro contenuto e sulla natura dei quesiti di esame. Una cultura generale è certamente necessaria per affrontare il mondo, ma per essere medico occorre avere anche empatia, senso di responsabilità, compassione, attitudini che nessun test a risposta multipla potrà rivelare. Nessun quesito domanda ai candidati perché desiderano diventare medici, né è previsto un colloquio psico-attitudinale. Ci sono invece domande improbabili, spesso inutili. 

Ciò che davvero serve è una profonda revisione dei criteri di valutazione e selezione dei medici di domani. Negli USA, dove già la pianificazione numerica è condotta da decenni, qualcosa sta cambiando. L'Association of American Medical Colleges ha deciso che a partire dal 2015 i test d'ammissione alle facoltà di medicina comprenderanno per il 50% quesiti relativi alle scienze sociali e umanistiche. Sono previste due nuove sezioni della prova d'esame, che allungheranno la sua durata da 4 ore e mezza a 6 ore e mezza, e che impegneranno gli studenti con tematiche relative a sociologia, psicologia, bioetica, analisi critica e interpretazione di testi, concentrandosi anche su temi quali la diversità culturale e le priorità sanitarie per i soggetti svantaggiati. Un bel cambiamento, dopo 40 anni in cui il tanto temuto MCAT (Medical College Admission Test) si è basato esclusivamente su argomenti scientifici (a onor del vero fino al 1976 comprendeva anche una parte intitolata "Comprendere la società moderna", poi rimossa). Anche negli USA le facoltà di medicina non possono accogliere tutti i giovani desiderosi di diventare medici. Nel 2011 i candidati a livello nazionale sono stati quasi 44 mila per un totale di 19 mila posti disponibili. A partire dal 2015, il tipo di studente selezionato potrebbe essere diverso e questo influirà sulle future generazioni di medici.

La preoccupazione diffusa che ha stimolato questa decisione deriva dalla constatazione che sempre più dottori, nonostante siano capaci tecnicamente, hanno scarsa propensione all'ascolto e alla comunicazione con l'ammalato. Certamente, ci sono limiti a ciò che un test a risposta multipla può svelare sulla capacità di empatia di una persona, ma è un passo avanti nella direzione giusta. Per i giovani candidati, questo significa studiare ancora di più; per i college che si apprestano a preparare i giovani per la prova di ammissione, ciò implica ampliare l'offerta di certi corsi (ad oggi, negli USA, solo il 5% degli studenti che frequentano corsi preparatori ai test di ingresso a medicina proviene da una facoltà umanistica. Più della metà proviene da scienze biologiche). Infine, le facoltà di medicina dovranno rivedere almeno in parte le modalità di selezione dei candidati e, come conseguenza, anche i criteri di autovalutazione del proprio valore. Il ranking delle  scuole migliori in futuro potrebbe non dipendere più solamente dal numero dei brevetti ottenuti, dalle statistiche degli interventi eseguiti o dei premi Nobel vinti, ma anche dalla reputazione degli ottimi medici sfornati, quelli capaci finalmente di parlare con il paziente, di ascoltarlo e affiancarlo durante tutto il percorso terapeutico.


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