fbpx Innovazione e tradizione della fotografia in un documentario | Scienza in rete

Innovazione e tradizione della fotografia in un documentario

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

Alla parola innovazione, si associa spesso l’idea di una novità tecnologica con impegnative responsabilità di rivoluzione. La straordinaria mutazione, nell'ultimo decennio, dello scenario legato agli strumenti di comunicazione ha indubbiamente offerto una vasta scelta di stagionali feticci rivoluzionari. Rivoluzionario però, può essere innanzitutto il modo di ripensare la realtà. Gli anni della digitalizzazione globale hanno in buona parte stabilito una frattura col passato, in questo senso.

©2010 Scully & OstermanPensiamo ai nuovi mezzi per produrre fotografie e filmati. Per apprezzare se e quanto si tratti davvero di rivoluzione, basta fare un viaggio indietro nel tempo. E’ la nascita della fotografia nel diciannovesimo secolo ad aver segnato, storicamente, il passaggio cruciale verso una società legata alla diffusione delle immagini, fisse e in movimento poi. I primi lavori di Daguerre e Niépce sono ancora il simbolo di un cambiamento a cui guardare per capire quanto e come il secolo successivo sia cresciuto in quella direzione. E quell’innovazione sta vivendo oggi una sua nuova trasformazione, chissà quanto definitiva, ma di certo altrettanto ‘storica’: la sintesi digitale con apparecchi sempre più versatili - Instagram e altre popolari applicazioni per fotocamere e smartphone, ad esempio - si traduce nella replica di molte delle tecniche ed effetti fotografici realizzati finora. Ma riprodurre non vuol dire, automaticamente, recuperare e conservare. Lo sforzo pioneristico dei primi artigiani della fotografia, i primi a familiarizzare con le proprietà chimiche dell’argento e le tecniche al collodio, rischia di diventare pura archeologia. La rapida trasformazione digitale può nascondere la minaccia di seppellire quella memoria e la conoscenza del delicato equilibrio tra luce e reagenti chimici. I cosiddetti nativi digitali non hanno probabilmente mai sviluppato, o anche solo toccato con mano, un negativo.

©2010 Scully & OstermanCome noto, questa metamorfosi ha interessato anche altri tipi di supporto - potrebbero diventare un ricordo i giornali cartacei, gli album nei negozi di dischi e (con meno ‘urgenza’) anche i libri nelle librerie - e ha stuzzicato dibattiti non privi di retorica: adeguarsi o arginare finché possibile? E’ la fine del modo di fare cultura conosciuto finora? Possiamo tornare alle 'carrozze coi cavalli'?Indicativa è stata la chiusura, lo scorso gennaio, della Kodak - la multinazionale famosa per le pellicole Kodacrhome - che pur avendo alle spalle una storia e un marchio talmente forti da consentirle di affrontare questa sfida, si è arresa alla morte della pellicola. Tuttavia, la (non dichiarata) promessa di rivoluzionare anche il modo di fare arte con i nuovi mezzi legati all’immagine merita di essere affrontata, superando l’inevitabile retorica, per pesare la vera innovazione di instagram e affini e capire quanto, in realtà, non possa fare a meno della tradizione. Artist & Alchemists è il titolo di un documentario prodotto dalla Market Street Productions - attualmente in post produzione – che racconta le origini della fotografia, l’evoluzione dei procedimenti chimici coinvolti e come è cresciuta la tecnologica successiva, oltre al suo impatto nel mondo contemporaneo. Che, in sostanza, vuol dire raccontare la storia di un’innovazione senza precedenti nella Storia.

©2010 Scully & OstermanMa non solo. In Artist & Alchemists protagonisti d’eccezione sono alcuni artisti che lavorano ricreando e riproponendo fedelmente le tecniche fotografiche del diciannovesimo secolo nel mondo digitale. Fin da tempi non sospetti, in realtà: France Scully e Mark Osterman hanno avuto l’idea di mettere su un laboratorio artigianale catapultato indietro nel tempo già nel 1991. Realizzare i vecchi processi al collodio con l’aiuto e la versatilità di sostanze chimiche più moderne è una scommessa già vinta. Collaborando con il George Eastman House International Museum ofPhotography and Film di Rochester, NY, i due moderni Daguerre sono autori di scatti al collodio per privati, gallerie, exhibits, oltre a workshops, lezioni e pubblicazioni di vario genere. Sono tra i dieci artisti protagonisti del documentario, contattati da Chris Ekstein per testimoniare quest’inedita e appassionata esperienza con un mezzo d’espressione e di diffusione di nuova generazione.

France e Mark hanno raccontato a chi scrive la loro esperienza, e il loro punto di vista sul rapporto tra tecnologia e arte.

©2010 Scully & Osterman

Qual è stata la vostra reazione emotiva nel realizzare Artists&Alchemists?

France Scully: “Naturalmente siamo molto eccitati a riguardo. Ci sentiamo fortunati ad essere inclusi in questa compagnia. Ma non c’è una diffidenza nei confronti del digitale, non vedo delle ‘alternative’ o processi fotografici storici come ‘anti digitali’. Non è per quelloche li utilizziamo. Mi sono avvicinata ad ogni processo che può supportare il lavoro che vogliamo fare, incluso il digitale." Mark Osterman: “Per dieci anni, ho lavorato a tempo pieno come Storico del Processo Fotografico al George Eastman House qui a Rochester, in New York. Durante questo periodo ho insegnato l’evoluzione della fotografia dalle tecniche pre-fotografiche con le emulsioni gelatinose a conservatori della fotografia in tutto il mondo. Il raro equipaggiamento fotografico del 19esimo secolo che abbiamo mantenuto era per il solo proposito di comprendere e insegnare la storia della fotografia." "I produttori di Artists&Alchemists mi hanno chiesto di concentrarmi sugli ambrotipi. Ho scelto quelli dei traveling medicine, per presentare il mio lavoro come una collezione di memorie. Concreto...ma fragile allo stesso tempo."

France e Mark conoscono bene il confine tra tecnica ed espressione artistica, quanto l’una debba essere a servizio dell’altra, anche nel caso degli antichi processi al collodio.

©2010 Scully & OstermanF: “Vorremmo che sia gli artisti che i collezionisti diventassero più critici a riguardo di questo connubio tra processo e immagine. Il processo non è la forma artistica, è meramente un supporto per l’immagine – nello stesso modo in cui un artista sceglie un particolare colore o pennello. Chi usa oggi il collodio sembra pensare che usare un processo storico significhi fare un grande lavoro” "Quando si raggiunge una certa confidenza con la tecnica, ci sono poi molti fattori che contribuiscono alla realizzazione dell'immagine. A me ad esempio piace molto il modo in cui i colori interagiscono con il collodio e le esposizioni più lunghe. Aggiungono una dimensione al mio lavoro. Ogni parte di questa esperienza è contemporaneamente di pensiero e visuale. Come artista, lo trovo molto seducente. La Scully&Osterman è stata fondata nel 1991. In 20 anni di attività, è possibile stabilire quanto diffusa sia la consapevolezza del valore di questa tradizione?

©2010 Scully & Osterman

M: “Avendo a che fare con il revival delle tecniche al collodio, sentivamo che il movimento era ancora in una fase embrionale, a livello di addetti ai lavori. Ci sono molte varianti nella tecnologia basata sul collodio. Ma quasi tutti gli artisti che oggi utilizzano il processo, producono solo positivi diretti, sia ambrotipi che ferrotipi” “Una delle cose che hanno ostacolato la completa evoluzione del revival è l' attrazione ai soli difetti del processo quando non usato con attenzione. I process artifacts- striature e graffi - possono essere molto belli e, in alcuni casi, possono dare una sensazione ad un’immagine che non è fornita da altri mezzi. Ma d'altro canto possono anche essere una distrazione" "Poi ci sono i negativi al collodio, una nuova, vecchia, frontiera che ancora stenta a farsi strada".

"Artists & Alchemists" è un’occasione importante per raggiungere un pubblico più vasto. Vi darà anche l’opportunità di aumentare gli exhibit e le esibizioni dei vostri lavori?

F: ”Sì, ci sono diversi programmi per l’Europa. Anne Cartier-Bresson, ad esempio, ha già inserito i nostri lavori in un exhibit che ha curato, L'objet photographique: une invention permanente al Maison Européenne de la Photographie, a Parigi lo scorso anno. Più di recente, nell’autunno 2011 un nostro lavoro è stato inserito all'“Eclats de photographie” al Musée Adrien Mentienne di Bry-sur-Marne, in Francia. E stiamo programmando un exhibit di The Light at Lacock, Sun Sketches at the Twilight of Photography al Talbot Museum di Lacock Abbey in Inghilterra

Stiamo assistendo ad un'epoca di trasformazioni radicali. Quanto si può acquisire dalla tradizione per guardare al futuro?

M: "Forse la tradizione ci può dire come questi artifatti siano ancora qualcosa da rivalutare. E col tempo, diventando sempre più rari, potranno essere ancora più preziosi, specialmente come mezzo d’espressione per gli artisti."

[video:http://www.youtube.com/v/gI3WAEXJXDk]

Images Credits: ©Scully & Osterman

Per info: Scully & Osterman - sito ufficiale: http://www.collodion.org


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo