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Londra si reinventa tra acqua e olimpiadi

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Nord est di Londra, 12 km da Trafalgar Square, luglio 2010: una flottiglia di barche è appena passata attraverso la chiusa di City Mill. Abbandonata per più di 40 anni, quest’opera idraulica di controllo delle acque è stata restaurata al costo di mezzo milione di sterline. Successivamente nella stessa zona sono stati riparati 2,4 km di sponde lungo i canali navigabili. Sono state create, inoltre, alzaie larghe 4 metri per favorire il passaggio di pedoni, ciclisti, pescatori e l’attracco di diportisti. Altri 2,5 km di sponde sono stati rinaturalizzati, in favore dell’habitatacquatico. E sempre qui, nel triangolo tra Bow, Stratford e Fish Island, la British Waterways, l’ente pubblico che ha la competenza della gestione e manutenzione delle vie d’acqua londinesi, ha stanziato una somma ulteriore di 750 mila sterline per il dragaggio e il miglioramento delle infrastrutture del fiume Waterworks, con l’obiettivo di facilitare futuri ormeggi e avviare la prima fase di ristrutturazione della chiusa di Carpenter road. Quale progetto sta dietro a tanti lavori di riqualificazione, in un’area sconosciuta alla gran parte dei turisti, ritenuta, a torto, “di periferia”?

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Per scoprirlo bisogna sapere che tutti questi canali fanno parte della Bow Back Rivers, una fitta rete di corsi d’acqua utilizzati dalle vecchie fabbriche in epoca industriale e mano a mano abbandonati a partire dalla seconda Guerra Mondiale. Questo declino, lungo 50 anni, sembrava inarrestabile ed era stato causato sia dalla chiusura di moltissime fabbriche, durante l’era della deindustrializzazione, sia dallo spostamento del porto di Londra dalla vicina e immensa zona dei Docks a Tilbury, 35 chilometri a est della capitale.

Le chiatte, pensionate da tir e container, oggi si stanno prendendo una grande rivincita. E presto saranno seguite da altri tipi di imbarcazioni, piccole, come canoe, o più grandi, cometaxi d’acqua. Grazie alle Olimpiadi. Perché proprio in questa zona è in fase di ultimazione il Parco Olimpico, che a fine luglio sarà in grado di ospitare migliaia di atleti, spettatori e turisti che utilizzeranno tali strutture per muoversi o ricevere merci e servizi.

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“Non ci sono previsioni definitive sulla quantità di visitatori che ci aspettiamo durante il periodo dei giochi 2012, anche se abbiamo ‘stime' sulla base delle precedenti edizioni - ha dichiarato al Telegraph Martine Ainsworth-Wells, della London & Partners, l'agenzia incaricata ufficialmente della promozione di Londra -. Un rapporto indipendente della Oxford Economics stima che il numero di turisti che alloggeranno a Londra per seguire le gare sarà di circa 450 mila. Inoltre giungeranno nella capitale 5,5 milioni di visitatori al giorno, durante lo svolgimento della manifestazione sportiva”.

Così la Greater London, megalopoli di 12 milioni di abitanti, progetta il futuro di un’area, la Lower Lea Valley, con una popolazione di soli 124.150 abitanti e vastissimi spazi dismessi da recuperare. Le Olimpiadi hanno permesso la riqualificazione di un ampio tratto con stadi e palazzetti circondati da canali e vie d’acqua: una sorta di Venezia sportiva, una Amsterdam dei cinque cerchi che vuole fare dell’evento olimpico l’occasione per ripensare una megalopoli in chiave eco-friendly. Ma c’è ancora molto da fare.

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Questo è solo un primo passo verso la scelta che la megalopoli sta compiendo volontariamente: non tanto quella dell’ulteriore espansione quanto quella della rifunzionalizzazione di parti di sé. E questa megacitiy ha già generato casi d’eccellenza a riguardo: basti pensare a Canary Wharf, il nuovo cuore finanziario, alle residenziali Isle of Dogs e Wapping o ancora all’area di North Greenwich, dedicata a spettacoli e musica grazie alla creazione della grande tensostruttura dell’Oxigen. Londra, la più antica città che è diventata megalopoli mostra di crescere, evolversi: non tanto nell’espansione quanto nella sua capacità di reinventarsi, di riprogettarsi, entrando di diritto nel novero di quelle città che il filosofo Gianluca Bocchi definisce come “evolutive”. Città in cui “le trasformazioni dei luoghi, degli edifici, degli oggetti esistenti - spiega il filosofo - non sono più percepiti come necessità ma come opportunità e in cui la costante risignificazione dei luoghi è uno strumento essenziale per un adattamento alle necessità del presente che sia vivificato dalle simbologie e dalle memorie ereditate”.

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Foto di Ferdinando Baron


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