fbpx Fisiologia dell'atleta - Intervista a Giuseppe Miserocchi | Scienza in rete

Fisiologia dell'atleta - Intervista a Giuseppe Miserocchi

Primary tabs

Read time: 4 mins

Per i XXX Giochi Olimpici gli sport che sono stati selezionati alla partecipazione sono ventinove: Tiro con l’arco; Atletica leggera; Badminton;  Basket; Beach volley; Canoa; Ciclismo; Tuffi; Equitazione; Calcio; Scherma; Ginnastica; Pallamano; Hockey; Judo; Pentathlon; Canottaggio; Vela; Tiro a segno; Nuoto; Nuoto sincronizzato; Tennis da tavolo; Taekwondo; Tennis; Thriatlon; Pallavolo; Pallanuoto; Sollevamento pesi e wrestling.

Le discipline sono molto diverse tra loro e richiedono forma fisica e allenamento specifici, studiati in modo personalizzato sulle caratteristiche dell’atleta e calibrate in base allo sforzo fisico richiesto. I limiti fisiologici di un atleta, e cioè la capacità di sforzo che uno sportivo può sopportare, infatti dipendono da più fattori: tra questi il biotipo genetico (e cioè la forma e la potenza dei muscoli che è geneticamente determinata), l’allenamento e le condizioni di gara. Per comprendere meglio i meccanismi fisiologici che regolano l’attività fisica negli sportivi (e non), abbiamo intervistato Giuseppe Miserocchi, direttore della scuola di specializzazione in Medicina dello sport e professore ordinario di fisiologia umana dell’Università Milano Bicocca, che da anni si occupa con il suo gruppo di ricerca di fisiologia dello sport.

Quali sono i limiti fisiologici dell'atleta?

I limiti fisiologici di un atleta non sono definibili in modo preciso, e dipendono principalmente dalla biotipologia individuale e dall’allenamento. Diciamo che sono definibili con buona approssimazione i ragionevoli miglioramenti di un atleta in base a dati di laboratorio e prestativi. Forse solo nel nuoto c'è stata una relativamente recente valanga di miglioramenti prestativi su tutte le distanze. Penso che questo dipenda dall'affinamento dei metodi di allenamento in questa disciplina e dalla realizzazione di una maggior specificità dell’allenamento stesso tarata sulla prestazione. Nel nuoto questa specificità era in effetti difficile da realizzare per via della notevole resistenza all'avanzamento nell'acqua che rende difficile calibrare la potenza allenante.

Esistono ancora record che sono migliorabili, quindi?

La risposta è complessa, ma certo si può affermare che consistenti miglioramenti dei record sono difficili da immaginare (si veda articolo di Giuseppe Nucera) . Fattori che contribuiscono al miglioramento dei record per un atleta di punta sono: il raggiungimento del "picco forma", una perfetta strategia di gara, la gara adatta (avversari e andamento della gara sono favorevoli al record), le condizioni ambientali. Personalmente, mi aspetto un record sulla maratona.

Fin dove si può migliorare con l'allenamento?

L'allenamento è l'unico strumento lecito per migliorare la prestazione. Per ottimizzarne gli effetti occorre definire alcune specificità. Prima di tutto bisogna identificare la specialità che più è congeniale alle caratteristiche morfo-funzionali di un soggetto. In questo caso, la distinzione può essere molto sofisticata (ad esempio in atletica è possibile definire se un atleta può dare il meglio di sè sui 5000 piuttosto che sui 10000m), la distinzione si basa essenzialmente su valutazioni parametriche prestative integrate con indici funzionali di laboratorio. In secondo luogo occorre definire una progressione ragionevole degli obiettivi atletici, in questo senso il programma di allenamento va tarato sugli obiettivi, e a intervalli di tempo prefissati occorre verificare se la progressione dei miglioramenti rispetta il programma stabilito o se è necessario proporre modifiche. Questa impostazione ha due vantaggi, da un lato consente di prevenire le complicazioni da sovraccarico, dall’altro consente di programmare e verificare iI raggiungimento del "picco forma".

Qual è il contributo delle nuove tecnologie nelle prestazioni atletiche?

Il contributo è variabile tra le discipline ma sempre consistente dal punto di vista dell'abbattimento dei record. Fondo della pista e scarpette per i corridori, l'asta per gli astisti, le famose tute (ora vietate) nel nuoto), il profilo aerodinamico per il ciclista (si pensi al record dell'ora in bicicletta).

Fin dove è giusto spingersi?

La domanda può essere letta in due modi. Chi compete a un certo livello considera "giusto" impostare una gara perfetta, senza scoppiare a metà strada, e producendosi in un gran finale. Per questo soggetto, il "giusto" è sempre e comunque dare il massimo e quindi non avere più un briciolo di energia da spendere dopo l'arrivo. Il che significa che sollecita i suoi organi al massimo, in primis il cuore. Questa strategia è esattamente opposta a quella che si consiglierebbe sul piano medico a chi pratica attività fisica a livello amatoriale per trarne un beneficio per la salute. In questo caso è "giusto" non spingersi al limite in quanto questo comporta qualche rischio (sostanzialmente cardiaco).

Al di là del miglioramento delle prestazioni fisiche in allenamento e durante una gara, perché è così importante studiare la fisiologia di un'atleta?

L'atleta è un laboratorio ove è possibile studiare vari meccanismi allo stato puro, cioè in assenza di malattie, e la loro modulazione sotto stress. I meccanismi sono sostanzialmente quelli legati all'erogazione di potenza da parte del motore biologico e la sua efficienza: questo include il sistema trasporto-utilizzo dell'ossigeno, la biomeccanica, l'attività neuromotoria. Lo studio fisiologico di questi meccanismi consente di definire il paradigma per la valutazione delle perturbazioni indotte dalle varie patologie.

Studiare in che modo il nostro corpo reagisce allo sforzo e come cambia il metabolismo durante l’attività fisica è quindi il punto di partenza per conoscere meglio la fisiologia umana e per intervenire nella prevenzione di alcuni comune malattie, semplicemente facendo sport.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):