L'avvincente libro di Tomaso Montanari prende spunto dal
noto episodio della vendita allo Stato di un crocifisso ligneo erroneamente
attribuito a Michelangelo e pertanto largamente sovrastimato, con la complicità di un antiquario, di alcuni
storici dell'arte e del Ministro Bondi. Il libro si presta ad almeno quattro
chiavi interpretative.
La prima è l'incredibile storia - tutta politica - di
come la spettacolarizzazione dell'arte e il suo uso strumentale da parte del
potere politico abbia portato a un enorme spreco di denaro, in un periodo
storico in cui sono stati apportati grossolani e indecorosi tagli alla cultura
e alla conservazione del patrimonio artistico. La descrizione degli intrecci
tra incompetenza, conflitti d'interesse, cialtroneria e abuso di potere che
emergono costituisce una magistrale pagina di storia del
"berlusconismo".
La seconda chiave di lettura riguarda il ruolo
dell'accademia. Le pagine che descrivono i comportamenti degli storici
dell'arte di origine accademica sono tra le più belle che ho avuto occasione di
leggere sul conformismo e la funzionalità al potere politico di buona parte del
mondo universitario. Un passo illuminante è quello in cui il corporativismo
viene identificato con il fenomeno per cui chi sta dentro la comunità degli
esperti non ha interesse a turbare gli equilibri con i colleghi, e chi ne sta
fuori non ha invece l'autorevolezza per parlare. Da cui una tipica afasia su
molti problemi importanti.
La terza chiave di lettura riguarda la concezione dei
"beni culturali" e del paesaggio italiani, trattati alla stregua di
una macchina per fare soldi, ovvero una "Disneyland culturale" (l'espressione
è stata usata esplicitamente dal Direttore Generale dei Beni Culturali, Mario
Resca, ex-dirigente di McDonald Italia; un'altra nefasta espressione è quella
dei "giacimenti culturali"). In realtà una tale concezione va di pari
passo con il grave regresso culturale degli ultimi decenni, sostenuto e
amplificato dai media e in particolare dalla televisione. La sottocultura delle
"celebrities", dell'"isola dei famosi" e così via è la
stessa che celebra come una gloria nazionale un falso crocifisso di
Michelangelo, o che propone l'uso di improbabili accostamenti per
spettacolarizzare l'arte e uccidere il senso critico.
Si sarebbe potuto, come sostiene
Montanari, esporre il crocifisso non
come una reliquia, portandolo in processione in giro per l'Italia, ma insieme
ad altri dello stesso periodo e di scuole affini, mostrando le somiglianze e le
differenze e dunque contestualizzandolo. Ma i tempi del commercio non sono
quelli del lavoro attento e lento della attribuzione e della riflessione critica. Sensazionalismo mediatico, uso propagandistico
(anche in senso religioso), conflitti di interesse e mercantilismo: una
congiunzione che bene definisce il clima dell'Italietta berlusconiana.
Ma veniamo all'argomento per il quale merita recensire il libro in un sito dedicato alla scienza, le riflessioni epistemologiche relative all'"attribuzione" (la quarta chiave di lettura). Lo stesso Montanari fa esplicito riferimento alla medicina come attività scientifica che ha sviluppato strategie di contenimento dei conflitti di interesse e del mercantilismo. E' interessante il fatto che l'attribuzione sia un problema centrale anche in medicina: la "diagnosi differenziale" è un processo di attribuzione dei segni e sintomi a un substrato anatomo-patologico e a un agente causale; oppure, in tribunale il lavoro dei periti consiste sostanzialmente nel tentativo di attribuire l'insorgenza di una malattia a una avvenuta esposizione (per esempio professionale). Giustamente sostiene Montanari che una corretta attribuzione comporta un forte riferimento al contesto: una buona anamnesi - piuttosto che un test strumentale - è spesso decisiva per la diagnosi (nonostante il "feticismo" dello strumento); e l'attribuzione causale in tribunale dipende spesso dalla ricostruzione epidemiologica dell'esperienza di un gruppo o di una popolazione, cioè dal contesto in cui il caso singolo si inscrive. E' vero (come sostiene Montanari) che la medicina si avvale del metodo sperimentale, ma la distanza dalla storia dell'arte non è così grande come Montanari ritiene, nè nelle procedure conoscitive, nè nei conflitti d'interesse, nè nelle modalità di popolarizzazione. Il culto dell'"icona" accomuna la pubblicistica artistica a quella scientifica (si pensi alle tante dispense su come prevenire le malattie, o sul DNA). Anche la scienza viene largamente usata come intrattenimento, il che va bene se divertendosi si esercita il senso critico; non va bene se si contempla un'icona preconfezionata, un feticcio (ricordiamo il "feticcio delle merci" di marxiana memoria, quanto mai attuale); o, peggio, se "l'arte (o la scienza, nota mia) diventa divertente come una bistecca" secondo le improvvide parole di Cristina Acidini, una delle responsabili dell'operazione Michelangelo. Il crinale tra divulgazione "divertente" ma diseducativa e divulgazione critica e formativa non è netto, e il mercato tende a privilegiare la prima modalità, spesso nella figura-icona dell'esperto che scala i vertici delle classifiche in quanto riconosciuto nello star-system. Non è solo nella storia dell'arte che gli esperti si dividono, come si esprime efficacemente Montanari, tra "quelli che rifiutano ogni contatto con il grande pubblico, e quelli che lo praticano assiduamente, ma in chiave di marketing".