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Inquinamento di oggi e di ieri

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Una  governance ambientale unicamente fondata sul principio del “control & command”, e basata sul mero rispetto dei limiti definiti dalla normativa o dalle specifiche autorizzazioni, non appare del tutto convincente né scientificamente né socialmente. Se ne sta discutendo in questi giorni nell'ambito della conferenza "Sharing a vision for environment and health research in Europe", promossa dalla Rete ERA-ENVHEALTH, che (Parigi, 13-14 giugno 2012) presso la Maison Internationale, Cité Internationale Universitaire, dedicata più in generale alle politiche su ambiente e salute declinate a livello regionale.

L'esempio di Taranto

Ne è esempio l’area tarantina, in cui sono ancora presenti molte sorgenti industriali con impatto su diverse matrici ambientali (aria, suolo, acque). Si tratta di uno dei siti di interesse nazionale caratterizzato anche dall’impatto dovuto a inquinanti persistenti rilasciati in decenni di inquinamento non controllato. Ne conseguono criticità rilevanti per la sanità pubblica, come documentato per le diossine dall’obbligo di distruggere tutti i fegati ovicaprini in un raggio di 20 chilometri dall’area industriale, dalla decisione di macellare centinaia di capi ovicaprini e di distruggere tutti i mitili allevati nel primo seno del Mar Piccolo. Ciò si verifica nonostante la notevolissima riduzione delle emissioni di diossine dal camino dell’impianto di agglomerazione di ILVA, stimate superiori a 500 grammi per anno (in termini di tossicità equivalente)  fino alla fine degli anni novanta, intorno ai 200 grammi fino al 2008, attualmente entro i 10 grammi per anno. Dal punto di vista della qualità dell’aria si riscontrano superamenti dei limiti per il PM10 e del valore obiettivo per il benzo(a)pirene nell’area urbana adiacente al complesso siderurgico. 

Per una più appropriata gestione delle criticità ambientali è necessario nelle aree complesse realizzare progetti di ricerca in grado di quantificare l’impatto sanitario dell’inquinamento territoriale, e discriminare tra impatto delle emissioni correnti e impatto dell’inquinamento pregresso. D’altra parte i rapporti (come quello recente dell’Agenzia Europea per l’Ambiente), che stimano i costi economici dell’impatto sanitario dell’inquinamento atmosferico da specifici impianti industriali, hanno solo un significato esplorativo. 

Per questo motivo, nel 2009, nell’ambito dell’iter di autorizzazione integrata ambientale per l’ILVA di Taranto presso il Ministero dell’Ambiente, fu chiesto ad Arpa Puglia e alla ASL territoriale di identificare alcune priorità. I progetti includevano l’attribuzione a sorgente del PM10 e del PM2.5, e i relativi effetti a breve e lungo termini sulla salute; il biomonitoraggio dell’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici e dei metalli pesanti a diversa distanza dall’area industriale; uno studio caso-controllo dell’associazione dell’esposizione a diossine coi  linfomi non-Hodgkin e i sarcomi dei tessuti molli. Gli studi non furono finanziati dal Ministero dell’ambiente.

Attualmente l’Istituto Superiore di Sanità sta conducendo uno studio, d’intesa con la ASL, sull’esposizione a diossine negli allevatori. Arpa Puglia e ASL furono in grado di definire il rischio sanitario legato all’esposizione inalatoria a benzo(a)pirene e all’assunzione di prodotti caseari contaminati dalle diossine.  Una più estesa valutazione degli effetti a breve e a lungo termine del PM10 è stata realizzata nel corso della perizia disposta dal Tribunale di Taranto che ha consentito di ricostruire la coorte dei residenti a partire dal 1998 e di stimare l’esposizione per ogni cittadino attraverso la georeferenziazione delle residenze.


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