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Ufficiale: è pandemia

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La decisione è anche politica. La dichiarazione ufficiale dal parte dell'OMS che la nuova influenza A ha raggiunto l'ultimo gradino della scala con cui si misura la diffusione della malattia ha implicazioni pratiche immediate. Con questo provvedimento, infatti, scatta la priorità dei paesi che negli anni passati avevano prenotato ingenti quantità di vaccino pandemico alle aziende produttrici, scavalcando gli ordini effettuati nelle ultime settimane. In pratica, solo i governi che si erano premuniti negli anni scorsi potranno fornirsi di un certo numero di dosi del prodotto, che comunque non potrà mai essere sufficiente a coprire tutta la popolazione. Anche perché pare che, prima di passare alla produzione del nuovo preparato, le aziende intendano concludere quella del vaccino stagionale già in corso.

Questa nuova malattia, d'altra parte, ha preso tutti di sorpresa: la pandemia era infatti attesa, ma si pensava sarebbe venuta dagli uccelli e dall'Oriente. Invece è emersa dal serbatoio animale dei suini, a due passi dagli Stati Uniti. Doveva essere un flagello e invece fa meno morti dell'influenza stagionale. Insomma, a molti è parso che l'allarme dei primi giorni sia stata una bolla di sapone, gonfiata ad arte per alimentare gli interessi  economici legati alle aziende farmaceutiche e produttrici di vaccini.

«Ma i provvedimenti delle autorità internazionali non sono rivolti in primo luogo alla popolazione» spiega Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità, «ma ai governi e alle autorità locali perché si tengano pronti. A determinare la gravità della malattia come problema di sanità pubblica non è solo il numero di decessi ma anche quello di chi resta a letto per una settimana e poi guarisce senza conseguenze, perché se questo accade a milioni di persone, il paese si può fermare e le conseguenze indirette possono essere comunque gravi».

Al di là delle conseguenze economiche, è facile immaginare quel che potrebbe accadere se si ammalasse la metà dei medici di un ospedale, o degli autisti di autobus, o degli autotrasportatori che riforniscono i supermercati, e così via.

L'equivoco è tutto qui: per dichiarare la pandemia occorre che siano stati confermati casi in ciascuna delle regioni in cui l'OMS ha suddiviso la superficie terrestre. Una definizione che non ha nulla a che vedere con la gravità della sintomatologia o con la letalità dell'infezione, ma solo con la rapidità e l'estensione con cui il virus  si trasmette. Per essere tale, quindi, la pandemia non si deve necessariamente presentare con le caratteristiche catastrofiche rappresentate in un ricco filone cinematografico, alimentato dai casi della SARS e dell'aviaria. «Che comunque, va ribadito, non sono stati falsi allarmi, come spesso si dice» precisa Ilaria Capua, dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, responsabile del Centro di referenza nazionale per la ricerca sulle malattie infettive nell'interfaccia uomo-animale oltre che di quello per l'influenza aviaria e la malattia di Newcastle, «ma minacce reali i cui effetti sono stati circoscritti grazie a interventi molto puntuali e mirati». Anzi, il virus dell'aviaria continua a circolare tra gli animali e la possibilità che si ricombini con il benevolo cugino messicano, istigandolo a diventare più aggressivo, è tutt'altro che remota.

Anche così com'è, comunque, diversamente da quello dell'influenza stagionale, e come ogni virus pandemico che si rispetti, l'H1N1 proveniente dal Messico sembra più virulento nei giovani adulti che non nei bambini e negli anziani. «A preoccuparci infatti» ha commentato Keiji Fukuda, responsabile del settore influenza per l'Organizzazione mondiale della sanità, e spingerci ad aumentare ulteriormente il livello di guardia, è il fatto che, sebbene le vittime siano in percentuale meno di quelle provocate dall'influenza stagionale, nella metà dei casi si tratta di persone precedentemente in buona salute, senza particolari fattori di rischio». Insomma, alla fine, chi doveva decidere ha preferito rischiare un'accusa di allarmismo, piuttosto che di negligenza.

New Scientist pubblicato online l'11 giugno 2009

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