Tra pochi giorni è attesa la sentenza della Corte Europea
di Giustizia per la causa n.C-‐36/11, Pioneer Hi Bred
Italia Srl c/MIPAF (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali), che verte
sulla compatibilità tra le norme comunitarie e quelle italiane in materia di
autorizzazione alla messa a coltura di varietà OGM iscritte al
Catalogo comune europeo.
La domanda che si pone è se l’Italia può negare
l’autorizzazione alla coltivazione commerciale di mais OGM accampando come
scusa il fatto di non aver ancora stilato dei piani di coesistenza tra le varie
agricolture avendo avuto a disposizione solo 9 anni per farlo.
Ma l’Avvocato Generale presso la Corte, incaricato di stilare la risposta, ha già detto che l’Italia non può negare tale autorizzazione per negligenza. Ora la Corte deve decidere se adottare tale parere e sembra difficile che non lo faccia. L’Europa potrebbe quindi mettere in mora l’Italia dando la stura da un lato ad una pioggia di ricorsi per danni da parte degli agricoltori che da anni chiedono di poter coltivare mais Bt, come è autorizzato fare in tutta Europa, ma dall’altro apre un vuoto normativo che potrebbe consentire ad alcuni di avviare le coltivazioni commerciali di mais geneticamente migliorato. I nodi italici sono di certo giunti al pettine e governo e parlamento sono chiamati ad adottare normative che tutti i tipi di governi e maggioranze succedutesi in questi anni hanno sempre cercato sfuggire per passare la patata bollente ai successori.
Questo scenario capita mentre la presidenza di turno
Danese dell’Unione ha appena alzato bandiera bianca rinunciando ad un progetto
che prevedeva il suicidio politico dell’Europa sul tema degli OGM. L’idea era
che, anche in assenza di una qualunque motivazione scientifica, uno stato
nazionale poteva vietare la coltivazione commerciale di OGM sul suo territorio
nazionale. Allo stesso tempo gli stati più avanzati avrebbero potuto
autorizzare la coltivazione di altri OGM senza essere gravati dalle ossessioni
antistoriche che la parte più OGM-fobica dell’Europa cerca di imporre. L’Italia
era straziata tra la speranza di chiudere per sempre la strada alle
coltivazioni biotec ed il timore che le prevedibili ritorsioni commerciali avrebbero
di certo colpito tanti aspetti importanti del Made in Italy che esportiamo in
tutto il mondo senza più nascondersi dietro il paravento dell’Unione Europea.
Ora questa opzione è tramontata e l’Italia resta nella condizione di aver
delegato all’Europa tutte le scelte principali sul tema dell’agricoltura e
degli OGM.
Tra queste prerogative resta il fatto che è l’Europa e non i singoli
stati a decidere sulla sicurezza sanitaria ed ambientale degli OGM. Agli stati
nazionali resta solo da normare la parte economica che riguarda le misure di
coesistenza tra le varie agricolture (ossia quello che l’Italia non ha voluto
fare in 9 anni).
Ma se il fronte delle coltivazioni commerciali di piante ingegnerizzate ha riportato (quasi) due successi, che succede agli aspetti della ricerca scientifica pubblica sugli OGM?. Qui il bilancio non è certo positivo. Il 12 giugno 2012 è cominciata la distruzione degli alberi OGM di ulivo, kiwi e ciliegio dell’ultimo esperimento italiano in pieno campo con OGM di questo secolo. Eddo Rugini è stato costretto sotto la minaccia di denuncia da parte dell’onorevole-pensionato Mario Capanna, a far entrare le ruspe nel suo campo sperimentale all’Università della Tuscia. Pochi ora ricordano che l’Italia ha svolto varie centinaia di esperimenti in pieno campo con decine di diverse piante OGM nello scorso secolo prima che la ventata di oscurantismo paganeggiante si abbattesse sul Belpaese spiegandoci che tutto ciò che fa Madre Natura è buono, pulito e giusto, mentre l’uomo è infetto ed innaturale. L’ossessione del ritorno alla Natura la stiamo pagando con la chiusura di intere Facoltà di biotecnologie e con una bilancia commerciale degli scambi agroalimentari in rosso fisso per dieci miliardi di euro l’anno. Gli esperimenti di Rugini erano stati appunto autorizzati nel 1998 ed i poveri ulivi, non ancora arrivati alla prima maturità sessuale per poter dare il primo fiore, sono caduti sotto la scure del onorevole-boscaiolo-pensionato.
Tutti i più prestigiosi scienziati di questo Paese firmano da undici anni testi ed appelli perché sia possibile per la ricerca scientifica pubblica riprendere a sperimentare in pieno campo le varietà OGM frutto dell’ingegno dei nostri ricercatori e che potrebbero rispondere alle esigenze della nostra agricoltura. Oggi stesso (20 giugno 2012) su Tuttoscienze de La Stampa viene pubblicato un articolo di Gilberto Corbellini e mio a commento di una lettera sottoscritta da duecento tra agricoltori e scienziati ed indirizzata ai presidenti della Repubblica e del Consiglio dei ministri. La richiesta è che termini questa campagna denigratoria contro gli OGM che ha causato il divieto allo studio degli OGM alla ricerca pubblica ed impedito agli coltivatori di crescere quegli stessi OGM che importiamo a milioni di tonnellate e che costituiscono la base dei mangimi che somministriamo da 15 anni a vacche e maiali utilizzati per produrre il meglio dei prodotti DOP ed IGP di cui andiamo tanto orgogliosi.
Il testo di questa lettera - disponibile al sito www.salmone.org - e molte delle sue firme più prestigiose è in buona parte frutto dell’idea, dell’incoraggiamento e del sostegno che il Gruppo 2003 per la Ricerca ha dato a questa iniziativa.