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Dai camionisti alla ricerca scientifica

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Dunque il Governo Monti con gli interventi di Spending Review ha deciso di ridurre i finanziamenti alla ricerca pubblica, nonostante già precedentemente, con i tagli orizzontali di Tremonti, fosse stata varata un’analoga operazione. Nel caso di Monti questi tagli derivano, tuttavia, da una valutazione di merito di tipo, si presume, costi/benefici.  Sarebbe certamente interessante conoscere queste valutazioni critiche, anche perché qualcuno che se ne intendeva - il ministri Ruberti – affermava che i poveri spendono peggio dei ricchi e la ricerca italiana è, senza discussione, da collocare tra i poveri. Con gli stessi provvedimenti, il Governo Monti ha varato invece degli aiuti finanziari – modesti, per la verità – a favore della ricerca delle imprese. Anche in questo caso sarebbe interessante conoscere le valutazioni in proposito per questa spesa pubblica, anche perché precedenti analisi in materia non hanno portato a conclusioni molto positive. Evidentemente, invece, tra spesa pubblica e spesa finanziata ai privati ci deve essere per il Governo Monti una differenza.

Scienziati e ricercatori hanno espresso una protesta e una richiesta di restituire i fondi tagliati recuperandoli, ad esempio, dai contributi ai camionisti che, oltre a tutto, con il loro lavoro inquinano l’ambiente.

Sulla necessità di una protesta degli scienziati e dei ricercatori non ci può essere discussione. Forse un riferimento sul come recuperare nella finanza pubblica quei finanziamenti poteva essere meglio meditato. Non solo per evitare le solite guerre tra poveri, ma anche, più opportunisticamente, per il semplice motivo che i camionisti possono fermare il paese mentre, come è noto, con la cultura non si mangia. Vedremo come si svilupperà la questione in sede di dibattito parlamentare, ma comunque possa andare si ha l’impressione che anche in caso positivo i problemi della ricerca e dell’innovazione in questo paese saranno ben lontani da trovare anche solo una parziale soluzione.

Probabilmente non agevola una azione politica nella direzione dell’economia reale, la dimensione essenzialmente di politica finanziaria che caratterizza il dibattito interno e internazionale sulla crisi economica. Anche questioni che sembrano banali come quelle che legano il debito come percentuale del pil e gli effetti della innovazione sull’andamento del pil stesso, solo a stento si ritrovano nel dibattito in corso. Tuttavia in parallelo viene sempre più spesso evidenziato come da questa crisi non si potrà uscire “semplicemente” tornando al punto di prima. Che cosa occorre cambiare resta almeno per ora, piuttosto vago e affidato agli slogan. Sembra ragionevole supporre che anche la dimensione scientifica e tecnologica di questo ipotetico nuovo modello di sviluppo possa e debba essere chiamata in causa.

Il ritardo accumulato dal nostro paese proprio in materia di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica non è una buona credenziale per affrontare con impegno questa fase del superamento della crisi. Certamente la questione non può riguardare questo Governo, se non altro per motivi temporali, mentre proprio la scadenza elettorale del 2013 dovrebbe essere una prima occasione per fissare alcune riflessioni. Ma si può immaginare una operazione del genere senza una forte e meditata presenza del mondo della ricerca? La domanda è evidentemente retorica ma le risposte dovrebbero comportare una discesa in campo molto impegnativa.
E’una ipotesi ragionevole e praticabile?


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