La Corte europea dei diritti umani rimette in discussione la legge 40 sulla procreazione assistita. E' infatti stata bocciata la parte della normativa che riguarda l'impossibilità per una coppia fertile ma portatrice sana di fibrosi cistica di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Secondo i giudici della Corte di Strasburgo, "il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente", perchè un'altra legge dello Stato permette alla coppia di accedere a un aborto terapeutico in caso che il feto venga trovato affetto da fibrosi cistica. La sentenza rileva quindi una forma di "ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata e familiare è quindi sproporzionata", in particolare per quanto riguarda il caso di violazione della privacy di vita familare di Rosetta Costa e Walter Pavan, che verranno risarciti dalla Stato con 15mila euro per danni morali e 2.500 euro per le spese legali sostenute.
Non è la prima vola che l'Europa si esprime sulla legge 40 (si veda l'ultimo l'articolo sulla sentenza di maggio pubblicato su Scienzainrete da Margherita Fronte).
Già nel 2010 venne stabilita l'impossibilità di impedire la fecondazione eterologa, dal momento che le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge 40 - il divieto italiano di diventare genitori attaverso il seme di un donatore o l'ovocita di una donatrice - sono in contasto con l'articolo 8 della
Convenzione europea per i diritti dell'uomo.
Il Ministro della Salute Renato Balduzzi si è così espresso in merito: "La questione della compatibilità tra legge 40 e legge 194 sollevata dalla Corte di Strasburgo e un problema già noto", mentre il governo aspetta di "leggere le motivazioni della sentenza".
La sentenza, tuttavia, non è ancora definitiva: entro tre mesi entrambe le parti in causa possono ancora richiedere un rinvio davanti all'alta camera della corte per i diritti dell'uomo - in base agli articoli 43 e 44 della convenzione dei diritti dell'uomo.