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Taranto, simbolo di dilemmi o di soluzioni?

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Questa sembra essere l’estate dei dilemmi. Lavoro o salute. Benessere o bellezza.
Curioso è che a porli sia il Sud del paese. E nel Sud un luogo in particolare: Taranto. Taranto è così diventata il simbolo di uno sviluppo insensibile alle condizioni che sono alla base del fiorire della vita umana: la salute, il benessere, il lavoro, la bellezza.

Qui non si vuole certo affermare che tali dimensioni siano indistinte, anzi il rapporto tra loro è articolato e di influenza reciproca, proprio perciò per comprenderlo, per rendersi conto di come sia possibile avere lavoro e salute, benessere e bellezza è necessario partire da distinzioni. La distinzione e la separazione sono la cifra della nostra cultura: con la specializzazione dei saperi e la divisione del lavoro è stato possibile raggiungere le condizioni attuali di una società altamente tecnologica, dove la maggior parte dei lavori pesanti è stata trasformata in compiti più leggeri, eseguibili in maniera più veloce e più efficace, liberando molto del tempo quotidiano. La tecnologia ha anche reso la vita più sicura a condizione però che sia usata in modo appropriato e sia coerente con l’idea che abbiamo della vita umana.

Una vita più sicura, più bella e più sana non è perciò un esito scontato. La medesima tecnologia, infatti, può generare esposizioni che sono causa di malattie, vecchie e nuove, può essere causa di incidenti mortali e può deturpare la bellezza del paesaggio urbano e naturale. Lo sappiamo per esperienza diretta, guardando le immagini di tante aree italiane colpite da uno sviluppo senza programmazione e senza controlli, che ha così inevitabilmente prodotto situazioni così drammatiche da far dichiarare quelle aree come aree da bonificare (si possono consultare, a tal proposito gli approfondimenti sullo Studio Sentieri di Scienzainrete - 1,  - e di E&P).  

Se ci riflettiamo un po’ su, non abbiamo difficoltà a riconoscere che tali fallimenti sono sempre in agguato ogni qual volta ci si propone di agire e di modificare l’ambiente intorno a noi. Non occorre attendere la rivoluzione Copernicana per rendersi conto che i saperi e gli strumenti escogitati dall’uomo per la sua libertà si rovesciano in dispositivi di dominio, infliggendo così umiliazioni di cui artefice è egli stesso. Basta pensare alla polis e alla sua degenerazione nella tirannia. La separazione di vero, buono e bello è un risultato della modernità. La separazione di lavoro e salute e di benessere e bellezza preme per diventare un risultato dei nostri giorni. Ma mentre la prima trova la sua ragion d’essere nell’articolazione di sfere di autonomia corrispondenti a metodi diversi di accertamento della loro validità, la separazione tra lavoro e salute e tra benessere e bellezza sembra voler certificare una divaricazione esistente o, a volte, condurre verso un vero e proprio scontro.

Invece di riflettere sul fatto che tale divaricazione è il frutto di una maldestra conduzione delle cose comuni, evitabile o attenuabile con un sistema ragionato di pianificazione e di controlli, sembra si voglia affermare che l’opzione per l’una ci separi irrimediabilmente dall’altra. Eppure non solo la teoria ma anche l’analisi di molti cattivi esempi e anche di lodevoli esperienze che l’osservazione empirica ci mette a disposizione dovrebbe segnare una strada diversa. Molti interventi apparsi recentemente sulla stampa sul rapporto tra lavoro, ambiente e salute a Taranto hanno seguito la convinzione che le tre categorie siano da porre sullo stesso piano e siano di pari valore e quindi da difendere nel loro insieme. Pur apprezzando tale posizione, noi proponiamo un’articolazione di questi tre beni: il lavoro si può difendere solo se si tutelano le condizioni ambientali, un insieme di beni comuni non rinnovabili e spesso non risanabili, in cui la società può sviluppare le proprie attività. In altre e più semplici parole, in un ambiente sano si possono creare condizioni di lavoro, di benessere e bellezza, mentre il lavoro creato da produzioni inquinanti non è in condizioni di per sé di garantire una crescita sociale equilibrata, almeno sul lungo periodo. La controprova si trova nella semplice osservazione di quanto accaduto in aree industriali in cui sono stati persi ambiente, salute e bellezza: una volta concluso il ciclo produttivo di impianti industriali non più redditizi o superati, è stato perso il lavoro e non sono stati recuperati né ambiente né bellezza. La salute, ormai irrimediabilmente persa, è al massimo diventata argomento da tribunale per risarcire danni e dignità, mentre i rischi per le generazioni successive sono avvolti nel silenzio o sottostimati.   

In questo contesto, la tutela dei beni comuni, il controllo sociale delle produzioni, il risanamento ambientale, la valorizzazione di nuovi mestieri e professioni, assumono al contempo rilevanza difensiva e progressiva. Il collante in grado di tenere assieme salute e lavoro, benessere e bellezza è l’assunzione di responsabilità nelle scelte di sviluppo e di salute pubblica. È, come affermava lucidamente Lorenzo Tomatis, "la volontà di riacquistare un diritto alla definizione dei fini" ("Prevenzione fra precauzione e responsabilità").

La storia di quest’estate è l’esempio di come il legame tra le azioni collettive e il senso della vita si possa allentare fino a rendersi ‘invisibile’. Occorre quindi ristabilire quel legame per mostrare come le dimensioni vitali non siano irrimediabilmente separate, ma tenute assieme da scelte etiche. Questo vale sia nel momento della valutazione e della decisione per una ipotesi di sviluppo sia quando invece si profila il dovere di informare e impedire l’occultamento.

Anche a Taranto si è potuto toccare con mano come sia in forte crescita una consapevole cittadinanza ambientale e sanitaria, ma dal momento che non è affatto scontato che essa sia riconosciuta, e lo sia correttamente, questo valore deve essere adeguatamente valorizzato e coltivato, come chiaramente indicato dalla Commissione Europea (si veda, ad esempio, l’interessante esperienza dei Consultative Forum on Environment and Health).

Bibliografia: 

Quando l'inquinamento industriale accorcia la vita, di Luca Carra - Scienzainrete, novembre 2011

Gli studi su Taranto, dagli anni '90 alla recente perizia, di Fabrizio Bianchi - Scienzainrete, agosto 2012

L. Tomatis, Prevenzione fra precauzione e responsabilità. Epidemiologia&Prevenzione 2001; 25: 149-151

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