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La fiducia nei giovani, ieri e oggi

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I dati più recenti sull’occupazione giovanile, diffusi dall’ISTAT il 31 agosto e relativi al secondo trimestre di quest’anno, sono impressionanti. Rivelano che il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito dal 27,4% del secondo trimestre 2011 al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno. Si tratta di livelli mai raggiunti in precedenza, ancora più preoccupanti se si considera che esiste una tendenza opposta per gli occupati nella classe d’età tra i 55 e i 64 anni, aumentati del 26% nell’arco di cinque anni, dal secondo trimestre del 2007 al 2012. La perdurante crisi economica si accanisce soprattutto contro i più giovani, ma i più anziani dovrebbero chiedersi se il loro atteggiamento non contribuisca a aggravarne gli effetti. Il livello di fiducia degli anziani nei riguardi dei giovani è calato? Quanto influisce il loro egoismo nell’escludere i giovani dalla vita attiva? Sono domande a cui è difficile rispondere, ma il confronto con il passato può, se non altro, aiutare a capire che sono legittime. La storia può servire anche a questo. Quella dell’industria, intrecciata con quella della scienza e della tecnica, fa al caso nostro.

Torniamo indietro di un secolo e rileggiamo il discorso che l’ingegnere norvegese Samuel Eyde (1866-1940) pronunciò l’11 Settembre 1912 durante l’VIII Congresso Internazionale di Chimica Applicata in corso a New York e Washington. Il titolo della sua relazione era “Ossidazione  dell’azoto  atmosferico  e  sviluppo  delle  industrie derivate  in  Norvegia”. Eyde parlava di un argomento che conosceva molto bene, avendo legato il suo nome a un processo industriale sviluppato nel 1903 insieme al fisico Kristian Birkeland (1867-1917). I due erano riusciti a “fissare” l’azoto atmosferico, cioè a trasformarlo in un composto utilizzabile industrialmente. C’erano riusciti con un arco elettrico, sulla scia degli esperimenti compiuti da Joseph Priestley (1733-1804) e, soprattutto, da Henry Cavendish (1731-1810). Ma quello dei norvegesi era un arco un po’ speciale. Con un campo magnetico di forte intensità veniva “allargato” fino a formare un disco di fiamma, attraverso il quale si faceva passare l’aria. L’ossido nitrico generato nell’arco veniva raffreddato e ossidato ulteriormente a tetrossido dall’ossigeno. Il tetrossido (detto anche ipoazotide) trattato con acqua, dava l’acido nitrico. Neutralizzando quest’ultimo con calcare (carbonato di calcio) si otteneva il nitrato di calcio. Questo composto, che prenderà il nome di “nitro norvegese”, era il prezioso fertilizzante di sintesi che poteva finalmente liberare gli europei dalla dipendenza delle importazioni sudamericane di nitrati. La produzione richiedeva una notevole quantità di energia elettrica (o carbone bianco), ma in Norvegia non mancava. Altrove, invece, questa era una severa limitazione così, quando fu sviluppato industrialmente il processo Haber-Bosch (1910), meno costoso in termini energetici, l’Eyde-Birkeland fu abbandonato e nel 1928 l’ultima fabbrica chiuse i battenti. Nel frattempo però le esportazioni di prodotti chimici norvegesi triplicarono e, come riferì lo stesso Eyde, se la prima fabbrica (1904) aveva due impiegati e due operai, le quattro esistenti nel 1911 avevano 143 impiegati e 1340 operai. Quali furono i motivi di questo successo?  Eyde li elencò nella parte finale della sua relazione, ponendo al primo posto, subito dopo la lungimiranza dei finanziatori, proprio i giovani.
Ecco le sue parole che, come risulta dagli Atti del Congresso, furono accolte da applausi:

…C’è tuttavia una cosa che desidero dirvi e che più di ogni altra ha contribuito al grande successo raggiunto nello sviluppo di questa industria, ed è il fatto che io ho impiegato principalmente dei giovani per questo lavoro.  (APPLAUSO)

Questa affermazione può apparire strana, ma io vi assicuro che è la mancanza di esperienza che ha creato questa industria.

Se io avessi prestato attenzione a tutti i dubbi e alle esitazioni manifestate dalle cosiddette autorità nella fase di sviluppo della nostra impresa,  il popolo norvegese oggi non avrebbe una grande industria (GRANDE APPLAUSO)

Grazie ai giovani, al loro coraggio imperterrito, alla loro energia (e all’amore per l’energia), è stato portato a termine il lavoro, ed è ricordando con gratitudine le nostre lotte, nella gioia e nell’afflizione,  che volgo lo sguardo al passato, al lavoro fatto e agli eccellenti risultati raggiunti. L’industria norvegese dei nitrati non è solamente un successo tecnico ma anche finanziario. 

Non vi è altro da aggiungere, solo molto da imparare.



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