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Rioluzione Wikipedia

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Quello di Wikipedia, enciclopedia libera, è oggi uno sei siti web più cliccati al mondo. Non solo dai giovani internauti, cresciuti a pane e web, ma anche da quelli della mia generazione (un po’ più datati), che fino a qualche decennio fa, seduti sul tappeto con il proprio mangiadischi, hanno avuto come unica opportunità quella di sfogliare i maestosi volumi della Treccani o dell’UTET ordinatamente posti in bella vista sulle mensole del mobile in salotto. 

Eppure, sarà che il web negli ultimi vent’anni ha contribuito a creare una coscienza sociale, talvolta smascherando magagne altrimenti impensabili; sarà che, potendo esprimere liberamente le nostre opinioni sul web, ci sentiamo un po’ più protagonisti rispetto a quando dovevamo solo sorbirci le notizie che venivano date in tv; sarà che proviamo soddisfazione nel considerare “di qualità” il frutto del nostro contributo sul web…  fatto sta che, in barba all’autorevolezza della fonte cui fanno appello pochi nostalgici, oggi, se non vogliamo perderci tra le pagine di un’enciclopedia, amiamo riferirci a Wikipedia. 

Si tratta di un fenomeno che sembra andare al di là della semplice gratuità dell’opera. Perché ci fidiamo di Wikipedia? Chi ne è il garante? E’ quasi come se l’utente, sentendo di appartenere alla gente comune, quella che scrive su Wikipedia, apprezzasse l’articolo scritto da uno qualsiasi, come lui, sia pure con il rischio che qualche sciocchezza di troppo passi per vera.  E’ come se la fiducia nella collettività, ritenuta in grado di smascherare una notizia falsa, desse forza a sé stessa, mettendo in luce la potenza di tanti piccoli Nessuno che collaborano e la precarietà di coloro che fino a poco tempo fa erano un’oligarchia, i detentori del sapere certificato, del potere, forse.

In questo atteggiamento c’è qualcosa che sa di rivoluzione…  è vero, non ci sono forconi, né fucili, ma si sente nell’aria qualcosa che odora di libertà, di rivalsa. C’è voglia di fare, di sentirsi lì, pronti, in prima linea, desiderosi di dare il proprio contributo. La gente, anche quella che è sempre stata considerata “il popolino”,  intravede una possibilità per tutti. Oggi esiste un modo nuovo per sentirsi vivi quando si ha l’impressione di subire le conseguenze di decisioni prese da altri. Esiste un modo nuovo per confrontare le proprie idee, attraverso i blog, piattaforme gestite da gente comune per  discutere di problemi comuni

Forse vogliamo intravedere insieme una via d’uscita  da questo momento di instabilità del quale non ci sentiamo più di tanto responsabili. Vogliamo dare un segnale. Non siamo più solo dei consumatori, esiste l’opportunità per ciascuno di essere protagonista di qualcosa in più che la stesura di un articolo su Wikipedia…  Ma intanto partiamo da qui!


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Ma il periodo di detenzione dei figli è parte della pena inflitta alle madri?

una grafica di madre e figlio su sfondo nero

Nel decreto-legge “Sicurezza”, appena approvato, una misura riguarda la detenzione di bambini e bambine costretti a passare i primi anni della propria vita insieme alle madri detenute. Una misura disumana che ne compromette lo sviluppo armonico e che non rispetta la Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia e nemmeno l’articolo 32 della Costituzione.

Il 4 aprile scorso quello che doveva essere il disegno di legge “Sicurezza” è stato approvato dal governo, nella forma però di decreto-legge, per evitare la discussione in aula di un testo che aveva raccolto molte critiche e dubbi di costituzionalità, espressi anche da istituzioni nazionali e internazionali. Lo stesso presidente Mattarella ha fatto presente sei rilievi, che sono stati accolti nella versione definitiva del decreto.