fbpx Un cammino verde | Scienza in rete

Un cammino verde

Tempo di lettura: 4 mins

Tra i comandamenti per il XXI secolo c’è, certamente, quello di attingere alle nuove conoscenze scientifiche per realizzare uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile. Potremmo definirlo un Green Path, un percorso verde. Per realizzare questo cammino desiderabile occorre tener conto di almeno tre fattori che, insieme ad altri, influenzano l’economia italiana ed europea nella cosiddetta era globale della conoscenza.

Il primo è la natura della crisi in atto da qualche anno, che ha investito soprattutto l’Italia e l’Europa. La crisi economica italiana non dipende solo dal debito pubblico. Non è solo una crisi finanziaria. È anche una crisi dell’economia reale. Da almeno vent’anni il sistema produttivo italiano stenta a reggere la concorrenza delle altre economie europee, sia delle economie emergenti. L’industria italiana, in particolare, salvo significative eccezioni, ha difficoltà a competere nei settori strategici dell’hi-tech e nei settori dove è richiesta una continua innovazione di prodotti. Molti altri paesi europei, soprattutto quelli mediterranei, hanno difficoltà analoghe.

Un secondo fattore riguarda la struttura del tessuto produttivo. Il tessuto produttivo italiano e, tutto sommato, anche europeo è caratterizzato da una vasta presenza di piccole e medie imprese. Sono aziende dotate, in genere, di grande flessibilità e capacità di adattamento, ma in difficoltà ad affrontare da sole le due principali sfide dell’economia globale: la necessità di agire sui mercati internazionali (internazionalizzazione) e la necessità della continua innovazione dei prodotti oltre che dei processi.

Un terzo fattore è la domanda di qualità sui mercati internazionali. Una delle componenti emergenti dell’economia mondiale è la green economy, la produzione di beni e di servizi che consentono di minimizzare l’impatto umano sull’ambiente. Questo tipo di economia ha bisogno di una continua innovazione tecnologica per poter accettare e continuamente rinnovare la sfida di coniugare lo sviluppo economico e, appunto, la qualità ambientale.

Per uscire dalla crisi e intraprendere un cammino di sviluppo sostenibile è utile che questi tre fattori concorrano insieme a trovare una soluzione. Che è quello di consentire alle piccole e medie imprese di innovare prodotti e processi, e di competere sui mercati internazionali aumentando il tasso di qualità ambientale dei propri prodotti e, anche, dei propri processi. Le singolo imprese – micro, piccole e medie – da sole non ce la fanno. Occorre metterle in rete. Consentire loro di competere sui mercati internazionali potendo fruire della capacità d’innovazione tecnologica connessa alla ricerca scientifica. Per questo sono molto utili iniziative come TEMA (Tecnology-based Environmental enterprises Market Approach), un progetto europeo co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale tramite il programma MED (Programma di Cooperazione Transnazionale nell'area del Mediterraneo) e coordinato dal l’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del Consiglio nazionale delle Ricerche (ICTP-CNR) che il prossimo 5 ottobre a Napoli alla Città della Scienza concluderà una prima fase dei suoi lavori con un incontro chiamato, appunto, Green Path. Il workshop sarà parte significativa di una manifestazione, I comandamenti per il XXI secolo, organizzata dalla Città della Scienza di Napoli. Sarà un incontro dove, probabilmente, non verranno presentate ricette definitive. Anche se saranno proposte sia linee guida per le piccole e medie imprese che vogliono intraprendere un “percorso verde” per lo sviluppo, sia piattaforme operative dove ricercatori e imprese di ridotte dimensioni possano incontrarsi. Ma se si riuscisse anche solo in questo, beh sarebbe già un importante risultato. Perché se c’è qualcosa che manca in Italia e in Europa è proprio un rapporto intenso, sistematico, ma rispettoso della rispettive nature tra ricerca scientifica e impresa.

Si oscilla, in genere, tra due estremi, entrambi insostenibili. Da un lato la totale separazione tra la ricerca accademica, che accetta la sfida (peraltro molto spesso con successo) di competere con il resto del mondo alle frontiere della conoscenza, e il sistema delle imprese, che non sanno come trasformare le nuove conoscenze scientifiche in sviluppo tecnologico; dall’altro, la subordinazione della ricerca alle necessità delle imprese, con la riduzione della ricerca scientifica in sviluppo tecnologico. Nessuno di questi due estremi può funzionare. Se il sistema produttivo europeo, largamente fondato sulle piccole e media imprese, non può attingere alla ricerca, allora la sua capacità di competere con il resto del mondo si esaurisce. Se, al contrario, la ricerca scientifica viene trasformata in sviluppo tecnologico, è la fonte di conoscenza che si esaurisce. Occorre trovare un percorso più equilibrato tra questi due estremi. Negli Stati Uniti, per esempio, è stato trovato da tempo. Ma negli Stati Uniti la presenza della piccola e media impresa è meno marcata che in Europa. Nel nostro continente occorre trovare un percorso diverso, capace di stabilire una rete virtuosa di relazioni tra ricerca pubblica e sistema delle imprese. In qualche paese soluzioni a questo problema sono state trovate, talvolta con successo. In altri, è il caso dell’Italia, no. Quello che manca, tuttavia, è una rete di relazioni tra laboratori pubblici e piccole e medie imprese a carattere europeo.

Cominciare a costruirla, coniugando ricerca, sostenibilità e integrazione tra le piccole e medie imprese è un passo importante. Forse decisivo. Perché significa che, finalmente, l’analisi dei nostri problemi inizia a chiarirsi. E quando la diagnosi è chiara, la probabilità di somministrare la giusta terapia aumenta in maniera significativa.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.