L'area urbana napoletana, con oltre un milione di persone residenti, e visitata da milioni di turisti ogni anno, è inclusa nel più vasto distretto dei Campi Flegrei. Queste due zone, che insieme costituiscono l'area Flegrea, rappresentano un ampio complesso vulcanico attivo cui è associato un elevato rischio vulcanico. Il rischio vulcanico è definito come il prodotto della pericolosità per la quantità di danni (a edifici, persone e beni) che possono essere provocati.
Come si vede dalla Fig. 1, il rischio è catastrofico o altissimo nella città di Napoli, altissimo nella parte centrale dei Campi Flegrei, alto o medio nelle zone circostanti (Quarto, Baia, Procida). Nonostante ciò, a causa dell'intensa urbanizzazione, l'assetto geologico di Napoli e la struttura dei depositi presenti sono stati indagati con maggiore difficoltà rispetto alla parte restante dei Campi Flegrei.
Il riconoscimento della natura vulcanica dell'area Flegrea avvenne già in epoca greco-romana. Nel 1904 fu presentata la prima ricostruzione stratigrafica dell'area, e l'attività eruttiva fu suddivisa in tre periodi. Studi successivi permisero l'inclusione dell'eruzione del Tufo Giallo Napoletano nel secondo periodo, e di quella dell'Ignimbrite Campana nel primo periodo. L'intensità di queste due eruzioni principali è stata impressionante: l'area Napoletana fu completamente seppellita da decine a centinaia di chilometri cubici di frammenti piroclastici (blocchi vulcanici di ceneri, lapilli, o bombe, emessi durante un'eruzione esplosiva). Come testimonianza delle eruzioni, due caldere concentriche, che si chiudono a mare, sono state individuate nella porzione continentale dei Campi Flegrei. La caldera esterna è associata all'Ignimbrite Campana, avvenuta 39000 anni fa, mentre quella interna al Tufo Giallo Napoletano, avvenuta 15000 anni fa.
Solo recentemente è stata proposta una dettagliata ricostruzione della storia vulcanica della città di Napoli, che ha portato alla rilevazione di criticità che possono essere risolte con l'ausilio di analisi che permettono la valutazione dell'età assoluta dei depositi (analisi geocronologiche). La stima delle età, riportate di seguito, è avvenuta attraverso il metodo geocronologico che si basa sul calcolo del rapporto argon40/argon39. I depositi del vulcanismo autoctono della città di Napoli poggiano su rocce sedimentarie come dimostrano alcune indagini eseguite nell'area. Tra i prodotti più antichi è stato individuato, durante lo scavo di varie gallerie, un corpo lavico sotto la collina di San Martino. L'attività posteriore è stata esclusivamente di tipo esplosivo e ha prodotto una serie di depositi (Tufi di Parco Margherita, di Parco Grifeo, della Funicolare di Chiaia, di San Sepolcro e di Capodimonte). I depositi formati da piroclasti da caduta che poggiano sul cono di tufo di San Sepolcro risalgono a 78000 anni fa, un'età maggiore di ben 18000 anni della più antica datazione riportata in letteratura per i piroclasti affioranti lungo il bordo settentrionale dei Campi Flegrei. Un'importante eruzione successiva, datata direttamente grazie alla presenza di bombe vulcaniche (depositi con diametro maggiore di 64 mm), è quella di Capodimonte. L'età, valutata a 53000 anni, testimonia un'attività esplosiva avvenuta all'estremità orientale dell'area vulcanica ancora più antica dell'eruzione dell'Ignimbrite Campana. L'ultimo deposito datato precedentemente all'Ignimbrite Campana (39000 anni) ha circa 40000 anni. Anche se la differenza tra le due età è di solo mille anni, è da escludere che questo deposito possa rappresentare il prodotto di una fase iniziale dell'eruzione dell'Ignimbrite Campana, data la presenza di un suolo di separazione tra i due depositi. Durante l'Ignimbrite Campana, uno sprofondamento calderico ha formato a sud la ripida scarpata della collina di San Martino, e a est la collina del Vomero e il lato meridionale di quella di Capodimonte. L'attività postignimbritica è stata caratterizzata dalla formazione di diversi centri eruttivi, ed è testimoniata da diversi depositi piroclastici affioranti nella città di Napoli. Questa attività vulcanica, di tipo esplosivo moderato, ha portato, ad esempio, alla formazione del vulcano di Trentaremi (21000 anni fa) e all'accumulo di prodotti da caduta nell'area di Posillipo (16000 anni fa). Questi fenomeni, insieme alla formazione del vulcano del Chiatamone nell'area di Chiaia (completamente sepolto dalla successiva eruzione del Tufo Giallo Napoletano), testimoniano il proseguire dell'attività esplosiva nella città di Napoli dopo l'Ignimbrite Campana. L'eruzione del Tufo Giallo Napoletano (15000 anni) ha determinato il collasso di una seconda caldera, il cui bordo orientale attraversa l'area urbana Napoletana ed è visibile lungo il margine nordoccidentale della collina di Posillipo. Successivamente a quest'ultima grande eruzione freatomagmatica, si sono osservati dei periodi di intensa attività, quasi esclusivamente esplosiva, all'interno del bordo della caldera del Tufo Giallo Napoletano. Le eruzioni di Monte Echia e di Nisida (4000 anni fa) testimoniano la persistenza dell'attività vulcanica, dopo l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano, ben all'interno dei confini urbani di Napoli.
Questa dettagliata ricostruzione stratigrafica e geocronologica ha permesso di individuare la successione relativa dei depositi presenti nella città di Napoli (Fig. 2), facendo emergere che il vulcanismo autoctono ha avuto un'evoluzione temporale molto simile a quella dei Campi Flegrei. L'analisi geocronologica è uno dei metodi fondamentali per le indagini sul rischio vulcanico. In molti casi, precedentemente, l'età geocronologica delle eruzioni verificatesi nell'area Flegrea e nella città di Napoli è stata valutata mediante il metodo del carbonio14. Il principale problema, nella datazione attraverso tale metodo, è che, essendo il tempo di dimezzamento del carbonio-14 di 5730 anni, le valutazioni della radioattività risultano abbastanza accurate fino a circa 25000 anni. Per tempi più lunghi, il livello di radioattività presente nei materiali naturali diventa sempre più basso e si ha bisogno di un'accuratezza sempre più elevata nelle datazioni. Già per età maggiori di 10000 anni, le datazioni ottenute portavano a calcolare un'età significativamente inferiore rispetto a quella reale. I depositi affioranti nell'area napoletana, inoltre, presentano un intervallo d'età, valutato con metodi stratigrafici, che varia da poche a un centinaio di migliaia di anni circa. In aggiunta, la paragenesi di questi prodotti porta alla formazione di minerali con un'elevata percentuale di potassio, il cui isotopo principale, cioè il potassio-40, ha un tempo di dimezzamento pari a 1,25109 anni (sette ordini di grandezza in più dell'intervallo d'età valutato). Per questi motivi, allora, si è preferito rieseguire le datazioni mediante il metodo geocronologico argon40/argon39. Questo metodo permette di ottenere datazioni molto accurate con errori percentuali intorno all'1 % o anche abbastanza inferiori, non raggiungibili attraverso il metodo del carbonio14.
Fig. 2 - La successione geocronologica dei depositi nella città di Napoli
[pagebreak] L'area dei Campi Flegrei è anche nota per fenomeni vulcanici secondari come il bradisismo (termine che in greco significa "movimento lento"). Il bradisismo consiste in un periodico abbassamento o innalzamento del livello del suolo (il massimo sollevamento è registrato a Pozzuoli) normalmente dell'ordine di 1 cm per anno, e quindi relativamente lento sulla scala dei tempi umani, ma molto veloce rispetto ai tempi geologici. Il bradisismo è un fenomeno non molto diffuso nella regione del Mediterraneo, ma noto sin dall'epoca romana e ampiamente studiato, come testimoniano le osservazioni condotte da diversi ricercatori nei secoli scorsi. In particolare, intorno alla metà del 1900, si riuscì a ricostruire la storia dei movimenti secolari del suolo nei Campi Flegrei attraverso lo studio dei fori lasciati da alcuni molluschi marini sulle colonne del Tempio di Serapide a Pozzuoli nei periodi di abbassamento, durante i quali le acque marine ne sommergevano le basi. Il sollevamento del suolo per effetto del bradisismo è stato oltremodo intenso nel XVI secolo: nel 1538, dopo un sollevamento di circa 7 metri, il fenomeno culminò con l'eruzione del Monte Nuovo, che nacque in pochi giorni distruggendo il villaggio di Tripergole. Altri eventi bradisismici sono avvenuti nei Campi Flegrei anche prima di tale data, come confermano le datazioni effettuate sulle colonne del Tempio di Serapide con il metodo del carbonio-14: esse indicano che ve ne sono stati almeno due, di cui il primo durante il V secolo d.C., con un sollevamento di circa 7 metri, e il secondo all'inizio del Medioevo. In epoca molto più recente, si è verificato un notevole bradisismo nei due periodi tra il 1970 e il 1972 (con un sollevamento del suolo di un metro), e tra il 1982 e il 1984 (con un sollevamento di circa due metri). In conseguenza di ciò, nel triennio 1970-1972 vi fu lo sgombero forzato del Rione Terra (quartiere storico popolare di Pozzuoli) e il successivo trasferimento degli abitanti nei nuovi fabbricati costruiti al rione Toiano e a Monteruscello, a circa tre chilometri di distanza dalla città. Analogamente, nel triennio 1982-1984, trentamila persone furono evacuate da Pozzuoli e alloggiate sempre nell'insediamento di Monteruscello. In ambedue i casi, molti dubbi sono stati espressi sull'efficacia delle misure adottate per la salvaguardia della popolazione, da molti ritenute addirittura inutili, soprattutto perché le nuove aree residenziali rientravano sempre all'interno della caldera dei Campi Flegrei. Episodi bradisismici di minore intensità si sono avuti poi nei tre periodi 1988-1989, 1993-1994, e 2000-2001. Attualmente, dal 2007, i Campi Flegrei sono entrati in una nuova fase di bradisismo di piccola entità. Sebbene il fenomeno sia stato studiato così a lungo e in dettaglio, la sua causa è ancoramolto controversa, e comporta notevoli implicazioni per la valutazione del rischio in un'area ormai molto urbanizzata come i Campi Flegrei. Recentemente, è stato proposto un modello geofisico che spiega l'origine del bradisismo, in cui si ipotizza che il fenomeno sia causato da un'attività magmatica profonda che avviene in una zona dove lo scorrimento delle rocce fuse sotto l'azione della pressione di carico è di tipo plastico.
L'area flegrea, dunque, sulla base di quanto descritto in precedenza, mostra come importante fenomeno vulcanico secondario solo il bradisismo e ciò significa che essa non può presentare un alto rischio sismico. La caldera dei Campi Flegrei, invece, è comunemente ritenuta una delle aree a più elevato rischio vulcanico. Il motivo principale, in conformità a quanto detto inizialmente, è che un eventuale evento eruttivo sarà probabilmente caratterizzato da un'elevata esplosività. Le bocche vulcaniche potrebbero aprirsi ovunque nell'area, come è avvenuto durante l'Ignimbrite Campana e il Tufo Giallo Napoletano, con il rischio di un'eruzione disastrosa in zone a elevata densità abitativa. Quindi diversi comuni (Pozzuoli, Baia, Bacoli, Quarto, ecc.) e anche l'area occidentale di Napoli (Bagnoli, Agnano, Fuorigrotta) sono potenzialmente a rischio. C'è da sottolineare, però, che le eruzioni di tale entità sono state molto rare nel corso della storia. Per questo motivo, molti affermano che l'allarmismo sul rischio vulcanico dell'area è eccessivo, osservando anche che la storia degli insediamenti ha dimostrato che la popolazione di queste zone è stata capace di coabitare con tale pericolo. In realtà, bisogna tenere ben presente che gli agglomerati urbani di una volta erano molto meno densamente abitati rispetto a quelli attuali, superaffollati e senza strutture stradali idonee a sostenere pesanti flussi di traffico. Tale affollamento di per sé fa innalzare i livelli di rischio a prescindere dal pericolo che si vuole prendere in esame. Molto recentemente, è stato proposto un modello probabilistico che ha portato a una valutazione quantitativa del rischio vulcanico nell'area Flegrea. Un'analisi siffatta ha inoltre un impatto diretto importante poiché permette l'identificazione delle aree caratterizzate da una pericolosità più alta nella caldera Flegrea. Un grafico a cui è utile riferirsi per visualizzare l'indicazione del rischio di eruzione attesa per ciascuna zona (grossi comuni) è quello riportato in Fig. 3. La suddivisione in zone è necessaria in quanto nei Campi Flegrei manca un apparato centrale dal quale aspettarsi un evento eruttivo. Come si osserva dalla figura, il livello di rischio è stato suddiviso in quattro parti. Nella prima parte sono comprese le eruzioni moderate o a piccola scala, analoghe a quella avvenuta nel 1538 con l'eruzione di Monte Nuovo, che si possono definire stromboliane. Nella seconda parte, il tipo di eruzioni è sub-pliniano, paragonabili a quelle di Astroni e Averno avvenute 3700 anni fa. La terza parte include le eruzioni pliniane come quelle del Gauro o delle Pomici Principali avvenute 10000 e 9000 anni fa. La quarta parte, infine, racchiude le eruzioni ultra-pliniane regionali, cioè con effetti su un'area più ampia di quella flegrea e napoletana, confrontabili con quelle del Tufo Giallo Napoletano e dell'Ignimbrite Campana. La provincia di Napoli, che è l'area compresa in questo ultimo caso, si estende su di una superficie di 1171 km2 con 92 comuni e una popolazione di oltre tre milioni di abitanti, con una densità media di oltre 2600 abitanti per chilometro quadrato. Di conseguenza, si è giunti a un punto tale che per ridurre il rischio a valori accettabili sarebbe necessaria una drastica riduzione degli insediamenti abitativi esposti, cosa che non appare attuabile per gli alti costi sociali ed economici.
Fig. 3 - Valutazione del rischio di eruzione attesa nell'area flegrea (Scandone A. The Evaluation of Volcanic Risk in the Campi Flegrei Area)
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