fbpx Le conferenze di Rees alla BBC | Scienza in rete

Le conferenze di Rees alla BBC

Read time: 3 mins

Quando si discute di servizio pubblico radiotelevisivo e si cerca un esempio al disopra di ogni sospetto, il pensiero corre all’emittente britannica BBC. Tra le iniziative che le rendono onore ci sono le Reith Lectures, affidate a personaggi di rilievo su temi d’interesse generale. Arricchiscono il dibattito culturale, dentro e fuori il Regno Unito, da più di sessant’anni e prendono il nome da Sir John Reith, primo direttore generale dell’emittente e sostenitore di un servizio pubblico di qualità. L’avvio si ebbe nel lontano 1948, con Bertrand Russell che parlò sul tema “L’individuo e l’autorità”. Il privilegio di tenere le quattro conferenze del 2010 è andato a Martin Rees (York, 1942), professore emerito di cosmologia e astrofisica a Cambridge, nonché divulgatore di fama internazionale (qui il video della conferenza tenuta da Rees durante il Festiva della Scienza 2012). Questo agile volumetto ne diffonde opportunamente i contenuti anche in Italia. Come spiega lo stesso Rees nell’introduzione, i testi sono stati aggiornati e ampliati anche sulla base delle domande del pubblico, ma mantengono il gusto e lo stile delle conferenze. Per tal motivo, ciascun capitolo può essere letto indipendentemente dagli altri. Gli argomenti spaziano da temi d’interesse nazionale fino ai limiti della conoscenza. Le conferenze si tennero in sedi diverse: dal BBC Lecture Theatre, al National Museum di Cardiff, alla Royal Society per finire con l’Open University. Per il pubblico della Royal Society, composto in prevalenza da scienziati, Rees scelse l’argomento “Quel che non sapremo mai”. C’è da scommettere che anche i lettori italiani leggeranno con curiosità questo capitolo, dove si parla di misteri del cosmo e del micro mondo, delle sfide del ventunesimo secolo, di vita intelligente oltre la Terra e del futuro “profondo”.

Secondo Rees l’unica posizione razionale di fronte all’ignoto sarebbe l’assoluta apertura mentale. Come dargli torto? Così può essere più piacevole e stimolante leggere della buona fantascienza che non della scienza di secondo ordine. La prima, tra l’altro, ha meno probabilità di essere sbagliata della seconda. A proposito dell’evoluzione dell’uomo e della vita dell’universo Rees conclude che “Non saranno gli umani a vedere la fine del Sole: saranno uomini tanto diversi da noi quanto noi lo siamo da un insetto”. Le restanti conferenze si occupano di temi che interessano direttamente il rapporto fra scienza e società civile, le tensioni presenti nel mondo, la condivisione dei benefici della globalizzazione, lo sviluppo, l’energia e i cambiamenti climatici. Due sono significativamente intitolate “Il cittadino scienziato” e “Sostenere una visione globale a lungo termine”. Rees si autodefinisce “ottimista, o almeno, tecno-ottimista”. Che non abbia cambiato idea rispetto a quanto dichiarato in precedenza a John Brockman, curatore del libro “What are you optimistic about” (Edge Foundation, 2007), pubblicato in Italia nel 2010, è senz’altro incoraggiante e dimostra indipendenza di giudizio. Infatti, quando viene affibbiata a un interlocutore scomodo, l’etichetta di tecno-ottimista può sottintendere una critica. Se non è aggettivato in senso restrittivo, il neologismo implica una visione della realtà che può contraddire l’esperienza diretta e appare scarsamente credibile. Il tecno-ottimismo di Rees è però tutt’altra cosa rispetto allo stereotipo presente nell’immaginario collettivo e deriso dagli ambientalisti. Egli è ben consapevole di essere un abitante di quel “puntino blu”, quasi sperduto nella vastità del cosmo, “il cui destino dipende dall’azione collettiva dell’umanità nel corso di questo secolo”. Purtroppo, l’attenzione degli uomini è spesso a breve termine e concentrata su temi provinciali. Danno poca importanza a ciò che accade in paesi poveri e lontani, nonché a ciò che lasceranno ai loro nipoti. Sarebbe una vergogna continuare a sostenere politiche che negheranno alle generazioni future l’eredità che meritano.

Con questo giudizio Rees concludeva l’ultima conferenza del ciclo. Con il suggerimento a tutti, ma specialmente a studenti e insegnanti, di leggere e discutere questo libro, la presente recensione.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Terre rare: l’oro di Pechino che tutti vogliono

miniera californiana di Mountain Pass

Il trattato USA-Ucraina appena sancito rivela quanto urgente sia la necessità di dotarsi di minerali critici, fra cui le 17 terre rare, per la transizione digitale ed elettrica. In realtà tutti sono all'inseguimento della Cina, che produce il 70% di questi metalli e l'85% degli impianti di raffinazione e purificazione. Questo spiega una serie di ordini esecutivi di Trump e le nuove politiche di Giappone, Australia ed Europa, e forse anche la guerra in Ucraina. Non più tanto le fonti fossili quanto le terre rare sono diventate materia di sicurezza nazionale. Ovunque si riaprono miniere, anche in Italia. Ma essendo difficili da estrarre e purificare si punta anche al riciclo e alla ricerca per mettere a punto le tecnologie di recupero più economiche e sostenibili. Ma come ha fatto la Cina ad acquisire una tale supremazia? E che cosa stanno facendo gli altri?

Nell'immagine la storica miniera californiana di Mountain Pass, TMY350/WIKIMEDIA COMMONS (CC BY-SA 4.0)

C’era una volta, negli anni Novanta del secolo scorso, un mondo con due potenze in sostanziale equilibrio nella produzione di terre rare: Stati Uniti (33%) e Cina (38%), seguiti da Australia (12%), India a e Malesia per il 5% ciascuna e le briciole ad altri paesi. Ora non è più così.