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Un futuro per la ricerca: le risposte di Ignazio Marino

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Ignazio Marino è candidato alle politiche 2013 al Senato della Repubblica in Lazio e in Piemonte per il Partito Democratico. Ecco le sue risposte alle domande in 10 punti proposte dal Gruppo2003 sul futuro della ricerca scientifica in Italia.

1. Investimento in Ricerca

Il nostro Paese investe meno della metà di tutti i suoi competitori in ricerca (circa 1% del PIL). Questo divario è solo in parte spiegato dal fatto che la nostra struttura industriale è costituita in larga misura da piccole e medie imprese. L’investimento in ricerca è stato costantemente sacrificato a scapito del futuro del Paese.
Di quanto vi impegnate ad aumentare in modo realistico la percentuale del PIL dedicata a ricerca ed istruzione superiore all’anno nei prossimi tre anni? Con che scaletta? Il Gruppo 2003 propone un aumento del 20% all’anno nei prossimi 3 anni indipendentemente dalla situazione economica contingente e dalle pressioni di interessi particolari.
Come e dove troverete le risorse per questo aumento di investimento?
A che settori darete la priorità?
Come eviterete che, in un sistema ancora scarsamente meritocratico, un aumento di investimento si risolva in spreco di denaro?
Siete d’accordo su detassare le donazioni agli enti di ricerca ed in generale le attività di ricerca? Se sì come ed in che tempi?

Ignazio Marino

Non si può condurre il nostro Paese fuori dalla crisi e migliorarne l’economia puntando solo sugli aspetti fiscali, finanziari oppure sulla riforma del sistema pensionistico. Ho sempre sostenuto che la ricerca è il settore principale su cui investire. Un paese che non investe in ricerca, che non premia i propri giovani migliori, che non li sostiene e che li lascia partire dopo averli formati nelle scuole per almeno vent’anni è un Paese che svende il proprio futuro. Per risollevare le sorti della nostra ricerca dobbiamo quindi investire di più e meglio selezionando le persone e i progetti che davvero lo meritano.

Uno studente che completa il suo percorso di studio con il dottorato costa allo Stato italiano circa 500mila euro, mentre non costa nemmeno un euro ai Paesi che, con politiche di sviluppo intelligenti e lungimiranti, fanno di tutto per accoglierlo e valorizzarlo. A ciò si aggiunga che i nostri venti migliori ricercatori che lavorano all'estero hanno prodotto, tra il 1989 e il 2009, 155 brevetti per il valore commerciale di oltre 2 miliardi di euro. Se la classe politica non cambia le sue strategie, continueremo a rimanere il fanalino di coda nel mondo industrializzato con un misero 0,9% di PIL destinato a progetti di ricerca, per di più assegnati senza alcun criterio di merito.

E` urgente un’operazione congiunta: raddoppiare, progressivamente nel corso dei 5 anni della prossima legislatura, le risorse economiche assegnate alla ricerca in modo da giungere per lo meno al 2% del PIL, e adottare per ogni ambito le regole internazionali di assegnazione dei fondi della peer review, in modo da permettere una valutazione e una selezione dei progetti più validi ed esclusivamente sulla base del merito.

In questa direzione qualche piccolo passo avanti era stato fatto, grazie a norme che ho scritto e che ero riuscito a far votare, a partire per esempio dalle Finanziarie 2007 e 2008, con articoli di legge che prevedevano bandi per giovani ricercatori under 40 selezionati in base alle norme della peer review, e valutati da una commissione i cui membri fossero al 50% scienziati stranieri. La commissione era interamente selezionata con parametri oggettivi come l’impact factor e il citation index. E moltissimo resta ancora da fare. Basterebbe emanare il decreto attuativo dell'articolo 20 della riforma Gelmini (che io scrissi come emendamento e venne votato dal Senato all’unanimità oltre 2 anni fa) per introdurre merito e trasparenza nel processo per l'assegnazione di tutti i fondi del MIUR. Questo articolo necessita, appunto, di un decreto attuativo a firma del Presidente del Consiglio che non e` stato scritto ne` dal presidente Berlusconi, ne` dal presidente Monti, nonostante io abbia sollecitato piu` volte, anche per iscritto, i ministri competenti, Gelmini e Profumo. Il Governo Monti con il decreto Semplificazione e sviluppo, la scorsa primavera, ha persino provveduto a cancellare le norme da me introdotte per i giovani ricercatori con le Finanziarie 2007 e 2008, promettendo nuove leggi orientate alla selezione dei progetti dei giovani ricercatori sulla base del merito che poi non sono mai state scritte.

Una fonte a cui attingere per aumentare i fondi destinati alla ricerca - e non soltanto (penso ad esempio al finanziamento di nuove tecnologie in sanità pubblica) - a mio parere potrebbe derivare da tagli alle spese per gli armamenti. L’Italia si è impegnata all’acquisto di 131 cacciabombardieri per un costo totale di circa 15 miliardi di euro. Il Governo Monti ha deciso di cambiare i patti con i cittadini in materia fiscale e sulle pensioni: perché non ha fatto lo stesso sospendendo o limitando la partecipazione al programma di realizzazione dei cacciabombardieri come, ad esempio, la Norvegia? Perché non si può immaginare di rinunciare agli F-35?

Con queste somme potremmo finalmente sostenere qualche investimento per la ricerca e l’innovazione, per far uscire il nostro Paese da quella condizione di arretratezza riconosciuta anche dalle statistiche della Commissione Europea. 

I settori a cui dare priorità sono a mio parere quelli che possono avere ricadute produttive sul Paese e la sua economia, quindi quelli legati all’innovazione, alla ricerca e allo sviluppo delle nuove tecnologie come le biotecnologie, le energie rinnovabili, i farmaci innovativi.

E` prioritario anche detassare i contributi agli enti di ricerca, fin da subito, e con un meccanismo fiscale estremamente incoraggiante per la filantropia come quello che permette grandi donazioni nel settore della ricerca e della cultura negli USA.

2. Valutazione e Premialità

I meccanismi di distribuzione dei fondi di ricerca pubblici soffrono di meccanismi scarsamente trasparenti e meritocratici. Ancora, negli ultimi anni il 10% o poco più del finanziamento ordinario delle università (FFO) è stato distribuito sulla base dei parametri di valutazione emersi dall’esercizio CIVR condotto oltre 8 anni fa. Con un percorso bipartisan è stata attivata un’agenzia di valutazione (ANVUR) ed è in corso un esercizio di valutazione detto VQR.
Intendete aumentare la quota di FFO distribuita sulla base dei parametri di valutazione della ricerca?
Di quanto e con che tempi?
La valutazione dei progetti di ricerca è cruciale per assicurarsi che il finanziamento sia erogato in maniera meritocratica attraverso una valutazione esente da conflitti di interessi. Il processo di "peer review", che coinvolge esperti internazionali, indipendenti, e che lavorano in anonimato, è applicato a livello internazionale allo scopo di ottenere una valutazione meritocratica. In che modo intendete applicare seriamente questo tipo di selezione ai meccanismi di finanziamento pubblico della ricerca?

I.M. Trasparenza e merito sono parole chiave in ricerca. Come ho scritto nella risposta precedente, in questa direzione qualche piccolo passo avanti era stato fatto, grazie a norme che ho scritto e che ero riuscito a far votare, a partire per esempio dalle Finanziarie 2007 e 2008, con articoli di legge che prevedevano bandi per giovani ricercatori under 40 selezionati in base alle norme della peer review, e valutati da una commissione i cui membri fossero al 50% scienziati stranieri. La commissione era interamente selezionata con parametri oggettivi come l’impact factor e il citation index. E moltissimo resta ancora da fare. Basterebbe emanare il decreto attuativo dell'articolo 20 della riforma Gelmini (che io scrissi come emendamento e venne votato dal Senato all’unanimità oltre 2 anni fa) per introdurre merito e trasparenza nel processo per l'assegnazione di tutti i fondi del MIUR. Questo articolo necessita, appunto, di un decreto attuativo a firma del Presidente del Consiglio che non e` stato scritto ne` dal presidente Berlusconi, ne` dal presidente Monti, nonostante io abbia sollecitato piu` volte, anche per iscritto, i ministri competenti, Gelmini e Profumo. Il Governo Monti con il decreto Semplificazione e sviluppo, la scorsa primavera, ha persino provveduto a cancellare le norme da me introdotte per i giovani ricercatori con le Finanziarie 2007 e 2008, promettendo nuove leggi orientate alla selezione dei progetti dei giovani ricercatori sulla base del merito che poi non sono mai state scritte.

Dopo aver chiesto invano al governo Monti di ripristinare il meccanismo, durante la legislatura che sta per chiudersi ho protestato anche non votando la fiducia al Senato. Un’astensione che per me ha significato un no politico, motivato e chiaro e una denuncia forte.

Tengo molto a ripercorrere la storia di questa norma, semplice, snella ma a mio parere davvero cruciale. Già nel 2008, anno successivo all’approvazione, erano state presentate oltre 1.700 domande per accedere al finanziamento. Arrivo` prima una giovane ricercatrice dell’università di Chieti, con un progetto sulle malattie neurodegenerative. La stessa ragazza l’anno prima era stata sconsigliata a presentarsi al concorso di ricercatrice dal suo barone universitario perché c’era qualcuno, con il cognome più importante del suo, che doveva vincere. Diverso l’esito della competizione davanti al Comitato di valutazione under 40 costituito sulla base della norma da me introdotta. La giovane ricercatrice ha conquistato 600mila euro con cui ha anche potuto assumere due borsisti e sviluppare il suo progetto.

3. Competitività Internazionale e Premialità

Tutti i Paesi, in modo diverso, hanno scelto di investire in modo selettivo e competitivo su pochi atenei e centri di ricerca con l’obiettivo di renderli competitivi e fra i migliori a livello internazionale. Ad esempio, Germania, Francia, Inghilterra, Cina, ecc, investono selettivamente in alcuni atenei. Gli atenei italiani non vanno bene nei ranking internazionali, anche se vanno meglio nei ranking basati su parametri obiettivi e non reputazionali. Ancora, a livello di finanziamenti europei alla ricerca scientifica, il nostro Paese recupera solo circa la metà delle risorse che mette a disposizione, risultando poco competitivo. In più, e paradossalmente, chi ottiene finanziamenti internazionali paga l'IRAP sui fondi vinti!
Siete d’accordo nel selezionare un numero limitato di atenei (10 sull’esempio tedesco?) e centri di ricerca dotandoli di risorse adeguate a portarli al livello dei migliori nei ranking internazionali?
Se sì, con che tempi, che risorse, che modalità?
Intendete introdurre meccanismi premiali per chi ottiene finanziamenti internazionali, secondo modelli e modalità internazionali?

I.M. Che l’Italia investa poco in ricerca scientifica è noto ma forse non tutti sanno che il nostro Paese finanzia con quasi quattrocento milioni di euro l’anno gruppi di ricerca di altri stati europei attraverso le somme stanziate per i programmi UE per l’innovazione, che ammontano a un totale di cinquanta miliardi di euro tra il 2007-2013 e ben ottanta miliardi fino al 2020. Ad oggi i nostri ricercatori hanno ottenuto due miliardi di euro, che corrispondono all’8,43% dei fondi mentre lo stato italiano contribuisce con una quota pari al 13,4%.

Perché non riusciamo a fare meglio? Chi fa ricerca risponde: scarsa abitudine a competere e un sistema di finanziamento interno che ignora i criteri internazionali. Purtroppo negli ultimi vent’anni è entrata nel profondo delle coscienze, anche degli scienziati, l’idea distruttrice che il merito non serva e l'onestà sia inutile. I fondi pubblici sono quasi sempre distribuiti a pioggia e sulla base delle amicizie, delle clientele, delle cordate di baroni. E tutto ciò ha condotto non solo all'abbandono di una certa idea di etica della scienza ma anche a premiare i mediocri, che non sono in grado di competere. Responsabilità gravissime, che trovano le radici nell’intera classe dirigente, politici, alti funzionari dello Stato, professori universitari allergici alla cultura del merito e scettici rispetto all’idea che la ricerca rappresenti un elemento cruciale di sviluppo, crescita e benessere economico.

Doverosa è almeno una riflessione su una possibile introduzione di una classificazione distinta dei nostri atenei fra “research universities” e “teaching universities”.

Inoltre, come nel caso della sanità pubblica, meglio eliminare centri di cura scarsamente specializzati e puntare su un minor numero di ospedali in grado pero` di fornire assistenza specialistica di alto livello. Il cittadino dovrà spostarsi per raggiungere l’istituto di cura più adeguato ma alla scomodità logistica corrisponderà una più efficace risposta alle sue esigenze. Ugualmente, in campo di offerta di corsi universitari, è preferibile puntare su alcuni centri che diventino il riferimento, per lo meno nazionale, in settori ben definiti, anziché disperdere sul territorio un’offerta di livello inferiore. Questo incentiverà anche la mobilità degli studenti, un altro tratto talvolta poco apprezzato dagli universitari del nostro Paese. Ovvio che a ciò dovrà essere accompagnata una pianificazione integrata di servizi per gli studenti, che comprenda per esempio anche assistenza ed opportunità residenziali facilitate per i fuori sede. I concorsi per le Facolta` a numero chiuso dovrebbero essere nazionali e permettere ai migliori classificati di scegliere la sede alla quale iscriversi supportando il loro merito anche economicamente.

Altra urgente necessità è l’internazionalizzazione dei nostri atenei e, più in generale, dei percorsi formativi da essi offerti. Penso alla urgenza di rendere i nostri studenti, cittadini e ricercatori nel mondo, aprendo i loro orizzonti culturali ma anche alla possibilità di aprire l’università italiana ad un numero sempre maggiore di iscritti provenienti dall’estero.

Secondo i dati del MIUR, le iscrizioni agli atenei italiani nel 2011 hanno coinvolto poco più della metà dei neodiplomati. Un dato che deve far riflettere se proiettato nel futuro del Paese e se confrontato con la media europea e internazionale. Eppure l’Italia deve investire sull’eccellenza accademica proprio in vista delle nuove sfide che l’economia e il mondo del lavoro oggi ci lanciano.

4. Cabina di Regia

Lo scarso investimento in ricerca del Paese passa attraverso finanziamenti erogati da diversi ministeri e si disperde in rivoli spesso scarsamente controllati o incontrollabili.
Siete disponibili a condurre un’analisi rigorosa per conoscere tutti i fondi del sistema pubblico disponibili per la ricerca e per descriverne i criteri di erogazione?
Il Gruppo 2003 ha proposto un’Agenzia Nazionale della Ricerca, una struttura di coordinamento che dovrebbe essere leggera, efficiente e trasparente, fondata su meccanismi di peer-review, sia per finanziamenti top-down che bottom-up. Siete disponibili a creare questa agenzia per rendere più coordinato, efficiente e trasparente il sistema di distribuzione dei fondi di ricerca ?
Come migliorerete l'attività dell'ANVUR?
Per quanto riguarda il settore biomedico, le charities come Telethon e AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) dimostrano che “si può fare”. Intendete utilizzare come modello queste organizzazioni private non-profit?

I.M. L’idea di una Authority che assicuri monitoraggio e valutazione trasparenti e indipendenti soprattutto dai partiti è sicuramente ottima, così come è auspicabile trarre ispirazione da esperienze virtuose e particolarmente produttive del settore no profit che hanno da tempo adottato sistemi di valutazione affidabili e trasparenti per progetti di ricerca internazionali. Ho utilizzato lo stesso principio per scrivere un disegno di legge (DDL 1954/23 dicembre 2009) in materia di sanita` pubblica che permetta, attraverso l’istituzione di una Authority nazionale, indipendente dalla politica, di valutare gli outcomes delle attivita` in tutte le nostre strutture e modulare i finanziamenti sulla base dei risultati.

5. Lacci e Lacciuoli

L'utilizzo efficiente delle scarse risorse del Paese è ostacolato da un’infinità di “lacci e lacciuoli”. Il Gruppo 2003 e il più alto organo di consulenza del Ministero dell’Università e della Ricerca (CEPR) hanno più volte richiamato l’attenzione su questo problema ed identificato in modo specifico una serie di “lacci e lacciuoli”.
Intendete tagliare i “lacci e lacciuoli” identificati dal CEPR? Quali e con che tempi?

I.M. Raramente i cosiddetti “lacci e lacciuoli” sono garanzia di maggior controllo o di superiore qualità. L’iter burocratico per partecipare a bandi di concorso per finanziamenti alla ricerca, così come le procedure di rendicontazione e verifica degli outcomes possono e devono essere alleggeriti e abbreviati. Rifacendoci ai meccanismi in uso nei Paesi più dinamici in questo settore, dobbiamo diminuire il numero delle regole, innalzando il livello di trasparenza e assicurando ai processi di valutazione e controllo una maggiore efficacia. Procedure più snelle e criteri strettamente meritocratici, sulla base della peer review internazionale, sono la strada da intraprendere, anche e soprattutto quando disponiamo di risorse ancora insufficienti per un concreto rilancio del settore della ricerca.

6. Valore Legale del Titolo di Studio

L'abolizione del valore legale del titolo di studio aumenterebbe la competizione tra Università e produrrebbe un effetto benefico sulla qualità degli atenei e sulla loro produttività, innescando un circolo virtuoso. Il Gruppo 2003 da 10 anni propone l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Il Governo Monti si è mosso per depotenziare in alcuni settori il valore legale del titolo.
Siete d’accordo con l’abolizione del valore legale del titolo di studio?
In subordine, siete d’accordo con un ulteriore depotenziamento del valore legale del titolo di studio? Se sì, come lo farete?

I.M. Con “valore legale del titolo di studio” si intende l’insieme degli effetti giuridici che la legge ricollega ad un determinato titolo scolastico o accademico, rilasciato da un istituto autorizzato. Il valore legale del titolo di studio, quindi, dovrebbe costituire una garanzia del valore sostanziale del titolo e non dovrebbe mai trasformarsi in un puro atto formale.

E’ innegabile però che il progressivo riconoscimento dell’autonomia agli atenei e la grande differenziazione nell’offerta formativa hanno reso il meccanismo autorizzativo sempre più inadeguato.

Gia` quando presentai la candidatura alla segreteria del Partito Democratico nel 2009 sostenni nel mio programma l’abolizione del valore legale del titolo di studio: un’idea della quale sono ancora fortemente convinto anche se mi rendo conto non essere largamente condivisa.

7. Attrattività e Rientro dei Cervelli

Su scala globale è in atto una vera e propria corsa ad accaparrarsi l’oro del terzo millennio, non più l’oro giallo o l’oro nero, ma l’oro grigio costituito dai cervelli. Il nostro Paese su questo piano soffre, non solo e non tanto, di un’emorragia di cervelli, ma anche e soprattutto di una scarsa attrattività. I Programmi di Rientro dei cervelli hanno dato risultati spesso discutibili sul piano della qualità e dell’impegno.
Siete d’accordo nell’individuare un percorso dedicato e facilitato (visti, permessi di soggiorno), anche dal punto di vista fiscale, per l’entrata dei cervelli stranieri nel nostro Paese?
Il “rientro dei cervelli” è privo di senso se non si è in grado di offrire dei package attrattivi, ad esempio dal punto di vista dei vincitori di competizioni internazionali come il Programma IDEAS dello European Research Council. Vanno offerti percorsi di durate medio-lunga, per attirare anche chi all'estero ha posizioni stabili o permanenti e facilitare chiamate dirette. Intendete stanziare risorse per pacchetti di offerta su base flessibile e competitiva per fare entrare o rientrare cervelli? Da dove otterrete le risorse necessarie?

I.M. Per aspirare al raggiungimento di risultati positivi bisognerebbe avere le idee chiare e una strategia in mente. Il Giappone, ad esempio, ha scelto da tempo la strada della «fidelizzazione»: si accede a un posto di ricercatore anche senza una formazione di alto livello, ma si incentivano le risorse umane a lavorare nello stesso posto per tutta la vita, così la formazione avviene internamente e il ritorno sull’investimento è assicurato sul lungo periodo. Gli USA hanno invece adottato l’atteggiamento opposto: si assume solo personale altamente specializzato pronto a produrre, meglio se straniero e quindi già formato nel paese d’origine, e in questo modo non si spende nemmeno un dollaro per sostenere i costi della formazione. Il Regno Unito, consapevole del ritardo accumulato nei confronti dei cugini d’oltreoceano, negli anni Novanta ha puntato sul coinvolgimento della grande industria per favorire la ripresa del settore della ricerca, nella convinzione che lo Stato da solo non avrebbe potuto sostenere l’onere di investimenti massicci. Così, grazie ad accordi reciproci, i settori più produttivi del capitalismo industriale inglese hanno portato la Gran Bretagna ad avere il più alto tasso di investimenti in ricerca pubblica di tutto il mondo. In Italia, nonostante il fenomeno dell’emigrazione massiccia dei ricercatori sia riconosciuto da tutti, per il momento l’unica strada che si continua a perseguire è quella di una miope generosità nei confronti degli altri paesi: si formano i ricercatori a spese del sistema scolastico e universitario pubblico italiano per poi spingere i migliori a lavorare all’estero a tutto beneficio del paese di destinazione.

Solo il 6%, su un totale di circa 3.000 finanziamenti concessi dall’European Research Council (ERC) a partire dal 2007 è stato destinato a ricercatori attivi presso istituzioni pubbliche e private italiane nelle discipline delle scienze naturali, fisiche, sociali e umanistiche. I dati dell’ERC permettono di confrontare le performance accademiche dell’Unione Europea rilevando le eccellenze.

Il nostro Paese, con il suo 6%, cioè 190 progetti per un totale di 425 milioni di euro, si piazza al sesto posto, poco prima della Spagna e poco dopo la Svizzera e l’Olanda, che però sono nazioni la cui popolazione è di gran lunga inferiore a quella italiana. Le prime tre posizioni, con numeri ben più consistenti, sono occupate invece da Gran Bretagna (quasi 700), Germania e Francia (entrambe ottengono più di 400 progetti finanziati).

Altro aspetto di cui bisogna tenere conto nell’analisi è la nazionalità dell’istituzione accademica che il ricercatore sceglie per svolgere la propria ricerca, perché consente di rilevare la capacità di un Paese di attrarre studiosi brillanti. Un terzo degli assegni attribuiti all’Italia va a ricercatori che svolgono le loro attività di ricerca al di fuori dei confini nazionali, mentre sono solo 20 i grants attribuiti a stranieri che lavorano nel nostro Paese.

Insomma, ci sono molti ricercatori italiani brillanti che vanno all’estero, ma pochi scienziati stranieri che vengono in Italia.

Anche il Rapporto Istat ”Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” mostra che negli ultimi 10 anni, dal 2002 al 2011, è quasi triplicato il numero dei giovani laureati italiani che ha lasciato il Paese verso mete più attraenti come appunto la Germania, la Svizzera, il Regno Unito e la Francia, mentre è diminuita l’emigrazione italiana classica, cioè quella della manodopera con un basso livello di scolarizzazione.

Un’emorragia di risorse frutto di anni di politiche miopi di non-investimenti nella ricerca che il nostro Paese non può più permettersi: bisogna invertire la tendenza, cominciare a scommettere sul futuro e l’innovazione scientifica in tutti i campi del sapere, riscoprirsi internazionali agevolando la permanenza o l’arrivo di ricercatori nei nostri laboratori e nelle nostre università.

Ma perché andarsene? I motivi sono tutti riconducibili alle risposte che ho provato a dare alle domande precedenti. Assenza di meritocrazia e di meccanismi tipo peer review nella attribuzione dei fondi, scarse risorse disponibili per le attività di ricerca, condizioni economiche migliori all’estero, prospettive di un più rapido sviluppo di carriera sulla base dei propri risultati. A queste ragioni si aggiungono i motivi per non tornare che vanno dall’eccessiva burocratizzazione della ricerca, alla carenza di tecnologie e laboratori, dalla chiusura del mondo universitario che si esplicita in posti di lavoro non adeguati fino all’incertezza rispetto alle prospettive di carriera. Ma, probabilmente, l’aspetto più rilevante che tutti i ricercatori italiani all’estero vorrebbero comunicare è il timore di ritornare in un sistema che non attribuisce alcun valore al merito e che invece offre promozioni e opportunità, oltre che finanziamenti seppur modesti, sulla base di meccanismi non trasparenti e soprattutto non misurabili. Non sono quindi sufficienti solo maggiori risorse, serve un cambiamento radicale nei criteri di assegnazione dei fondi.

8. Ricerca Industriale e Trasferimento Tecnologico

Il sistema di ricerca del Paese soffre di un insufficiente trasferimento dei suoi risultati alla società nel suo complesso ed all’industria. Ad esempio, i dati indicano che in un’ipotetica partita Italia-Germania sul piano della ricerca, usando come indicatore della ricerca fondamentale le citazioni, il nostro Paese è al 75% della Germania (un grande risultato se si considera la differenza in entità e qualità dell’investimento), ma è solo al 19% se consideriamo un indicatore di trasferimento del know how all’industria. Insomma, l’imbuto del trasferimento è stretto in modo anomalo.
Cosa intendete fare per il trasferimento tecnologico?
Che misure concrete intendete prendere per favorire un rapporto trasparente e proficuo mirato al trasferimento tecnologico?
L’industria nel nostro Paese investe in ricerca in modo insufficiente, un difetto correlabile in una certa misura alla prevalenza di strutture di piccole e medie dimensioni. Cosa intendete fare per promuovere la ricerca industriale?
Riteniamo che i programmi di ricerca nell’industria, finanziati dallo Stato, siano stati e siano scarsamente produttivi per macchinosità, lentezza, richieste di aggregazioni surrettizie, ecc. Intendete detassare davvero l’investimento in ricerca?
In che misura?
Con che meccanismi?

I.M. Cito un esempio che mi ha positivamente colpito, per semplicità ed efficacia. Penso al progetto rappresentato dall’Incubator, nato negli Stati Uniti, e che ha dimostrato solo nel 2005 di essere in grado di assistere oltre 27mila imprese che hanno fornito occupazione a più di 100mila lavoratori e hanno generato entrate annuali di 17 miliardi di dollari. Per esempio, partendo da uno stanziamento di fondi pubblici di venti milioni di dollari, la società BioAdvance ha selezionato i venti progetti più promettenti sui duecento presentati da altrettanti ricercatori, tutti relativi alla ricerca sulle biotecnologie. La fase di start-up di queste piccole aziende biotecnologiche è stata così finanziata tramite prestiti agevolati con fondi pubblici di moderata entità e successivamente sostenuta da investimenti da parte di partner privati come le università, le aziende farmaceutiche, le camere di commercio ecc. Statisticamente si e` calcolato che almeno quattro dei venti progetti avviati hanno avuto successo e nel giro di dieci anni il ritorno economico prodotto sarà di dieci volte superiore all’investimento iniziale. Le giovani compagnie potranno a questo punto essere vendute a società più importanti o attrarre l’interesse di eventuali venture capital. L’Incubator riscuote cosi` il prestito iniziale e gli eventuali proventi ottenuti dalla vendita delle società e utilizzerà questi guadagni per proseguire con il finanziamento di nuovi progetti di ricerca. Un circolo virtuoso che favorisce l’iniziativa dei singoli ricercatori, offrendo loro la possibilità di fare ricerca, libera e creativa, anche al di fuori dall’ambito universitario.

9. Giovani, Capaci e Meritevoli

Il cosiddetto “Capitale Umano” costituisce la vera ricchezza del Paese. Il Sistema Paese sta perdendo una generazione di ricercatori a causa della scarsità delle risorse e l’inaffidabilità dei percorsi di carriera.
Esistono criteri e parametri elaborati a livello internazionale che definiscono i requisiti necessari per poter accedere alle diverse posizioni di carriera del ricercatore e le procedure di valutazione sia in ingresso sia in itinere. L'applicazione di tali criteri e parametri a livello nazionale è urgente.
Come procederete per realizzare percorsi di carriera per i ricercatori affidabili e meritocratici secondo standard internazionali?
Vi impegnate a non favorire alcuna entrata o promozione “ope legis” comunque mascherata?
Il diritto dei capaci e meritevoli di accedere ai livelli più alti dell’istruzione e di contribuire alla ricerca scientifica è di fatto in larga misura negato nel nostro Paese dall’insufficienza, ad esempio, delle borse di studio, degli assegni di ricerca, ecc.
Cosa intendete fare per migliorare il diritto allo studio ed il diritto-dovere a contribuire al sistema di ricerca del Paese dei nostri migliori cervelli indipendentemente dal ceto sociale di origine?
Vi impegnate a trovare le risorse per promuovere l’entrata in ricerca di una leva di giovani (borse di studio, assegni di ricerca, ecc.)? con che risorse?

I.M. E’ necessario modificare la formazione universitaria e post-universitaria, ripensare le carriere professionali, i salari, ma anche le responsabilità e i doveri dei ricercatori di maggior talento.

In una mia lettera al Corriere della Sera dell’11 gennaio 2007 osservavo che nel 1987 l’età media dei ricercatori era di 38 anni, mentre nel 2009, in base ai dati dell’ufficio statistica del MIUR, l’età media era salita a oltre 51 anni. In ventidue anni il sistema è quindi invecchiato di ben 13 anni. In questo solo dato c’è tutta la crisi del nostro sistema universitario.

Ho spesso sottolineato, inoltre, che ritengo opportuno valutare i circa 30.000 professori (associati e ordinari) entrati in ruolo successivamente alla legge del 1980, oltre a chiedere il pre-pensionamento per coloro che nell'ultimo terzo di secolo non hanno prodotto nulla scientificamente. Al tempo stesso si dovrebbero ammettere nel mondo accademico altrettanti giovani pronti e felici nell'essere valutati sulla base dei loro risultati ogni 3-5 anni. Insomma, un criterio di merito più che anagrafico per svecchiare in tutti i sensi l’università e la ricerca nel nostro Paese.

Lo scorso aprile, nella mia attività di senatore, ho osteggiato la proposta di tassare borse di studio e assegni di ricerca. Una misura inaudita, che incentiva la fuga all'estero dei nostri talenti migliori, stremati da un Paese che non li valorizza, che li tratta come manodopera a basso costo e non come una risorsa per il nostro futuro.

10. Cultura della Scienza e della Ricerca

Ritenete indispensabile promuovere e rilanciare la Cultura della Scienza e della Ricerca in un paese che l’ha sostanzialmente da sempre trascurata? Quali iniziative sostenibili nel tempo intendete adottare?
Vi impegnate ad investire nella formazione scientifica dei giovani? Con quali iniziative?

I.M. Certamente sì, prevedendo anche interventi mirati a partire dalla scuola primaria, con l’utilizzo di role models, attività di mentoring, promozione di iniziative (ad esempio, festival aperti alla cittadinanza), investendo sulla formazione degli insegnanti e potenziando i poli di formazione superiore in ambito scientifico e tecnologico.

Senza tralasciare il settore umanistico che, anche in virtù dell’incredibile patrimonio artistico-culturale del nostro Paese, costituisce una straordinaria  area di investimento, ritengo che sia urgente incrementare la formazione scientifica in Italia, mettendola in più stretta connessione con il settore industriale.

Esiste la necessita` di intervenire con modifiche sostanziali di alcuni nostri ordinamenti, come ho esplicitato nelle risposte precedenti, ma esistono anche strumenti eccellenti per promuovere e rilanciare la Cultura della Scienza e della Ricerca che non hanno ne` costi ne` necessita` di interventi legislativi e che personalmente considero assai efficaci. Un esempio e` il cosiddetto “shadowing” un programma al quale ho sempre entusiasticamente partecipato nelle Universita` USA in cui ho lavorato come docente. Si tratta di accogliere ogni estate, a rotazione, alcuni studenti liceali che seguono il docente universitario dalla mattina alla sera per due settimane. Nel mio caso partecipavano alle attivita` di ricerca clinica, di sperimentazione e anche di sala operatoria. Gli studenti ne sono entusiasti e posso assicurare che e` assai gratificante anche per i docenti che hanno non solo l’opportunita` di appassionare giovani intelligenze alla propria disciplina ma anche di scoprire quanto sia affascinante confrontarsi e rispondere alle domande di un adolescente.

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