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Il Patto di Pavia: un'exit strategy dalla civiltà dell'auto

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"Il settore dei trasporti rappresenta il 7% circa del PIL europeo e il 5% dei posti di lavoro nell’UE. E' quindi un settore importante e strategico per l’intera economia europea. Tuttavia, come sostiene autorevolmente anche l’OMS, esso è indubbiamente una delle fonti più importanti di sostanze inquinanti quali gli ossidi di azoto e soprattutto il particolato fine (PM10 e PM2,5 ) e ultrafine, che producono situazioni di rischio per la salute umana e in particolare per quella dei bambini. Il 2013 è stato proclamato dalla Commissione Europea Year of Air".

Così esordisce il "Patto di Pavia", un importante documento messo a punto dalle ARPA del bacino padano e da alcuni comuni (in testa quello di Pavia), che intendono ripensare il sistema della mobilità dell'area, responsabile di pesanti impatti sanitari, fra cui incidenti stradali, sedentarietà ed effetti da inquinamento dell'aria

Il Documento delinea una compiuta strategia per allineare la mobilità di tutto il bacino agli standard più avanzati e sostenibili tipici dell'area nordeuropea. A dispetto del fatto che alle nostre latitudini il tasso di motorizzazione non accenna a diminuire (anche se la crisi sta cominciando a incidere) e il trasporto su gomma continua a prevalere su quello su ferro, il Patto mette in fila una serie di misure coordinate fra loro per ridare ruolo al trasporto pubblico e in genere alla mobilità dolce. Alle ricette viabilistiche e tecnologiche si affiancano approcci anche strutturali senza i quali è illusorio pensare di ridurre sostanzialmente l'uso dell'auto privata: una diversa politica urbanistica che contrasti la terribile frammentazione territoriale delle residenze (sprawl urbano); la necessità di evitare nuove espansioni ma piuttosto di "costruire sul costruito"; nuovi standard per la sosta e la prossimità ai servizi essenziali; misure di tariffazione e riduzione della mobilità in città; una nuova organizzazione del lavoro che riduca gli spostamenti inutili; ricerca e innovazione per ridurre ulteriormente le emissioni e un monitoraggio più stretto per valutare l'efficacia degli interventi proposti. Tutto questo ha poche chance di prendere piede se non viene supportato dalla popolazione e da nuovi modelli di vita e lavoro. Per questo il Patto prevede anche un consistente intervento sull'informazione al pubblico.

Lanciato e discusso per la prima volta il 25 gennaio a Pavia (vedi Programma), il Patto verrà presentato ai rappresentanti di tutte le amministrazioni pubbliche della Valle Padana per una massima condivisione e, si spera, successo. Alla redazione del Patto ha contribuito anche Scienzainrete.

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Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.