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Un futuro per la ricerca: M.Chiara Carrozza e Marco Meloni

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Maria Chiara Carrozza – Presidente del Forum Università e Ricerca del Partito Democratico, e Marco Meloni – responsabile Università e Ricerca PD, sono candidati alla Camera dei Deputati alle elezioni politiche 2013. 

Questo è quello che i due rappresentanti del PD pensano del futuro della ricerca scientifica nel nostro Paese, in risposta al Gruppo 2003:

1. Investimento in Ricerca

Pur nel contesto dei vincoli europei, si deve partire da una valutazione sulla serie storica della nostra spesa pubblica: come mostra il Rapporto Giarda, negli ultimi vent’anni istruzione e ricerca sono le uniche voci del bilancio pubblico scese drasticamente (-5,4%), in termini di composizione, cui corrisponde un analogo aumento della spesa per sanità e protezione sociale. Un cambiamento avvenuto in assenza di decisioni democratiche, ma per la differente natura delle rispettive spese – comprimibili le une, obbligatorie le altre. Nell’ultima legislatura questa tendenza si è accentuata: il sistema universitario e della ricerca sono stati sottoposti da un lato a un drastico ridimensionamento dell’intervento finanziario statale, dall’altro a uno stress normativo che ha portato l’università a essere imbrigliata in una oppressione normativistica e centralista, e il sistema della ricerca pubblica a continue minacce di chiusure e “razionalizzazioni” senza costrutto. Nel complesso, si è perseguito l’obiettivo di indebolire il sistema dell’istruzione superiore e della ricerca, ritenuti – a torto, dati alla mano – troppo dispendioso, troppo diffuso territorialmente e con una limitata capacità di fornire il capitale umano e le attività di ricerca funzionali al sistema produttivo. La realtà è che l’Italia deve cambiare rotta, e comprendere che ha bisogno di aumentare significativamente il livello di istruzione diffuso, simboleggiato dagli obiettivi che si pone l’Ue per il 2020 in termini di numero dei laureati e di tassi di abbandono scolastico (il nostro ritardo è grandissimo), di migliorare i servizi di orientamento per gli studenti e gli strumenti di sostegno ai “capaci e meritevoli”, di potenziare l’istruzione tecnica e la connessione istruzione/lavoro. Il cambiamento, dunque, deve partire dalla consapevolezza che se un paese non “crede” nel suo sistema di università e ricerca e se non è capace di coinvolgere tutti gli attori del sistema nei processi di riforma necessari, stimolandone la responsabilità e l’autonomia (che sono l’opposto della centralizzazione), intraprende una strada a senso unico di impoverimento sociale ed economico. Ne deriva un ragionamento strategico: la ricerca ha già pagato pesanti costi di aggiustamento, e ora devono essere rilanciati gli investimenti. Per dare numeri precisi occorre conoscere nel dettaglio le compatibilità di finanza pubblica e pianificare interventi sull’intero sistema, con processi di studio e definizione di piani d’azione che saranno il nostro compito dei primi 3 mesi di governo. Ciò che sappiamo è che è possibile riattivare gli investimenti e orientarli al fine di raggiungere le medie continentali tenendo conto di due fattori: i risparmi sull’interesse del debito, la prosecuzione della qualificazione delle spese delle amministrazioni (spending review) e i progressivi risparmi derivanti dal controllo della spesa previdenziale, possibile grazie alle recenti riforme, e dalla ridefinizione degli investimenti nel settore della difesa.

Investire in ricerca è una sfida pluriennale o addirittura decennale che chiede un impegno comune di lungo periodo e lunga veduta. Dunque, anche su questo settore, il programma del PD non racconterà favole. È una favola la manipolazione di alcuni termini (come “eccellenza” e “merito”) per nascondere il peggioramento delle prospettive degli studenti, dei ricercatori, dei docenti. E sono favole ingannevoli, purtroppo, i programmi che propongono interventi a costo zero in grado di risolvere per magia tutti i problemi dell’università, poggiandosi sull’argomento “non si può gettare acqua in un secchio bucato”. Invece, l’università e la ricerca richiedono investimenti reali e un impegno comune del Paese, e una decisione strategica così centrale da non dover essere affrontata solo dai dicasteri competenti, ma dall’intero governo nella responsabilità politica affidata a chi ha la responsabilità di guidarlo. Questa è la sfida che il PD vuole raccogliere.

2. Valutazione e Premialità

La valutazione deve essere vista da atenei, dipartimenti, docenti e ricercatori come un’opportunità per il riconoscimento e la valorizzazione del proprio lavoro e delle proprie capacità. Per arrivare a questo occorre abbandonare approcci formalistici, punitivi ed iper-burocratici ed individuare, anche in base alle migliori esperienze internazionali, strumenti di valutazione chiari, legati a obiettivi condivisi e stabili nel tempo. Condividiamo la prospettiva di assegnare quote crescenti del FFO in base a criteri di natura valutativa, tanto che nel confronto parlamentare sulla L. 240, nel 2010, proponemmo emendamenti finalizzati a portare gradualmente fino al 50% le risorse assegnate a dipartimenti e atenei in base a una serie di parametri (numero di studenti, valutazione di ricerca e didattica, contemperati da obiettivi di coesione del sistema). Però è bene tenere presente che gran parte degli atenei utilizza il 90% e oltre del proprio FFO per il pagamento degli stipendi e per altre spese di minore entità comunque incomprimibili (bollette, manutenzione ordinaria…). Quindi la quota generale del FFO deve essere riportata ad un livello tale da garantire la sopravvivenza del sistema. Non ha senso parlare di progetti bandiera ottenuti sottraendo risorse dal FFO in modo incoerente e senza un piano definito, i progetti bandiera devono essere finanziati con risorse aggiuntive e devono essere stabiliti secondo le priorità che vuole attribuire il parlamento e il governo.

Le competenze dell’ANVUR non hanno pari nel mondo occidentale e vanno ripensate per vari motivi (tra cui la dipendenza dal MIUR e la sproporzione tra personale e compiti): è importante che, escludendo una miriade di micro-competenze, l’Agenzia eserciti solo i compiti connessi con la valutazione della ricerca delle istituzioni universitarie e la gestione dell’accreditamento della didattica, senza far diventare quest’ultimo un ulteriore e inutile appesantimento della burocrazia, come invece sta avvenendo porprio in questi giorni con il sistema AVA. Saranno il governo e il parlamento a definire come utilizzare i risultati della valutazione ex-post.

3. Competitività Internazionale e Premialità

È opportuno precisare che i ricercatori delle nostre Università sono molto produttivi: siamo 7° nel mondo per indici di citazioni su SCOPUS; 8° per produttività di articoli scientifici; nella classifica SCImago, ben 57 università statali italiane sono sopra la media mondiale per produzione scientifica. L’investimento selettivo deve rispondere a logiche di vero merito scientifico e non deve essere un mero investimento ad hoc: crediamo che possa essere valorizzato in una logica realmente autonomistica, che accompagni processi di differenziazione interna e stimoli le università a specializzarsi, come avviene in altri paesi come l’Olanda. È evidente che quest’obiettivo non può essere perseguito con una legge come quella Gelmini, e una programmazione triennale che si aspetta che tutti gli atenei facciano le stesse cose sui corsi di studio, sul reclutamento, sull’internazionalizzazione (che deve diventare un fattore essenziale per la valutazione). In ogni caso, eventuali piani di potenziamento di una rete di atenei o dipartimenti maggiormente qualificati, diffusi su tutto il territorio nazionale, potrebbero essere impostati solo a seguito di un’analisi approfondita del funzionamento del sistema e delle sue prospettive di sviluppo. È essenziale anche considerare le best-practices internazionali nel governo dell’università: per esempio, la direttiva del governo australiano con la quale si invita le università a tenere corsi di formazione intensiva per i componenti dei consigli di amministrazione, oppure al modo in cui le università olandesi finanziano ma controllano in modo virtuoso la partecipazione dei propri docenti a convegni nazionali ed internazionali. Il principio della incentivazione e valutazione è che si ottiene ciò che si misura, pertanto si deve misurare ciò che si vuole ottenere. Se ANVUR continua a misurare solo la quantità di pubblicazioni prodotte otterrà solo una moltiplicazione della produzione con scarso valore aggiunto.

4. Cabina di Regia

La strategia del Paese sulla ricerca ha bisogno di chiarezza e di un investimento politico: è necessario pensare a un Sistema nazionale di ricerca, istituzionalmente riferito alla competenza della presidenza del consiglio, un centro direzionale per le politiche della ricerca che renderebbe l’attuale MIUR il Ministero dell’Educazione e della Formazione. È da tempo nel programma del Partito Democratico l’istituzione di un’Agenzia di programmazione e finanziamento della ricerca. Si deve puntare sull’accelerazione delle procedure e sul rispetto dei tempi dei progetti di ricerca. L’Agenzia deve svolgere allo stesso tempo un’attività di road-mapping università-politica-impresa. L’Agenzia per la programmazione della Ricerca deve avere funzionari di livello adeguato che siano formati sulla ricerca internazionale. Dobbiamo inserirci in Europa, con un sistema di programmazione e finanziamento della ricerca adeguato ad un sistema europeo. Lo European Research Council ci indica esattamente il metodo migliore da adottare per valutare e finanziare la migliore ricerca, che deve essere valutata per la sua eccellenza scientifica senza le assurde regole attuali applicate nelle selezioni dei PRIN.  

5. Lacci e Lacciuoli

Facciamo un esempio concreto: confronto tra progetti di ricerca italiani e progetti europei. Come abbiamo spiegato nel dettaglio qui a partire dalle esperienze dei ricercatori, è essenziale adottare in Italia, per migliorare il rapporto con i ministeri, quegli strumenti di buon senso che caratterizzano il Settimo Programma Quadro dell’UE. Per esempio, nell’esperienza UE, i ricercatori si rivolgono a un unico portale, aggiornato e condiviso, per tutta la documentazione utile, a un unico portale per tutte le informazioni e gli strumenti utili, e possono presentare la proposta on-line, senza bisogno di firme. Durante la fase di valutazione della proposta, si dà maggiore importanza al contenuto tecnico-scientifico, alla proposta di implementazione e all’impatto atteso rispetto agli aspetti burocratici. È quindi essenziale evitare un approccio meramente “ragionieristico” o “burocratico” e non improntato all’innovazione e, di conseguenza, cambiare profondamente l’approccio delle strutture ministeriali.

6. Valore Legale del Titolo di Studio

In accordo con le conclusioni raggiunte dall’indagine conoscitiva condotta dalla Commissione Cultura del Senato, riteniamo sbagliato cancellare il requisito della laurea nei concorsi pubblici dove essa è attualmente richiesta (abolendo sostanzialmente il valore legale del titolo) nonché “pesare” il valore della laurea in base all’ateneo che l’ha rilasciata, magari attraverso la costruzione di ranking (che peraltro costituirebbe un accrescimento del valore legale). Considerando le enormi carenze del nostro diritto allo studio, si tratterebbe di un forte elemento di discriminazione sociale e territoriale, in contrasto con lo stesso articolo 3 della Costituzione.

Già nell’ultimo anno di legislatura abbiamo proposto una riforma del valore legale: proponiamo di abolire l’uso distorto del valore legale nella Pubblica Amministrazione, eliminando il voto di laurea come requisito per l’accesso e elemento di valutazione nei concorsi pubblici, e di eliminare il requisito del possesso di un titolo di studio per i passaggi di carriera interni alle PA. È essenziale scoraggiare il ricorso a lauree facili conseguite presso “diplomifici” e valorizzare le capacità dimostrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, oltre alle competenze realmente acquisite attraverso lo studio.

7. Attrattività e Rientro dei Cervelli 

Concordiamo: la brain race è una realtà del sistema globale. È essenziale cambiare il paradigma: da “fuga dei cervelli” a “circolazione dei cervelli”. L’attrazione non riguarda tanto i giovani “perduti” che “devono” tornare, ma i talenti di qualsiasi nazionalità che devono sentirsi accolti in Italia. Tra le nostre proposte (nel dettaglio qui in appendice): Valorizzare in sede concorsuale, come già accade in alcuni settori, le esperienze di insegnamento e ricerca all’estero; Incentivi agli insegnamenti in lingua straniera per stimolare le università a chiamare studiosi con esperienze in atenei e centri di ricerca stranieri; Bandi nazionali per la fase post-doc (con possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività) rivolti anche a studiosi stranieri; Equipollenza e riconoscimento dei titoli all’estero per i titoli accademici. Attivare un sistema di “cattedre parziali”, sul modello di quelli già esistenti in Paesi stranieri, nell’ambito del quale sia possibile assegnare a studiosi (italiani e stranieri) che insegnano presso università straniere una parte variabile di una cattedra. Rendere più competitivo il sistema dei compensi: previsione di basi retributive adeguate per tutte le attività post-doc, incremento della parte variabile della retribuzione dei docenti strutturati. 

8. Ricerca Industriale e Trasferimento Tecnologico

È essenziale aumentare gli investimenti privati in ricerca, e quindi creare un ambiente più attrattivo: oggi siamo ultimi su 22 paesi OCSE per spese in Ricerca e sviluppo delle imprese e ultimi su 20 Paesi OCSE per percentuale di ricercatori occupati nelle imprese. Nel ruolo di facilitatore esercitato dal governo, ogni investimento anti-ciclico in industria deve essere correlato anche al suo impatto per la ricerca. Occorre promuovere la creazione di start-up e favorire il loro collegamento con le grandi imprese. Pensiamo a un sostegno ‘intelligente’ alle imprese nel circuito formazione-ricerca-lavoro (con un percorso di immissione e di assunzione mirato presso le industrie co-finanziata da Stato e Regioni in percentuali decrescenti nel corso del triennio di avviamento professionale). Proponiamo l’introduzione di programmi di ricerca industriale per incentivare l’investimento privato, con defiscalizzazione degli interventi in ricerca e in attrezzature, e incentivi all’assunzione di dottori di ricerca qualificati nelle imprese. La ricerca industriale con fondi pubblici deve essere valutata ex post in modo trasparente e diffuso, attualmente la verifica di come vengono sfruttati i fondi  pubblici dalle imprese non viene effettuata se non in modo marginale. È  giusto aumentare il finanziamento, rendere l’accesso a questi fondi più agile e flessibile, ma anche rendicontare ai cittadini come questi progetti vengono utilizzati e quanti risultati hanno prodotto.

Ci deve essere maggiore trasparenza nel rapporto università-impresa, che attualmente viene visto da entrambi i partner in modo utilitaristico, e non finalizzato al risultato. La trasparenza sarà un mezzo importante di comunicazione e divulgazione delle best practices.

9. Giovani, Capaci e Meritevoli 

Per quanto riguarda il reclutamento e le carriere, intendiamo realizzare gli obiettivi che abbiamo posto in questi anni al centro della azione: stop al precariato, contratto unico, vera tenure track e ruolo unico di docenza articolato in fasce. Dunque partiamo dalla semplificazione delle figure pre-ruolo, concentrando tutti i post-doc in due tipologie: un Contratto unico di ricerca e posizioni di professore junior in tenure track (percorsi a tempo determinato che prevedano fin dall'inizio la possibilità di arrivare, previe periodiche valutazioni favorevoli, all'inserimento stabile nei ruoli universitari). Devono essere eliminate le regole che di fatto favoriscono le progressioni di carriera rispetto alle nuove assunzioni e deve essere incentivata la programmazione pluriennale per il reclutamento, che deve essere verificato sulla base della qualità scientifica e della sostenibilità economica rispetto al budget. La miglior garanzia di corrette procedure di reclutamento deve essere un agile ma efficace controllo ex-post. Si deve poi investire sulla mobilità, estendendo progressivamente l’efficacia delle disposizioni anti inbreeding, puntando verso un sistema di tipo tedesco e impedendo lo svolgimento di tutta la carriera sempre nella stessa sede. Pensiamo poi a bandi nazionali per posizioni post-doc e di "tenure track" che offrano ai vincitori il budget economico e i fondi di ricerca, lasciando loro la possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività (escluso l’ateneo di origine), consolidando il budget legato alla posizione nel FFO. Alla base di qualsiasi intervento c’è il superamento degli attuali vincoli al turn-over.

10. Cultura della Scienza e della Ricerca

È essenziale avere ben presente il ruolo essenziale della scienza e della ricerca tutti i giorni, non solo in occasione della giusta celebrazione del contributo di una personalità come Rita Levi Montalcini. Come si inverte la tendenza? In tre modi, anzitutto. Il primo riguarda le iniziative di promozione, anche in collaborazione con i nostri partner europei, che debbono partire da un’età precoce (come è avvenuto per esempio in Svizzera per colmare il gender gap in campo scientifico). In secondo luogo, un problema tipicamente italiano è l’organizzazione dei corsi di studio e di ricerca rigidamente separati in tanti ambiti disciplinari distinti, sarebbe opportuno invece educare alla creatività e allo studio a partire dai problemi e stimolare la curiosità scientifica e la capacità di sfruttare e valorizzare i saperi rompendo le barriere e costruendo curriculum flessibili. Fino dalla scuola dell’infanzia, quindi, dobbiamo insegnare maggiormente a integrare conoscenze e metodologie per affrontare le sfide contemporanee. Dobbiamo avere fiducia nella curiosità interdisciplinare dei bambini. Infatti, sono proprio i grandi temi sociali come le fonti energetiche, i cambiamenti climatici, la salute e l’invecchiamento che fin da bambini stimolano gli studenti a studiare materie scientifiche, partendo dal desiderio di comprendere le basi scientifiche del fenomeno che si vuole descrivere. Infine, è fondamentale legare l’azione del prossimo governo all’idea forte che la crisi italiana, nella sua specificità rispetto alla crisi internazionale, derivi dal tentativo fallace di inserirsi in un sistema globale di economia della conoscenza senza investire in scienza e ricerca e credendo che la ricerca sia un optional, o al massimo un “fiore all’occhiello” a cui si può rinunciare. No, scienza e ricerca sono la base essenziale della competitività del paese. In ogni idea di sviluppo portata avanti da un governo autorevole, il primo punto all’ordine del giorno deve essere la ricerca.

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