Una ‘macchina del tempo automatica’, capace di ricostruire l’evoluzione dei linguaggi più antichi: è questo il risultato di un lavoro di ricerca di un team di scienziati dell'Università della California di Berkley, e della British Columbia di Vancouver, utile ai linguisti per fare sintesi tra le informazioni disponibili su centinaia di civiltà ancestrali.
La
frontiera dei “Big Data” - ovvero quell’enorme quantità e aggregazione di dati
oggi disponibile, gestibile con tecnologie avanzate – non riguarda solo il
flusso di bit del web o di files di testo, audio o video. La gestione dell’intero
patrimonio di conoscenza raccolto può essere applicata, infatti, anche a database
tutt’altro che digitali. I ricercatori di Berkley lo hanno dimostrato mettendo a punto un programma e un sistema computerizzato in grado di garantire una
ricostruzione veloce delle protolingue, antenati dei linguaggi più moderni. Il nuovo sistema computazionale californiano sfrutta un modello
probabilistico (il “Monte Carlo”,
utilizzato abitualmente anche in biologia per le ricostruzioni di catene di DNA o in fisica teorica per i modelli atomici), che incrocia i vocaboli moderni con diverse radici semantiche, ma in cui si riconoscono suono comune e origini ricollegabili tra di
loro.
In ogni fase di calcolo dell’algoritmo, i percorsi evolutivi di linguaggi come
il Proto-Indo Europeo o il Proto-Afroasiatico diventano più chiari. Questo
programma è in grado, tuttavia, non solo di accelerare i processi di
ricostruzione dei linguaggi più antichi su larga scala, ma, di conseguenza,
facilita e completa la conoscenza che abbiamo sulle culture delle civiltà,
basandosi sui loro vocabolari: una Big Data Analysis del passato, insomma.
“La cosa più entusiasmante del nuovo sistema, è che vengono utilizzate molte delle idee già sviluppate dai linguisti circa la ricostruzione dell’evoluzione storica dei linguaggi, in modo inedito: più dati, più parole, più linguaggio, ma in meno tempo” – dichiara Dan Klein, professore associato di computer science all’università di Berkley e co-autore del paper pubblicato su PNAS.
La scoperta fatta a Berkley è un passo importante per la documentazione e gestione critica delle fonti storiche sul linguaggio e per tutelare la cultura e le conoscenze del passato. Infatti, mentre gli archeologi possono contare solo su fonti scritte, indagando il passato con un metodo comparativo, questo sistema consente di automatizzare l’analisi sulle relazioni tra linguaggi, con più alti livelli di certezza statistica.
La prossima ricostruzione in programma riguarda i proto-linguaggi delle popolazioni indigene del Nord-America.