fbpx Un altro "effetto CSI" | Scienza in rete

Un altro "effetto CSI"

Tempo di lettura: 7 mins

Come garantire al cittadino sicurezza e certezza della cattura del colpevole di crimini efferati? Basta seguire assiduamente gli episodi di CSI!
È quanto emerso in un recente studio della Washington State University pubblicato sulla rivista Journal of Health Communication di febbraio. Stacey Hust, prima autrice dello studio, dopo aver analizzato i 508 questionari compilati da studenti universitari nel Nord Ovest, afferma, infatti, che i fruitori di crime fiction, spettatori di scene forti e cruente come omicidi o stupri, sono maggiormente predisposti ad intervenire per fermare le violenze sessuali.
Manifestando apertamente la devastazione prodotta sulla vittima di uno stupro, le fiction basate sul crimine hanno i collaterali e assolutamente non trascurabili effetti di ridurre i pregiudizi sulle violenze sessuali (ad esempio quello in base al quale una donna che beve alcolici è naturalmente incline all’atto sessuale) e di responsabilizzare il passante inducendolo ad intervenire per fermare le molestie.

Non è che l’ultimo degli impatti sulla società prodotti dalle serie televisive di crime fiction.

Il più famoso si chiama effetto CSI e Monica Robbers, criminologa americana, lo ha definito nel 2008 come quel “fenomeno per cui i giurati nutrono irrealistiche aspettative nei confronti delle prove scientifiche  e del metodo investigativo delle scienze forensi.”
Già perché, che ci piaccia o no, la società in cui oggi viviamo è figlia del positivismo ottocentesco, della sua idea di progresso e della scienza e tecnologia piegata al benessere dell’individuo.
Il metodo scientifico è l’emblema della certezza. La certezza, cioè, che seguendo un procedimento rigoroso basato sulla raccolta dei dati, l’induzione e la replica di esperimenti, si possa arrivare alla formulazione di una legge. Vera.

Del positivismo è figlio Sherlock Holmes, il più celebre investigatore di tutti i tempi, creato dalla mente di Arthur Conan Doyle alla fine del XIX secolo. Il suo procedimento è limpido e deduttivo, l’apoteosi del metodo scientifico: l’osservazione accurata di una scena del crimine porta inesorabilmente ad individuare il vero colpevole.
Di lui è successore Hercule Poirot, celebre investigatore dalla testa a uovo, protagonista di molti romanzi di Agatha Christie: un investigatore che crede fermamente nella potenza delle “cellule grigie” e nell’analisi psicologia del personaggio più che nella raccolta di indizi ai quali assegna spesso un ruolo subalterno (e per le quali stuzzica il capitano Hastings) e che addirittura manipola per dimostrare le proprie teorie (Corpi al Sole - Agatha Christie, 1947).
Purtroppo, del positivismo è figlio anche Cesare Lombroso (1835 – 1909) che, seguendo la corrente della fisiognomica, allora molto in voga (la troviamo anche in molti romanzi di Honoré de Balzac), ritiene di poter trovare in alcuni tratti somatici la corrispondenza alla naturale predisposizione al crimine.

Ad ogni modo la buona riuscita di un giallo dipende dalla capacità dell’investigatore di condurre il lettore attraverso le indagini portandolo alla vittoria, alla scoperta del colpevole e al trionfo del suo metodo di indagine. Su questo si basa il successo di Sherlock Holmes, Poirot e… CSI, appunto.
Nata nel 2000, la serie televisiva Crime Scientific Investigation non è altro che la testimonianza che la nostra sete di verità non è finita. Quella verità che, apparentemente, solo la scienza ci può dare, poggiando sul fatto che 2+2 faccia incontrovertibilmente 4.
Lo dimostrano il proliferare e l’innegabile successo di serie televisive incentrate sugli uffici investigativi e i loro laboratori scientifici: CSI Las Vegas, CSI New York, CSI Miami, NCIS, Criminal minds, Law&Order, Cold case e l’italiano RIS: Delitti imperfetti. I rilievi condotti sulla scena del crimine portano sempre alla determinazione del colpevole, rendendo giustizia alla vittima.
Il motivo del successo va ricercato nel senso di sicurezza che tali serie comunicano: la "vittoria del buono contro il cattivo" e la spettacolarizzazione di un metodo che, molto spesso, si discosta dalla realtà.

La realtà è infatti che ciascuno dei metodi utilizzati dagli investigatori televisivi difficilmente porta con sé la certezza della colpevolezza ma si basa, il più delle volte, su correlazioni statistiche che lasciano sempre un margine di incertezza. Incertezza prontamente eliminata dalle sceneggiature televisive.
Ma che la scienza possa essere d’aiuto nel dirimere le indagini dei crimini è un dato di fatto, testimoniato dal successo, alla fine del XIX secolo, in Gran Bretagna prima e nel resto dell’Europa poi, della dattiloscopia (lo studio delle impronte digitali) e dalla risoluzione, ad opera di Juan Vucetich, di un omicidio in Argentina grazie all’individuazione di impronte in una macchia di sangue sulla maniglia di una porta.

Agli inizi del XX secolo poi, sempre in Gran Bretagna, i patologi Bernard Spilsbury, Francis Camps, Sydney Smith e Keith Simpson introducono nuovi metodi di indagine e nel 1909 a Losanna nasce il primo Istituto di Polizia scientifica.
In Italia, nel 1903 viene avviato a Roma nella sede di Trastevere, a Regina Coeli, il primo corso di polizia scientifica, mentre il vero e proprio servizio prende il via tra il 1911 e il 1914 grazie all’impulso di Salvatore Ottolenghi, medico e allievo di Lombroso; la grande svolta avviene tuttavia nel 1913, quando la prove scientifiche emerse dai rilievi tecnici vengono riconosciuto da parte del codice di procedura penale come prove ammissibili.
Per la nascita dei RIS (Reparti Investigativi Scientifici), afferenti all’Arma dei Carabinieri, dobbiamo invece aspettare il 1955 quando viene costituito il “Gabinetto Centrale di Documentazione ed Indagini Tecnico – scientifiche” poi diventato “Centro Carabinieri Investigazioni scientifiche”.
Oltre oceano è Edgar Hoover, capo del Federal Bureau Investigation (FBI) dal 1924 al 1972 a dotare il nucleo investigativo più famoso al mondo di laboratori scientifici e di un immenso archivio di impronte digitali.
E’ l’istituzionalizzazione di organo deputato a dare sicurezze e garanzie che permettano alle verità processuali di emergere.

Ma è davvero così? Sappiamo bene in realtà come diverse perizie o rilevamenti sullo stessa scena del delitto possano dare letture differenti del crimine e che, trattandosi spesso di interpretazione e lettura dei dati da parte di diverse posizioni, la realtà processuale si può molto spesso scostare dalla realtà dei fatti.
L’effetto CSI non si esaurisce, tuttavia, nel senso di sicurezza e nell’audience delle serie televisive. Evan Durnal, ricercatore del Dipartimento di Giustizia criminale dell’University of Central Missouri, fa notare come l’esposizione a serie televisive incentrate sulle investigazioni scientifiche possa portare effetti a lungo termine sul sistema legale americano.
Proprio secondo Monica Robbers, infatti, il 62% degli avvocati difensori e il 69% dei giudici è concorde nell’affermare che i giurati hanno spesso un irrealistica aspettativa nei confronti delle scienze forensi.
Per questo motivo la scelta dei giurati richiede sempre più tempo dovendo verificare e valutare la loro esposizione alle crime fiction. E, se da un lato per gli avvocati difensori diventa sempre più difficile convivere con le nuove tecnologie, dall’altro lato l’incertezza delle prove scientifiche è esattamente quanto loro serve per varcare la soglia del ragionevole dubbio.

Dopo tutto un merito a queste trasmissioni va comunque riconosciuto: quello di aver fatto entrare nel bagaglio culturale collettivo il concetto (più o meno distorto) di DNA, di genetica e, più in generale, dell’utilizzo del metodo scientifico come procedimento di analisi.
Tuttavia la reale e connaturata incertezza delle indagini può disilludere tutti gli entusiasti dell’infallibilità di Gil Grissom (protagonista di CSI). Che ce ne facciamo di una scienza che non dà le risposte esatte? Dimostrare che il dubbio di oggi è la base della conoscenza di domani potrebbe essere troppo, persino per CSI.

Quale sia il terreno di incontro tra scienza e diritto e quali impatti abbia sulla società sarà uno dei temi che verranno affrontati durante la giornata tematica “Alla prova dei fatti – il dialogo tra scienza e diritto" organizzata dal master MaCSIS per giovedì 14 marzo 2013, presso l'Università di Milano-Bicocca.

 

Bibliografia:

 - "Health promotion messages in entertainment media: Crime drama viewership and Intentions to intervene in a sexual Assault Situation", Journal of Health Communication, S.Hust, E. Marett, M.Lei, H. Chang, C. Ren, A. McNab, P. Adams
 - "The CSI Effect, Television dramas that rely on forensic science to solve crimes are affecting the administration to justice", The economist, 22 April 2010
 - "I cent’anni della polizia scientifica", Mauro Milesi, Libero, 8 aprile 2004
Scienze forensi, Pietro Greco
 - "La fiction sul banco degli imputati", Jekyll , https://jeckyll.sissa.it
 - "The CSI effect: popular fiction about forensic science affect the public expectation about real forensic science, Social Science Research Network", 12 march 2007 N.J. Schweitzer, M.J. Saks
 - "Biologia forense, R.I.S. ed “effetto CSI”, Ferdinando Lo Verso, Centro Europeo di Studi Superiori


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.