Il burden of diseases (BoD), ovvero l’impatto delle patologie in termini di mortalità e disabilità, si è guadagnato uno spazio in precedenza mai concesso a un argomento di salute da una prestigiosa rivista scientifica come Lancet. Tutto il numero di dicembre 2012, in tutto 7 articoli e 8 editoriali, è infatti dedicato al Global of Disease Study 2010 (GBD 2010). All’inizio di marzo 2013, sono poi stati pubblicati altri dati, in particolare i risultati nazione per nazione che hanno suscitato vivo interesse e anche qualche sorpresa.
Lo studio
Massive, collaborative and challenging: questi i 3 aggettivi scelti per descrivere il GBD 2010 da Lancet. Effettivamente, si tratta della più ampia indagine mai effettuata per descrivere su scala mondiale la distribuzione e le cause delle malattie e dei loro fattori di rischio. Ha richiesto 5 anni di lavoro e coinvolto 486 ricercatori appartenenti a 303 enti in 50 nazioni.
È stato
coordinato dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università
di Washington con la collaborazione dell’Università del Queensland, l’Harvard
School of Public Health, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, l’Università
di Tokyo, l’Imperial College London e l’Organizzazione mondiale della Sanità.
Il
direttore dell’IHME è Chris Murray, che ha la paternità del QALY (Quality Adjusted Life Year) l’unità di
misura che determina gli anni di vita guadagnati tenendo conto della qualità
della vita e consente quindi di
combinare in un unico “numero” le stime di mortalità e morbilità.
Non è
difficile immaginare che anche questa altra creatura di Murray, il GBD 2010,
diventerà una pietra miliare per ragionare di salute e sanità, come lui stesso
dichiara: “Per i decisori, i ricercatori, i cittadini informati, l’approccio
del Global burden fornisce
l’opportunità di osservare l’intero quadro, per confrontare le malattie e i fattori
di rischio e per comprendere, in un determinato contesto (luogo, tempo, età, genere)
quali siano i principali determinanti alla perdita di salute.”
Il GBD 2010 disegna un mondo in cui malattie infettive, materno-infantili e malnutrizione si stanno gradatamente riducendo. Ogni anno muoiono parecchi bambini in meno, ma cresce il numero dei giovani e degli adulti che si ammalano e perdono la vita per malattie croniche degenerative (non-communicable diseases) che sono ormai la causa dominate di mortalità e disabilità in tutto il mondo. Il risultato finale è che, se dal 1970 la popolazione mondiale ha migliorato la propria aspettativa di vita di circa una decade, per gran parte di questi anni non godrà di buona salute.
Il metodo
Il GBD 2010 rappresenta la “seconda puntata” del progetto commissionato nel 1990 dalla World Bank. Rispetto allo studio originale, è enormemente aumentata, di circa 400 volte, la quantità di variabili analizzate e di dati raccolti: il numero di condizioni esaminate è passato da 107 a 291, i fattori di rischio da 10 a 67, le macroregioni sul mappamondo da 8 a 21. E’ possibile inoltre analizzare i dati per genere, per 20 gruppi di età e, grazie alla disponibilità di due serie di informazioni, stabilire la tendenza dei fenomeni nel corso del ventennio.
Ovviamente l’impatto delle malattie è stato descritto in termini di mortalità, anni di vita perduti per mortalità prematura (Years of Life Lost due to premature mortality, YLLs), anni di vita vissuti in condizioni di salute non ottimale o di disabilità (Years Lived with Disability, YLDs) e di attesa di vita corretta per disabilità (Disability-Adjusted Life-Years, DALYs).
L’interpretazione
dei complessi modelli statistici è resa accessibile anche a chi non ha
competenze specifiche da soluzioni grafiche (qui le data visualization all’indirizzo,e la guida alle data visualization) di facile lettura e
interattive.
Secondo il
gruppo di lavoro GBD 2010, queste rappresentazioni “offrono l’opportunità di
esplorare dati altrimenti inutilizzabili se presentati con modalità
tradizionali in quanto occuperebbero milioni di righe e rappresentano una democratizzazione dei dati.”
Italia in risalita. E gli inglesi...
Se Bartali
con il suo stile un po’ dimesso aveva stupito i francesi come scalatore sulle
due ruote, questa volta tocca agli inglesi essere presi in contropiede dal
popolo italico cronicamente in crisi.
Infatti, anche
se la salute dell’azienda Italia ultimamente non è entusiasmante, quella dei
suoi cittadini è in netto miglioramento, stando ai dati del GBD 2010.
L’Italia è
seconda come aspettativa di vita, prima tra le nazioni europee e superata solo dal
Giappone. E’ importante il fatto che la longevità (circa 81,5 anni) si
accompagna a condizioni di salute buone, ovvero a periodi limitati di
disabilità.
I maggiori
fattori di rischio restano quelli legati alle abitudini alimentari, all’ipertensione
arteriosa e al fumo di tabacco. Quest’ultimo, come fumo passivo, pesa
significativamente anche sulla salute in età pediatrica.
Le cause
principali di mortalità prematura continuano a essere le malattie cardio e
cerebrovascolari e i tumori delle vie respiratorie. Buone notizie arrivano sul
fronte della cirrosi, diminuita del 38% come fattore di morbilità dal 1990 al
2010.
I dati relativi al Regno Unito, invece, mostrano un miglioramento degli esiti rispetto ai dati nazionali del 1990, ma con una progressione più lenta rispetto a quasi tutte le altre nazioni sviluppate. Come dire che gli inglesi si sono lasciati sorpassare e sono scivolati verso il basso nelle classifiche del GBD 2010. Se nello studio del 1990 si posizionavano al di sopra della media in 8 dei 30 gruppi di malattie, in quello del 2010 la loro superiorità si è mantenuta solo in 3. I dati del Regno Unito sono particolarmente insoddisfacenti per quanto riguarda la mortalità prematura (tra i 20 e i 54 anni) probabilmente gravata dall’abuso di alcol e dall’uso di stupefacenti.
Questi
numeri sono stati ripresi con toni piuttosto critici sia da riviste
scientifiche come il British Medical
Journal sia dai media, a partire dalla BBC.
Proprio la
BBC si è concentrata sul confronto con i dati italiani, chiedendosi a cosa si
deve uno scarto di circa 18 mesi nell’aspettativa di vita a nostro vantaggio, riflettendo sul fatto che gli italiani fumano di più dei britannici (ma solo a
partire dal 2006) e che per anni il Sistema Sanitario Nazionale ha speso di più
del National Health Service (soltanto ultimamente si è invertito questo
rapporto).
La BBC ha
girato molte domande a Stefania Salmaso, Direttore del Centro Nazionale di
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) dell’Istituto
Superiore di Sanità, che ha ricondotto gli esiti presenti a dinamiche non
recentissime, alla cosiddetta transizione epidemiologica che ha migliorato
complessivamente le condizioni della vita in Italia. In particolare per quanto
riguarda le abitudini alimentari: “A partire dagli anni ’60, la dieta degli
italiani è notevolmente migliorata, arricchendosi di frutta e verdura fresca,
pesce e diventando più varia. Inoltre, l’olio d’oliva è parte della tradizione
alimentare della dieta mediterranea, mentre nella dieta britannica prevalgono i
grassi di origine animale.”
Anche le modalità del bere sono radicalmente diverse: in Italia domina il consumo di vino ai pasti, nel Regno Unito si preferiscono, oltre alla birra, i superalcolici, e il binge drinking è una drammatica realtà. Ma su questo aspetto non ci si deve illudere: “Queste abitudini stanno cambiando rapidamente specie tra i giovani e rappresentano una minaccia per la salute pubblica con un possibile forte impatto in futuro.”
“Un contributo importante alla salute degli italiani deriva anche dalle iniziative istituzionali di promozione di stili di vita salutari come Guadagnare Salute e di monitoraggio finalizzato alla programmazione degli interventi sanitari rappresentata dal sistema di Sorveglianza PASSI.” Continua Stefania Salmaso. E alla domanda su come si possa conciliare la crisi economica italiana con gli esiti di salute positivi risponde “forse questo indica che il denaro non è tutto?”.