La classifica appena pubblicata degli atenei italiani e le percentuali di maggior o minor allocazione di risorse rappresenta un momento di rottura rispetto al passato e la premessa per un cambiamento importante che speriamo possa consolidarsi. Le critiche non tarderanno a manifestarsi; tuttavia poco importa in questa fase se i criteri adottati non risultassero ottimali, se gli indicatori utilizzati escludessero qualche parametro importante oppure non fossero stati "pesati" opportunamente. Pazienza se la valutazione è per ora fatta al più alto livello di aggregazione (quello di ateneo) e non a livello di dipartimento o almeno di facoltà. E' possibile, anzi probabile, che vi siano alcuni dipartimenti mediocri in università ottime e viceversa. Starà ai Rettori propagare il metodo all'interno delle loro Università, far sì che, come un frattale, la premialità legata al merito didattico e scientifico si applichi alle facoltà, ai dipartimenti, ai progetti, alle persone.
C'è tempo per rimediare a eventuali omissioni e per migliorare parametri, formule e algoritmi. L'importante è aver rotto un tabù, ed essere stati capaci di mettere in ordine, in un qualche ordine - certamente perfettibile - le università italiane. Essere stati capaci di dire: a te do in misura maggiore e a te in misura minore perché risulta che tu abbia fatto bene e tu meno. E' un primo passo, per ora limitato a una piccola frazione, il 7% dell'appannaggio ministeriale, il cosiddetto Fondo di funzionamento ordinario delle università. Bisognerà riuscire ad andare oltre e a trovare altre forme di incentivazione (o di correzione) oltre ai finanziamenti in senso stretto. Quindi e comunque, brava Ministro Gelmini. Ora insista. Insista con le Università e applichi lo stesso metodo anche agli Enti di Ricerca. Si batta poi per far sì che ai "meritevoli", una volta tirate le somme di questi ultimi anni, non risultino come effetto di questa "premialità" solamente tagli minori, ma piuttosto effettive dotazioni maggiori.