“Veleno. Il veleno funziona attraverso un meccanismo chimico, sai? Tutto dipende dalla dose. In natura praticamente ogni sostanza può essere tossica per un organismo vivente, ma è la dose che provoca il danno.”
Daniela Spera è la protagonista di “Veleno” - il
“romanzo-verità” (pag. 352, Sperling e Kupfer) della
giornalista e scrittrice Cristina Zagaria da cui è tratto questo breve
passaggio. Daniela racconta la storia di
Taranto degli ultimi anni, osservata, vissuta e in qualche misura da lei stessa
determinata. E’ una giovane ricercatrice chimica che cerca dati ed elabora ipotesi sulla
correlazione tra la situazione ambientale di Taranto e l’anomalia sanitaria che
le si propone quotidianamente, al banco della farmacia del centro commerciale
in cui lavora.
Gli
scienziati, con ottime ragioni, troveranno questo passaggio riduttivo e
semplificatorio rispetto ai meccanismi con cui operano i veleni. La nozione per
cui "è la dose che rende velenosa una sostanza" (Paracelso, 1493 -1541) è stata infatti
ampiamente superata nel tempo, e oggi si studiano effetti molto più subdoli che
possono determinarsi anche a basse dosi. Per i cancerogeni genotossici - detti
anche “non a soglia” - non esiste dose al di sotto della quale si ha rischio
zero, mentre esiste per quelli “a soglia”. A scopo di prevenzione si assume tuttavia
che per tutti i cancerogeni non esista
una soglia al di sotto della quale il rischio è zero. E’ verosimile, inoltre, che a basse dosi non si attivino i sistemi di riparazione del DNA. La dose
è senz'altro importante ma conta anche la predisposizione, la cumulazione di
più sostanze, e poi ci sono meccanismi diversi come quelli epigenetici o di
interferenza endocrina che si accumulano.
Nel romanzo come nella realtà,
Daniela interpreta più ruoli: è ambientalista, scienziata e cittadina. Ancorché
con insufficiente rigore scientifico, Daniela sta spiegando a Sergio – un
operaio che dopo mesi di incertezze decide di far causa all’Ilva – come
funzione l’interazione tra gli agenti inquinanti e gli organismi viventi. Se consideriamo la scienza come un tutt’uno
con la società (socializzata) in qualche modo gli sta parlando anche
dell’effetto cumulativo degli inquinanti, chimici e sociali. “Taranto è stata avvelenata lentamente...
dall’industria, dalla bulimia del profitto, dai silenzi dei politici, dalla
fame di lavoro, dai giochi dei sindacati, dall’ignoranza, dalla nostra paura di
reagire. Abbiamo lasciato che tutto ciò accadesse. E il veleno ha fatto
effetto. La dose è diventata letale”.
A ben vedere, Daniela è una cittadina che
diventa ambientalista in difesa dei diritti violati dell’ambiente, delle norme
ambientali e di sicurezza, del diritto alla salute della sua comunità. Lo fa
mettendo in campo le competenze scientifiche proprie della sua formazione: “In tre anni, da quando sono
tornata a Taranto, la mia vita non esiste più, la mia vita è quella della
città. Vivo per questa battaglia. Non so neanche io perché, ma è così… siamo
come un gruppo di partigiani. Una resistenza clandestina”. E’ questa la dottore’ del romanzo. Fa parte di una resistenza clandestina fatta di
donne, giovani e bambini. Com’è sempre accaduto quando gli uomini sono andati
in guerra.
A Taranto il campo di battaglia è la fabbrica, l’Ilva, e i soldati sono gli operai, decimati da malattia, morte e infortuni. A lungo ostaggi del ricatto occupazionale - lavoro verso salute – poco a poco reagiscono e iniziano raccontare: “Tu lo sai che l’azienda ha stabilito un numero di infortuni massimo per settore e che, se gli operai non superano il limite, a fine anno prendono un premio? … significa che gli operai stessi tendono a nascondere gli infortuni. Se uno si fa male e non è molto grave i colleghi gli danno una mano, lo portano da un medico privato e non in infermeria, così l’infortunio non risulta. Dita che saltano, cicatrici, occhi che bruciano, polmoni duri come l’asfalto. Si tace su tutto perché a fine anno bisogna prendere il premio. Il premio dei poveracci. L’azienda ci dà un buono spesa da 100 o 200 euro al centro commerciale. Comprano il nostro silenzio con due pacchi di pasta… abbiamo il posto fisso, il premio a Natale e questo ci basta, perché fa tutto schifo e niente cambierà, perciò meglio abbassare la testa, adattarsi e andare avanti, invece di finire per strada, magari con un tumore davvero, ma anche disoccupati.”
E’ una guerra giocata in casa, che miete vittime anche tra i civili. Tina, otto anni, amica di Daniela, che ha l’asma e da grande vuole diventare medico, “una dottoress-s-sa braviss-ss-s-sima che cura tutte le malattie. E i suoi pazienti non muoiono mai”. E’ la testimonial dei bambini del Quartiere Tamburi, quello con la scuola “a 200 metri dai parchi minerali. Tra gli alunni ci sono almeno dieci bimbi affetti da patologie gravi come autismo, paraplegia, leucemia... Tutte malattie, compresa la mielite, che pare abbiano un’incidenza maggiore proprio in prossimità di aree industriali e che forse sono causate da inalazioni di sostanze tossiche e cancerogene. Ma forse, eh! Ce lo stiamo inventando o qui qualcosa non gira per il verso giusto?”
Gli abitanti di Taranto sono diventati “esperti” di ogni genere di patologia. Red Rex, che una notte ha conosciuto Daniela sul ponte girevole, ha scoperto solo dopo un lungo periodo di ricerche di essere affetto da MCS, Sensibilità Chimica Multipla. “E’ una malattia controversa, tanto che alcune delle principali società medico-scientifiche non la riconoscono come patologia organica. I sintomi si manifestano quando si è esposti a molti composti chimicamente indipendenti e presenti nell’ambiente. E so che non posso uscire più di casa, che non potrò sfogliare un giornale, cucinarmi un hamburger, aprire un regalo. Sarò un vivo che non vive, che non sente, non tocca, non sfiora. Un vivo la cui pelle è diventata un’armatura vulnerabile. Mia piccola amica, la Mcs è irreversibile e progressiva, e non esiste, al momento, una cura per il ritorno allo stato originario di tolleranza. Ho sempre detto di essere un moderno palombaro. Ecco, questa città mi ha messo il suo scafandro.”
Conoscono tutti gli inquinanti, i limiti di legge delle emissioni e i loro effetti. E Daniela ascolta, impara e insegna. Sono i diversi “saperi” che servono per capire cosa accade, e non sono tutti disponibili. “Ormai è diverso tempo che studio l’Ilva, ma non solo, anche l’Eni, e tutto quello che so è che non sappiamo niente. Che ci preoccupiamo di fare battaglie contro i singoli inquinanti, la diossina, il berillio o il benzo(a)pirene, non so, per dirne alcuni. Ma purtroppo non abbiamo idea, non abbiamo prove di quali malattie possa provocare il mix di tutti questi elementi, sull’uomo e sugli animali. Ogni cosa che scopriamo, però, è importante. E’ un tassello in più.”
L’Ilva stessa è un tassello, importante, di un puzzle fatto di industrie inquinanti che insistono su Taranto, e che a Taranto sembrano concentrarsi. Persino, forse, per salvaguardare l’ambiente di altre città e la salute di altri cittadini. E’ il caso del gasolio ecologico dell’Eni. “L’11 febbraio la Regione Lombardia ed Eni firmano una collaborazione per la distribuzione sperimentale di un nuovo tipo di nafta a ridotto impatto ambientale. Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, e l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, con tanto di brindisi con il nuovo gasolio versato in bicchieri di cristallo davanti a fotografi e giornalisti, si mettono d’accordo per distribuirlo in cinquanta punti vendita del comune di Milano, dislocati all’interno della città, sulle tangenziali e sui tratti di raccordo autostradali inclusi nell’anello delle tangenziali. Ma c’è un piccolo problema: Milano firma il protocollo e il gasolio lo vengono a produrre giù al Sud. In pratica, per inquinare meno l’aria dei lumbàrd possiamo tranquillamente continuare a far marcire quella di Taranto”.
E’ il caso del giacimento di Tempa Rossa, sempre dell’Eni, in Basilicata. “Secondo alcune stime, il ‘pozzo’ permetterebbe di aumentare la produzione di 50.000 barili al giorno” - che sarebbero stoccati a Taranto – “il progetto prevede la realizzazione di opere e impianti per lo stoccaggio del greggio, in mare e sulla terraferma. Pur utilizzando le migliori tecnologie disponibili, questa operazione, secondo studi di Ispra e Arpa, porterebbe a una produzione di circa 26.000 chili di composti organici volatili l’anno, oltre all’aumento del 12 per cento di emissioni di ogni genere. Parliamo di sostanze cancerogene, di veleni irritanti e di patologie dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio, vero? Certo. Si produrrebbe ancora più inquinamento, e nonostante questo, la Provincia di Taranto, il Comune e il ministero dell’Ambiente hanno espresso parere favorevole.”
I cittadini leggono, si informano, approfondiscono. Nuovi progetti, nuovo inquinamento e nuovi incidenti. E’ l’Eni che fa scattare l’allarme, il 29 Luglio 2011, quando in seguito a una perdita a 20 metri di profondità “lento e forte, il gasolio si espande nell’acqua. Le onde vengono coperte da un film di olio color del catrame. Si gettano boe per circoscrivere la macchia e i sommozzatori scompaiono in acqua. Il mare si tinge di pece liquida, la chiazza indolente e inesorabile si allarga. Se la fissi non te ne accorgi, sembra tutto fermo, ma basta alzare lo sguardo e poi tornare al mare, ed ecco il nero avanza”.
Effetti sulla salute, sull’ambiente e sull’economia: devastanti. “Incidenti” che si ripetono con insistenza - come in ogni parte d’Italia, anche in virtù di un sistema di controlli debole - che riguardano tutte le industrie inquinanti. Sono questi incidenti e i danni che causano che fanno perdere il lavoro al padre di Tina. Fa il pescatore ma il pesce di Taranto, come le cozze, non lo vuole più nessuno. “Va tutto a puttane. Il mare di Taranto va a puttane. E’ inquinato, dicono i clienti. Il nostro pesce non lo vuole più nessuno. Orate di mare alla diossina, le vendiamo a 8 euro al chilo. Prezzi stracciati. Ai mercati del Nord Italia arrivano a 20-30 euro al chilo. Ma a che serve? Il mio armatore ha annunciato che il mese prossimo chiude tutto e si trasferisce in Croazia. Ci paga questo mese e poi tutti a casa. E io a 55 anni che faccio? So fare solo il pescatore. La prima volta che sono uscito in mare, con mio padre, avevo 7 anni. Allora la barca era la nostra. Altri tempi, altra città.”
Cittadini e lavoratori liberi e pensanti. “Le pecore sono morte, le cozze vanno al macero, l’ambiente è agonizzante, il mare contaminato, il territorio devastato. Noi abbiamo fatto una scelta di giustizia e la perseguiremo da uomini, da lavoratori, con ogni forma di protesta civile e decisa, come quando l’Apecar è arrivata in quella piazza a impedire il ripetersi di un film che va in replica da troppo tempo, un mezzo carico di rabbia non violenta, carico della voglia di lavorare per vivere e dare ai nostri figli la speranza che la nostra generazione non ha mai avuto: la possibilità di vivere e produrre per la propria terra da cittadini e lavoratori liberi e pensanti.”
L’Apecar è diventata il simbolo di una presa di coscienza: il ricatto salute/lavoro non è più ammissibile. Daniela Spera ha incontrato gli operai dell’Ilva, nel romanzo e nella realtà, e la sua strada si è unita alla loro. Il movimento dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha organizzato a Taranto il concerto del 1 Maggio, che ha ulteriormente unito la città attorno a una nuova idea di salute, ambiente, lavoro, diritti. Parole d’ordine per la partecipazione attiva “Io non delego, partecipo” e per il riconoscimento dei diritti “Sì ai diritti, no ai ricatti”.
Scienza e società più democratiche e partecipate, la posizione dell'Unione Europea. E l'Italia?
La parola “scienza” ricorre due sole volte nel romanzo. A proposito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima, a seguito dello tsunami che si è abbattuto sul Giappone. “La natura lì si èribellata alla precisione discreta dell’uomo e la forza del caso ha vinto sulla caparbia scienza”. E, con riferimento al disvelamento dell’origine dell’inquinamento di Taranto. “Sono state le impronte lasciate dalla diossina su terreni, animali, latticini, frutta e strade a incastrare l’Ilva. Una strage di massa, scoperta grazie alla scienza”.
Scienza buona – che scopre le cause di inquinamento, malattie e morte - vs scienza cattiva? Che pone le premesse perché quelle stesse diossine che aiuta a disvelare siano prodotte e immesse in atmosfera? Per chi opera la scienza? Quale il fine dello sviluppo tecnologico? Nei sistemi democratici, orientare la ricerca attraverso l’utilizzo di fondi pubblici significa soddisfare i bisogni e i desideri della comunità che si rappresenta.
L’Unione Europea rileva sistematicamente l’evoluzione dell’opinione pubblica degli stati membri, rispetto ai diversi argomenti, attraverso l’Eurobarometro, uno strumento di indagine in funzione dal 1973. Dal 2002 l’Osservatorio Scienza e Società monitora le tendenze e gli orientamenti dell’opinione pubblica italiana verso la ricerca e l’innovazione tecnologica.
Nel 2007, la Direzione Generale per la Ricerca della Commissione Europea, ha incaricato un gruppo di lavoro di redigere raccomandazioni sulla governance della scienza in Europa. Il gruppo ha operato focalizzandosi su tre questioni principali:
1) Come rispondere all’ampiamente noto problema del disagio del pubblico europeo nei confronti della scienza, soprattutto in relazione alle nuove tecnologie basate sulla scienza;
2) Come promuovere il dichiarato impegno dell'UE a migliorare il coinvolgimento di diversi elementi della società civile democratica nella scienza e nella governance dell’Europa;
3) Come al tempo stesso affrontare le urgenti sfide europee che spesso sono
decisamente di natura scientifica - compresi i cambiamenti climatici, la sostenibilità, l'ambiente e lo sviluppo.
Dall’analisi svolta si è visto che i cittadini sono spaventati o diffidano della scienza in ambiti ben precisi, mentre in altri si dimostrano addirittura entusiasti. Il gruppo di studio ha constatato che “molte delle controversie in cui le autorità europee sono state coinvolte, dal nucleare alle colture geneticamente modificate, hanno mostrato che una maggiore riflessività e apprendimento relazionale da parte delle autorità ufficiali - così come i suoi protagonisti - avrebbe trasformato la situazione in modo costruttivo. Questo tipo di apprendimento, più ampio, non sostitutivo, ma che meglio può inquadrare la conoscenza e l'apprendimento strumentale, merita di essere promosso”.
Quanto siamo lontani dall’Europa, e dalle sue raccomandazioni? Se a Taranto, come in tante altre realtà italiane se pur in misura minore, non siamo in grado di garantire il rispetto delle leggi e il funzionamento della catena democratica di governo e controllo del territorio? Se non con il costante ricorso alla magistratura? Spesso vanificandolo con deroghe e leggi ad hoc?
Maurizio Portaluri, primario radioncologo e Ass. Salute Pubblica di Brindisi ha scritto “Che a Taranto ci fosse una concentrazione pericolosa e dannosa di inquinamento ambientale di origine industriale era cosa nota da decenni anche ai profani di chimica ed epidemiologia. Gli studi epidemiologici condotti dall'OMS e da altre istituzioni nazionali denunciavano una situazione molto critica. Ma come spesso accade, perché la questione assurgesse agli onori della cronaca e della verità nel modo traumatico del sequestro giudiziario, c'è voluto l'impegno scientifico di Alessandro Marescotti, fondatore un paio di decenni fa della associazione telematica per la pacePeacelink, il quale sarà pure, come precisa l'ARPA con una caduta di stile, un “insegnante di materie letterarie in un liceo tarantino", che però nel 2008 ha fatto quello che nessuna istituzione preposta alla tutela dell'ambiente e della salute aveva mai fatto: l'analisi del pecorino prodotto nei pascoli prossimi all'ILVA con evidenza di concentrazioni di diossina e PCB tre volte superiori ai limiti di legge. Senza le associazioni – secondo Portaluri - avremmo continuato a mangiare e respirare diossina nel silenzio più totale”.
Daniela Spera, cittadina e scienziata
Lei è rientrata a Taranto nel
2007, dopo una laurea in chimica a Pisa e un dottorato di ricerca a Parigi, per
lavorare alla farmacia del centro commerciale appena realizzato. Come è iniziata questa sua battaglia?
“Grazie al contatto con i clienti notavo che patologie normalmente riscontrabili in età avanzata interessavano invece
persone molto più giovani. I
farmacisti sono un’antenna della salute pubblica, in alcuni casi provvedono anche alla prenotazione di esami medici, e
rispondono alle domande dei loro clienti. Notavo che molti giovani parlavano delle loro malattie come fossero
normali alla loro età. Era un fenomeno molto diffuso, mi sembrava che qualcosa
non funzionasse e mi sono chiesta se fossi io a fare valutazioni allarmistiche
o se effettivamente ci fosse un’anomalia. Ho indagato, intervistato le famiglie
raccogliendo informazioni sulle patologie e l’età delle vittime, e ho avuto
conferma che qualcosa non funzionava.”
Una
ricerca empirica senza alcuna pretesa di valenza scientifica, che tuttavia confermava
le sue ipotesi?
“Sì, tanto più che qualche tempo dopo ebbi modo di vedere un video in cui si documentava
l’abbattimento dei capi di bestiame inquinati dalla diossina. L’allevatore
incolpava l’Ilva e altre persone sostenevano questa tesi. Mi chiedevo perché,
se avevano certezza circa le cause, non prendevano nessuna iniziativa. Ho avuto
infine l’opportunità di lavorare come consulente tecnico di parte per conto di
tre allevatori che si costituiranno parte civile al processo, nell’ambito
dell’incidente probatorio che poi ha portato al sequestro degli impianti
dell’area a caldo dell’Ilva. E allora ho potuto vedere. La perizia disposta dal
GIP Todisco ha confermato che l’inquinamento dell’Ilva provoca fenomeni
degenerativi di diversi organi, che si traducono in altrettante malattie o
morti. Lì ho avuto conferma che ciò che io osservavo quotidianamente era
effettivamente significativo di una anomalia. Il Ministro Balduzzi, quando è
venuto a Taranto a presentare i dati di mortalità dello studio SENTIERI, ha
confermato tutto”.
La sua
è stata una battaglia “professionale”, che ha intrapreso come scienziata, o una
lotta civile?
“Io ho messo la mia coscienza civica e le
mie competenze al servizio della città di Taranto”. C’è
un ampio dibattito sulla responsabilità della scienza e degli scienziati. Le
decisioni relative alla ricerca scientifica e tecnologica, soprattutto
pubblica, non dovrebbero prescindere dalle indicazioni che arrivano dalla
società. Non solo, i ricercatori, le università, gli enti pubblici di ricerca
hanno il dovere di partecipare alla vita sociale rendendo disponibili le
proprie conoscenze e competenze. Le sembra che la sua esperienza possa
configurarsi come un esempio di assunzione di responsabilità sociale - socializzazione
- della scienza? “Credo decisamente che la mia esperienza si
possa definire in questo modo e auspico che altri scienziati, ricercatori e
professionisti della salute e dell’ambiente usino le loro competenze e
conoscenze per supportare l’attività di denuncia dei cittadini attivi. Spero
che questo romanzo sia uno stimolo, perché altri cittadini si attivino in analoghe
battaglie di legalità e di diritti.”
Bibliografia
- Scientific Consensus Statement on
Environmental Agents Associated with Neurodevelopmental Disorders Developed by
the Collaborative on Health and the Environment’s Learning and Developmental
Disabilities Initiative November 7, 2007- URL: http://www.healthandenvironment.org/?module=uploads&func=download&fileId=618
- Epidemiologia
ambientale e comunicazione nella crisi di Taranto, Fabrizio Bianchi
- Ilva
di Taranto: cosa ne dicono gli epidemiologi?
- Epidemiologia
& Prevenzione - Articoli sullo studio S.E.N.T.I.E.R.I.
- AA.VV., Taking european knowledge society seriously -
Report of the Expert Group on Science and Governance to the Science, European communities,
2007