Quasi a dispetto delle fantastiche immagini che ormai da quindici anni riescono a emozionarci con incredibili scorci di Universo, l'ambiente nel quale sorgono i potenti occhi del VLT (Very Large Telescope) non è certo tra i più accoglienti. Siamo nel deserto di Atacama, in Cile, una tra le regioni più aride e inospitali dell'intero pianeta (in media, un millimetro di pioggia ogni dieci anni). Proprio lì, sull'ampia spianata ricavata ai 2635 metri di quota del Cerro Paranal, è stata costruita la più potente e ingegnosa macchina osservativa astronomica terrestre mai realizzata. Costo del progetto circa 500 milioni di dollari: una follia per molti, un'autentica benedizione per chi si occupa di ricerca astronomica.
Il sistema è composto da quattro telescopi primari fissi e
da quattro unità secondarie che possono essere spostate per assumere differenti
configurazioni. I telescopi fissi vengono sbrigativamente identificati con le
sigle UT1, UT2, ecc. (UT sta per Unit Telescope), ma possiedono anche un nome
decisamente meno arido. Alla loro entrata in servizio, infatti, sono stati loro
assegnati quattro nomi di oggetti astronomici mutuati dalla lingua dell'etnia
locale dei Mapuche. Abbiamo così che UT1 è Antu (il Sole), UT2 è Kueyen
(la Luna), UT3 è Melipal (la Croce del Sud) e UT4 è Yepun
(Venere). Si tratta di quattro telescopi giganteschi, i cui specchi principali
misurano 8,2 metri di diametro. Nonostante la loro esagerata dimensione, però,
lo spessore di questi specchi è di soli 18 cm. L'inevitabile presenza di
deformazioni - anche per il semplice loro peso - renderebbe quei telescopi un
inutile ammasso di ferraglia e vetro se non ci fosse, sotto gli specchi, una
selva di 180 piccoli pistoni che, comandati da un computer, intervengono sullo
specchio mantenendolo costantemente della forma ottimale (ottica attiva).
A questa meraviglia tecnologica si affianca la cosiddetta ottica adattiva,
un sistema in grado di rimediare alla turbolenza della nostra atmosfera
correggendo in tempo reale le distorsioni che arreca alle immagini.
Indiscutibilmente pittoresco e musa di poeti e amanti il luccichio degli astri,
ma incredibilmente frustrante per gli astronomi. Le turbolenze sono talmente
indesiderate che gli edifici che ospitano i quattro gioielli del VLT sono
controllati termicamente in modo che venga ridotto al minimo ogni rischio di
giri d'aria.
Non sono certo meno tecnologiche le quattro unità
secondarie. Si tratta infatti di telescopi da 1,8 metri di diametro che
farebbero invidia a ogni osservatorio. Protetti dall'azione del clima desertico
da impenetrabili scafandri che si aprono solo quando è necessario, i quattro
telescopi sono ospitati in strutture mobili e possono essere collocati in 30
differenti posizioni. Al momento di entrare in azione, però, ogni telescopio è
meccanicamente isolato dalla struttura circostante e non risente dunque di
possibili vibrazioni che potrebbero rovinare le sue prestazioni.
Benchè ciascuno degli otto telescopi possa essere utilizzato come unità indipendente e autonoma, il meglio lo si ottiene quando il VLT cala il suo asso nella manica: l'interferometria. Il VLT si trasforma in VLTI (Very Large Telescope Interferometer) e gli astronomi possono osservare dettagli fino a 25 volte più fini rispetto a quelli osservabili con i singoli telescopi. I fasci di luce raccolti dai singoli telescopi sono combinati per mezzo di un complesso sistema di specchi in tunnel sotterranei che devono garantire uguali percorsi del segnale luminoso (la precisione richiesta perchè tutto funzioni è meno di 1/1000 mm su un percorso di oltre cento metri). Il risultato che si ottiene sommando i contributi dei singoli telescopi è equivalente a ciò che si potrebbe ottenere con un unico strumento grande come tutti i telescopi messi assieme. Con questo tipo di precisione il VLTI può ricostruire immagini con una risoluzione angolare del millesimo di arcosecondo, equivalente a distinguere i fari di un'automobile alla distanza della Luna.
Se andiamo a sfogliare la classifica delle 10 scoperte astronomiche più importanti effettuate con il contributo dell'ESO, possiamo notare che in ben 7 casi c'è lo zampino del VLT. Una presenza che la dice davvero lunga sul ruolo che questa fantastica struttura sta svolgendo nella ricerca astronomica attuale. Per gli amanti dei dati statistici, nel 2012 sono stati pubblicati più di 600 articoli su riviste con referee basati su dati del VLT e del VLTI. Un contributo che giustifica appieno i festeggiamenti per i 15 anni della prima storica immagine raccolta da Antu il 25 maggio 1998. Ci sarebbe voluto ancora quasi un anno di controlli e verifiche prima che, il 1° aprile 1999, il telescopio venisse consegnato alla comunità astronomica per iniziare la sua vita operativa. L'anno seguente l'intera pattuglia dei quattro telescopi principali era già in azione, ma solo sette anni più tardi, con l'entrata in servizio anche dei telescopi secondari, la configurazione sarebbe stata completata.
Al di là delle caratteristiche tecniche e dei traguardi scientifici snocciolati nelle righe precedenti, però, VLT è anche una fantastica macchina dei sogni: le sue incredibili immagini, raccolte in ogni angolo dell'Universo, lasciano senza parole. E lo stupore non coinvolge solamente chi si interessa di astronomia, ma anche il profano e chi si imbatte in quegli scorci solamente per caso. Complicato decidere quale immagine sia più emozionante e densa di significato. E' un gradevole compito che lascio al lettore indirizzandolo alla pagina dell'ESO contenente le sue Top 100 images. Non sono tutte del VLT, ma poco importa. Una sola raccomandazione: per gustare al meglio si consiglia di assumere a piccole dosi.