dalla guerra chimica al bioterrorismo
Matteo Gallarati
Il 21 agosto un attacco con armi chimiche è stato effettuato in Siria. A mostrarlo con chiarezza sono state le scioccanti immagini pubblicate online dalla Cnn, alle quali è seguita l’indignazione unanime di tutta la comunità internazionale. Non sono certo state le prime morti causate dalla guerra civile siriana, che da più di due anni vede contrapporsi una parte della popolazione al regime del presidente Bashar al-Assad, ma sono senza dubbio quelle che hanno avuto il peso maggiore.
È l’utilizzo del Sarin, un letale gas nervino, il casus belli che sblocca l’inerzia degli Stati Uniti e giustifica la proposta di un intervento militare.
Ma cosa differenzia le morti dovute a un attacco chimico da quelle causate dai proiettili? Perché il possesso di un arsenale chimico è ritenuto così cruciale nel determinare la “bontà” di uno stato, tanto che in questi giorni si discute la possibilità di scongiurare l’attacco se Assad accetterà di mettere i gas bellici siriani sotto il controllo delle autorità internazionali?
La differenza tra questo tipo di armi e quelle classiche si basa sulla distinzione tra arma “convenzionale” e di “distruzione di massa” tracciata dal consiglio delle Nazioni Unite nel 1947. La seconda categoria comprende: “le armi atomiche esplosive, le armi costituite da materiale radioattivo, le armi chimiche e biologiche letali e qualsiasi altra arma che in futuro dimostrerà di possedere la capacità di produrre effetti distruttivi paragonabili a quelli di una bomba atomica”.
La sigla con cui ci si riferisce a queste armi è CBRN (Chemical, Biological, Radiological, Nuclear).
Si considerano armi chimiche tutte quelle sostanze che esercitano un’azione chimica sui processi vitali, causando danni permanenti all’organismo o causandone la morte. Comprendono non solo gli agenti tossici ma anche i loro precursori, cioè quelle sostanze che possono essere modificate tramite una reazione chimica per produrre agenti tossici.
Quelle biologiche sono microorganismi patogeni, resistenti e capaci di replicarsi nel corpo dello sfortunato ospite. Potenzialmente devastanti a dispetto dei costi di produzione limitati.
Sebbene il concetto di “distruzione di massa” sia di per sé piuttosto generico e sebbene le stesse armi Cbrn abbiano proprietà molto diverse fra loro, esiste una decisiva caratteristica che le accomuna: il panico che sono in grado di suscitare. Questo tipo di armi sono percepite, sia in ambiente militare che pubblico, come più crudeli, sleali e minacciose di quelle convenzionali. Sono armi psicologiche oltre che di distruzione.
La loro efficacia è stata testata sui campi di guerra sin dalla prima guerra mondiale, ma in seguito le loro subdole caratteristiche sono state spesso sfruttate in azioni terroristiche in ambito civile, creando il temuto fenomeno che prende il nome di bioterrorismo.
È proprio il gas Sarin, lo stesso utilizzato in Siria, il protagonista di uno dei più noti attentati con armi chimiche.
Il 20 Marzo 1995 alcuni membri della setta giapponese Aum Shinrikyo (suprema verità), liberarono nell’affollatissima metropolitana di Tokyo cinque litri e mezzo di Sarin precedentemente autoprodotto, causando l’avvelenamento di 5000 persone e la morte di 11.
L’efficacia dell’attacco a dispetto del suo potenziale distruttivo fu minima. Le difficoltà di gestione dell’agente chimico impedirono il massacro ma non l’effetto mediatico dell’attentato: la paura di un attacco in bioterroristico in un luogo pubblico si diffuse in tutto il mondo e la setta guidata da Shoko Asahara (luce splendente) ottenne una fama planetaria.
Anche l’America ha recentemente sperimentato l’effetto destabilizzante del bioterrorismo. A soli due giorni dall'attentato del 15 aprile alla maratona di Boston, una serie di lettere contenenti ricina, una potente tossina ricavata dai semi della pianta di Ricinus communis, vennero spedite al presidente Barack Obama, al sindaco di New York Michael Bloomberg e ad alcuni senatori, diffondendo panico e insicurezza nella nazione.
Sembra che il vero bersaglio degli attentatori fosse l’impegno, condiviso tra i destinatari delle lettere, a favore della legge sul controllo delle armi negli Usa.
Ma sebbene non ci siano prove che colleghino l'attacco alla maratona di Boston con le buste contenenti ricina, un collegamento può essere fatto e chiama in causa il periodo che più ha segnato la storia americana degli ultimi anni.
Una settimana dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, una serie di pacchi con spore del batterio Bacillus anthracis che causa un'infezione acuta e letale chiamata antrace , furono inviati a diversi uffici giornalistici e a due senatori del Partito Democratico, causando la morte di 5 persone e l'avvelenamento di altre 17. Il principio alla base di questo collegamento non è solo la comune sequenza temporale tra l’attentato terroristico e la minaccia biologica, ma anche una considerazione sulla scelta di usare un’arma biologica, come l’antrace o la ricina, in un preciso momento di instabilità sociale e politica. I terroristi hanno appena colpito dove non si credeva fosse possibile, nel cuore della nazione, che ora si sente ferita, sotto attacco e vulnerabile. Un ambiente fortemente destabilizzato da un attentato terroristico è un terreno fertile per chi vuole aumentare il livello di allarme e diffondere la paura; le armi create dalla biotecnologia sono forse il miglior strumento per farlo. Fiutando la situazione di fragilità creata dai recenti avvenimenti, il 2 giugno Al-Qaeda è tornata a minacciare gli Stati Uniti: "Gli eventi di Boston e le lettere al veleno alla Casa Bianca, hanno dimostrato che non avete più il controllo della vostra sicurezza e gli attacchi contro di voi non potranno essere fermati" , si legge in una "lettera al popolo americano" di Qassim al-Rimi, il capo militare dell'organizzazione terrorista nella Penisola arabica. Anche le lettere avvelenate contenevano, oltre alla tossina, un avvertimento: “Quello che c’è in questa busta non è niente rispetto a quello che ho in mente per voi”, recitava il testo dell’ultima cartolina per Obama. “Non puoi fermarci. Abbiamo l’antrace. Muori adesso. Hai paura?”, chiedevano i terroristi al senatore Daschle nel 2001.
Un sintomo di questa paura è stata l'autocensura straordinaria che le maggiori testate scientifiche si sono imposte nel 2003, come conseguenza dei fatti dell’11 settembre di due anni prima, vietando la pubblicazione di ricerche biologiche teoricamente utilizzabili dai terroristi come ricettario per la costruzione di armi.
E’ lecito quindi chiedersi: cosa è stato più efficace, il veleno o la minaccia? La percezione del rischio bioterroristico è aumentata a tal punto che oggi non ci si chiede più se questo sia reale, ma quando ci sarà il prossimo attacco. Il pericolo sembra dietro l’angolo, anche comuni cittadini con qualche nozione di biologia possono acquistare illegalmente gli agenti patogeni o addirittura produrli in proprio in un laboratorio improvvisato in garage. Fortunatamente non è così facile. Utilizzare le armi biologiche e chimiche è molto complesso, tanto è vero che né la frequenza degli attacchi né la loro efficacia sono state negli anni statisticamente degne della sinistra reputazione di questa strategia. Nonostante questo, gli Stati Uniti continuano a spendere molto per prepararsi ad un attacco.
Azioni di terrorismo chimico e biologico in Usa e nel mondo (periodo compreso tra il 1975 e il 2000)
Vittime del terrorismo chimico e biologico nel mondo (periodo compreso tra il 1975 e il 2000)
Nel 2013 hanno infatti ordinato 2 milioni di dosi di medicinali per difendersi da un’eventuale epidemia di vaiolo, spendendo ben 463 milioni di dollari. Se l’intenzione è quella di dimostrare di essere pronti, l’effetto è la manifestazione della paura di non esserlo.
Le armi del bioterrorismo
Valentina Tudisca
Cadaveri di appestati gettati oltre le mura di città assediate, veleni dispersi nei pozzi dei nemici o punte di frecce intinte nel sangue infetto sono senza dubbio armi biologiche.
Tuttavia, quelle a cui è associata l’espressione “bioterrorismo” hanno una connotazione più tecnologica: si tratta di virus, batteri e tossine disponibili in natura che le attuali biotecnologie consentono di manipolare, aumentandone il potere distruttivo o dotandoli di caratteristiche specifiche (ad esempio la capacità di funzionare solo in determinate condizioni ambientali o colpire selettivamente certe etnie).
Oggetto di programmi di ricerca già nel corso della prima guerra mondiale, le cosiddette “armi nucleari dei poveri” si possono produrre, commercializzare e diffondere con relativa facilità. Non esiste controllo che tenga: che 160 paesi, nel ‘72, abbiano firmato la Biological and Toxin Weapons Convention - che mette al bando tutte le armi batteriologiche – non è sufficiente a scongiurare il pericolo, in un momento storico in cui i mezzi e le conoscenze per disporne sono sempre più alla portata di tutti, anche del singolo bio-amatore (si pensi al movimento Do-It-Yourself Biology, che promuove la diffusione democratica della biologia sintetica tra persone estranee al mondo accademico).
Le armi biologiche non sono l'unica minaccia a disposizione del bioterrorismo. Il sarin, l'agente nervino che sarebbe stato usato di recente su civili in Siria, non è un'arma biologica, ma chimica, e venne sintetizzata per la prima volta nel 1938 da scienziati tedeschi che lavoravano sui pesticidi. Inodore e incolore, può attraversare la pelle, oltre a essere inalato, per cui la maschera antigas non è una protezione sufficiente. Colpisce il sistema nervoso causando una stimolazione continua di muscoli e ghiandole, e la morte sopraggiunge per asfissia proprio perché impedisce di controllare i muscoli coinvolti nella respirazione. Esistono antidoti, come l'atropina, ma se non vi si ricorre tempestivamente il sarin è letale anche se assunto in dosi molto basse. Non c'è quindi da stupirsi se la Siria non è fra i 189 paesi che aderiscono alla Chemical Weapons Convention.
Oltre alla posta, le sostanze del bioterrorismo possono contaminare prodotti alimentari, acqua potabile e animali, o essere diffuse per via aerea, come di solito accade per le spore dei batteri, capsule resistenti che li proteggono nel corso di una sorta di letargo, dal quale riemergono quando le condizioni sono adatte.
I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti classificano le armi biologiche usate nel bioterrorismo in tre categorie, in base alla loro facilità di diffusione e al loro potere letale.
La ricina inviata in una lettera al presidente Barak Obama a maggio 2013 è una proteina che si estrae dai semi di una pianta ornamentale, Ricinus communis. Nonostante si tratti del veleno più efficace finora conosciuto - basta ingerirne 0,2 milligrammi per andare incontro a morte certa, e non esiste antidoto - in base alla classificazione dei CDC non è affatto l’arma biologica più temibile, perché non si trasmette e gli effetti del contatto e dell’inalazione sono ancora poco chiari. In testa alla classifica compaiono invece gli agenti patogeni responsabili di antrace, botulismo, febbri emorragiche virali, peste, tularemia e vaiolo.
Le vittime del bioterrorismo
Federica Lavarini
Alcune domande a Kenneth R. Yeager, Professore associato di Psichiatria all’Università dell’Ohio (USA), sul pericolo rappresentato dal bioterrorismo per la società e le istituzioni.
Perché il bioterrorismo viene percepito come un grave pericolo nonostante il numero dei morti provocato dai suoi attacchi sia molto basso?
Preferirei essere cauto con le statistiche. Il fatto che non si siano ancora verificati eventi catastrofici non vuol dire che il pericolo non esista. Le attuali stime di minaccia bioterroristica sono spesso sfuocate oppure prestano troppa attenzione a un singolo piuttosto che ai molteplici fattori che compongono il bioterrorismo. Questo porta a una non corrispondenza tra la stima dei rischi e le relative azioni per contrastarli. Le simulazioni di incidenti bioterroristici, di basso o medio livello, sono adatti a un concetto tradizionale di questa minaccia, in cui è implicata una tecnologia piuttosto sofisticata, come potrebbe essere la riproduzione del virus del vaiolo, scomparso da decenni. Il recente attacco a Boston riflette invece un passaggio verso metodi con un basso livello di tecnologia ma comunque efficaci. Di recente, un gruppo terroristico ha elogiato l’attentato di Boston e incitato all’uso di questa tecnologia elementare per portare avanti attività terroristiche nei paesi sviluppati. Questo è un rischio nuovo, reale, e va monitorato.
Perché si investono milioni di dollari per difendersi?
Per creare un’infrastruttura che vigili su tutti i tipi di attacco bioterroristico. Purtroppo, il sistema di risposta non è testato, nel senso che non si conosce quale tipo di attacco sia necessario, o quanto ampio dovrebbe essere, per annientare il sistema di difesa, generare paura e panico o provocare serie ricadute politiche ed economiche. Le cellule terroristiche operano in tutti i Paesi e possono sviluppare una serie di azioni, di basso o medio livello, che hanno lo scopo di testare questo sistema.
Che tipo di messaggio è contenuto negli attacchi bioterroristici?
Il messaggio è lo stesso in tutte le forme: “Tu non sei sicuro. Noi verremo da te, stiamo arrivando e tu non sarai in grado di fermarci”.
Qual è il modo migliore che hanno le autorità per rassicurare la gente?
Costruire e sostenere un robusto sistema di sanità pubblica e, allo stesso tempo, comunicare gli sforzi messi in atto. Questo richiede investimenti solidi, un addestramento degli staff medici e infrastrutture informatiche capaci di collegare lo stato locale al network sanitario federale e internazionale.
Quanto è reale il rischio di attacco bioterroristico? È prevedibile?
Il pericolo esisterà fino a quando esisteranno le organizzazioni terroristiche e le malattie. Sulla prevedibilità è molto più difficile rispondere. Si tratta di bersagli in continua mutazione. Vorrei poter fornire un numero ma in tutta onestà non credo che un’esatta predizione esista. In termini puramente statistici è possibile che “qualcosa” abbia un’alta probabilità di accadere e quindi è possibile sapere qual è la probabilità che non accada. Ma prevedere il bioterrorismo è possibile quanto lo sono le previsioni del tempo o i risultati sportivi.
Gilbert ha 83 anni e vive con la moglie in sedia a rotelle a 17 miglia da Boston. Mentre stava piantando dei fiori in giardino, suo figlio lo avvertiva dell’attentato.
“Mi sono subito allarmato perché mia figlia e alcuni miei nipoti lavorano a Boston. Le immagini che trasmetteva in diretta la TV riportavano alla mente l’11 settembre 2001 e mi domandavo ‘Adesso che cosa ci aspetterà?’. Viviamo tutti sul filo del rasoio, in attesa che possa accaderci qualcosa di grave.
Infatti, per mantenere alta la tensione del Paese, due giorni dopo sono state recapitate a Obama e a un senatore repubblicano delle lettere contenenti ricina. Forse per vedere come il Governo avrebbe reagito a un’ulteriore minaccia, quella bioterroristica. Per fortuna, tuttavia, gli Stati Uniti investono molte risorse in questo campo, per evitare che poche persone pericolose abbiano la meglio sul resto della popolazione.”
Lisa, cugina di Gilbert, ha 53 anni e ha vissuto a Trieste fino all’età di 10 anni per poi emigrare a Detroit con la famiglia.
“La ricina si può produrre anche in casa, si ricava da una pianta molto comune. Le lettere a Obama e Bloomberg hanno, da un lato, creato un effetto emulazione, dopo quelle già inviate a ridosso dell’attentato di Boston, dall’altro hanno voluto colpire il giro di vite sul possesso di armi. Gli americani, infatti, sono molto arroganti, molto gelosi del Bill of right e del loro diritto alla difesa personale. La semplicità con cui possono essere messi in atto questi attacchi bioterroristici, unita a fattori come la limitazione di alcuni “diritti fondamentali” e l’insofferenza degli americani verso l’intervento in Medio Oriente, mi fa credere che in futuro se ne verificheranno molti altri. Il pericolo verrà da piccoli gruppi locali o da soldati riformati e la strategia di Obama sulla biosicurezza e la biosorveglianza, legata alle decisioni in ambito estero, non sarà in grado di farvi fronte. Ha dato molto fastidio, infatti, che gli attentati di Boston fossero compiuti da americani ed è inoltre emersa l’incapacità di comunicare tra i diversi livelli di polizia: federale, statale e locale.