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Quel pasticcio fraudolento (e poco chiaro) del caso Stamina

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I segugi di Nature hanno fatto una scoperta sorprendente, ma non sono andati fino in fondo a collegare, oltre alle immagini, anche i nomi. E quella denunciata dalla rivista potrebbe essere l’ennesima conferma dell’approssimazione con cui Davide Vannoni e la sua fondazione affrontano la ricerca e la medicina.

In fondo, davanti alle ripetute richieste di una documentazione scientifica che supportasse le sue affermazioni, Davide Vannoni lo ha ripetuto molte volte: «Il mio metodo è descritto nella richiesta di brevetto e le pubblicazioni che dimostrano la possibilità di trasformare le staminali mesenchimali in neuroni ci sono. Il fatto che siano state prodotte da ricercatori russi o ucraini non significa che non siano reperibili». E così, alla fine, qualcuno nella redazione di Nature gli ha dato retta, ed è andato a spulciare tra questa letteratura per così dire periferica, rispetto al mondo scientifico che ruota intorno alle riviste pubblicate tra Europa e Stati Uniti, e difficilmente accessibile perché scritta in una lingua ostica ai più.

La scoperta che ne è emersa non fa però onore allo psicologo piemontese, esperto di comunicazione prestato alla medicina: almeno due delle fotografie con cui la Stamina Foundation, di cui Vannoni è presidente, chiedeva il brevetto del suo metodo, non sono originali, né ottenute nella maniera descritta. Potrebbero infatti essere state copiate da due diversi lavori condotti da Elena Schegelskaya, una biologa molecolare dell’Università nazionale di medicina di Charkow, in Ucraina, che, intervistata da Nature, ha confermato le circostanze. Alla rivista britannica però sembra essere sfuggito un dettaglio, che la ricercatrice stessa forse non ha voluto rivelare, per non peggiorare il suo coinvolgimento nella vicenda, per molti lati oscura, che ruota intorno alla Fondazione Stamina.  Elena Schegelskaya, infatti, insieme con il collega Vyacheslaw Klymenko, ha lavorato nel sottoscala di Torino dove preparava le prime infusioni di cellule somministrate dalla Fondazione per la medicina rigenerativa di Davide Vannoni. Nessuno conosce la ragione per cui poi i due ucraini abbiano deciso di tornare al loro Paese, se questa scelta sia stata frutto di divergenze con gli imprenditori italiani, di una diversa evoluzione professionale o semplicemente di una comprensibile nostalgia di casa. Quel che oggi possiamo dire con certezza è che le foto delle cellule nervose rappresentate nella figura 3 e nella figura 4 della richiesta di brevetto depositata da Davide Vannoni all’US Patent Office sono le stesse utilizzate dalla Schegelskaya in almeno due sue pubblicazioni, precedenti alla collabrazione con la Stamina Foundation. Il confronto tra la foto contenuta nell’articolo originale pubblicato sull’Ukrainian Neurosurgical Journal  e la figura 4 della richiesta di brevetto non lascia spazio a dubbi.

Il punto è: queste cellule dall’aspetto di neuroni sono state davvero ottenute dalle cellule mesenchimali del midollo osseo? Nessun altro laboratorio ci è riuscito con le indicazioni approssimative fornite da Vannoni nella richiesta di brevetto, che infatti l’US Patent Office ha giudicato insufficienti, respingendo la richiesta. Inoltre la ricercatrice ucraina sostiene di aver ottenuto questo risultato con un metodo molto diverso da quello di Vannoni, incubando per parecchi giorni le cellule in una soluzione di acido retinoico venti volte più diluita di quella utilizzata da Stamina, che invece le prepara in un paio d’ore.

Insomma, si torna alla questione fondamentale sollevata dagli ispettori dell’AIFA quando hanno interrotto la somministrazione delle cellule agli Spedali Civili di Brescia: manca quel minimo di ordine e chiarezza senza la quale non si può parlare di scienza. Non è un caso quindi che non sia ancora pronto il protocollo con cui il primo luglio sarebbe dovuta partire la sperimentazione. Una sperimentazione che, come ricorda anche Nature, costerà alle tasche dei contribuenti italiani tre milioni di euro, sottratti a cure di provata efficacia.  E dopo l’appello dei premi Nobel, anche Irving Weissman, direttore dello Stanford Institute for Stem Cell Biology and Regenerative Medicine in California, dice la sua: «Il governo italiano non si dimostrerebbe saggio se sostenesse un trial con così poche prove di efficacia».

Ma il ministro della Salute Beatrice Lorenzin è stretta tra le ragioni degli scienziati e la pressione dell’opinione pubblica, ormai convinta che si vogliano privare di una possibilità di guarigione migliaia di malati, per lo più bambini, considerati incurabili. Dopo Celentano e molti altri personaggi famosi è scesa in campo “per la vita”, e contro i presunti interessi delle case farmaceutiche, anche una sexy star, Giglian, con un apposito sito, grandi manifesti nelle città e accorati interventi televisivi. Dice che non lo fa per farsi pubblicità, ma perché “ci crede”. L’ennesimo pasticciaccio che coinvolge Stamina non scalfirà certo questa fede, né la speranza di tanti genitori che non hanno altro appiglio cui attaccarsi.

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