fbpx Open Access da Berlino a Roma | Scienza in rete

Open Access da Berlino a Roma

Tempo di lettura: 4 mins

Open access. Libertà di accesso all’informazione scientifica. A chiederle e a proporre un “piano d’azione” per ottenerle sono stati i dirigenti di 70 organizzazioni di ricerca di tutto il mondo, oltre che di scienziati autorevoli, di manager della ricerca e di politici della ricerca nel corso dell’Annual Global Meeting del Global Research Council che si è tenuto a Berlino dal 27 al 30 maggio scorso. L’incontro è stato organizzato in maniera congiunta dalla Deutesche Forschungsgemeinschaft (DFG), la Fondazione tedesca per la ricerca, e dal Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq), il Consiglio nazionale dello sviluppo scientifico e tecnologico del Brasile.
In occasione di questo incontro il Global Research Council ha approvato due documenti: lo Statement of Principles for Scientific Merit Review, una dichiarazione di principi per l’integrità della ricerca; e l’Action Plan towards Open Access to Publications, un piano d’azione per rendere la libertà di accesso all’informazione scientifica non una petizione di principio, ma una pratica concreta.

La novità di rilievo sono almeno tre. La prima è che a chiedere l’open access – ovvero che tutto possano liberamente accedere all’informazione scientifica – non siano solo singoli ricercatori o anche singoli centri, ma siano in maniera congiunta 70 grandi istituzioni scientifiche, molte delle quali coordinano e finanziano la ricerca pubblica e che, quindi, possono operare in concreto per realizzare la loro richiesta di principio.
La seconda novità del convegno di Berlino è che siano stati approvati due documenti: uno sull’open access e l’altro sulla integrità della ricerca (in particolare sulla valorizzazione del merito). Il che lega in maniera molto forte l’open access all’etica della ricerca. Ovvero ai valori su cui si fonda il lavoro degli scienziati. Consentire l’accesso ai risultati della ricerca diventa un dovere per gli scienziati, almeno per quelli finanzianti con fondi pubblici.
La terza novità è la proposta di un piano che si fonda su tre diverse linee di azione: sensibilizzare, promuovere, valutare.
La prima linea di azione è una sorta di metacomunicazione: comunicare il valore della comunicazione libera. Un valore che è storico: la scienza moderna, sosteneva Paolo Rossi, nasce nel XVII secolo abbattendo il paradigma della segretezza e assumendo come valore il “comunicare tutto a tutti”. Che è etico: è giusto sia che tutti possano beneficiare delle conoscenze scientifiche sia che i ricercatori finanziati con fondi pubblici restituiscano al pubblico i risultati del proprio lavoro. Che è, infine, pratico: la libera circolazione dell’informazione rende più probabile la produzione di nuova conoscenza.
La seconda linea d’azione è quella di promuovere l’open access. E dunque le grandi istituzioni che hanno sottoscritto la dichiarazione di Berlino si impegnano a incoraggiare in maniera attiva i ricercatori che attingono ai loro fondi a pubblicare su riviste open access. Una tecnica è quella di finanziare gli autori. Su una rivista classica è l’utente che acquista a finanziare la pubblicazione. Su una rivista open access, accessibile a tutti, i costi della pubblicazione ricadono sull’autore. Ma non tutti gli autori hanno possibilità e voglia. Le istituzioni che finanziano le loro ricerche possono coprire anche le spese di pubblicazione. Ma ciò non basta. La Wellcome trust di Londra persegue già questa politica. Ma solo il 55% dei ricercatori che finanzia pubblicano open access. Occorre, probabilmente, introdurre un vincolo: la agenzie pubbliche e le charities finanzino solo ricercatori che accettano il vincolo dell’open access.
La terza linea d’azione è studiare i meccanismi più adatti per favorire l’espansione rapida dell’open access, che molti giudicano la forma di comunicazione del futuro. Effetto e, insieme, causa della creazione di un’unica grande comunità scientifica globale.

In realtà la vittoria dell’open access non è affatto scontata. Ci sono resistenze a ogni livello. Non solo economiche. Ma anche culturali. Ecco perché la prima linea d’azione – comunicare l’open access –  proposta a Berlino è essenziale. Una linea d’azione che impone di parlarne. Di riflettere. Di approfondire. Queste occasioni ci vengono offerte dall’Open Science to Society, il gruppo diretto da Giovanni Destrobisol dell’Università La Sapienza di Roma, che organizza dal 2 al 4 settembre ad Anagni un convegno, Scientific data sharing: an interdisciplinary workshop su quell’aspetto particolare dell’open access che è l’open data, ovvero la libera e totale condivisione dei dati scientifici.     


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.