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Un terremoto è sempre naturale e imprevedibile?

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La popolazione italiana percepisce un'intensificazione dell'attività sismica nel nostro Paese, in particolare in aree che nonostante siano classificate sulla mappa della pericolosità sismica, non registravano terremoti da lungo tempo. L’Aquila (Aprile ‘09 – M 6,3; prof 8,0Km), l’Emilia (Maggio ‘12 – M 5,9; prof 6,3Km) la Garfagnana (Gennaio ‘13 – M 4,8; prof 15,5Km) la Lunigiana (Giugno ‘13 – M 5,2; prof. 5,1Km) sono, per esempio, i luoghi in cui negli ultimi anni si sono verificate scosse di terremoto di magnitudo (M) vicine o superiori a 5. Il terremoto dell’Aquila, anche per la vicenda giudiziaria che ha determinato, oltre che per le sue tragiche conseguenze, potrebbe aver cambiato la percezione dei cittadini rispetto agli eventi sismici - i quali, tuttavia, sarebbero in aumento a partire dal 2012.

Lo conferma Alessandro Amato, direttore del Centro Nazionale Terremoti dell’INGV: “Dopo il terremoto dell'Aquila nell'aprile 2009, sembra che ci sia stato un effettivo aumento dell'attività sismica in Italia, accompagnata però anche da una aumentata percezione degli eventi sismici. Dal Gennaio 2012, in particolare, ci sono state numerose sequenze sismiche caratterizzate da almeno un terremoto di magnitudo intorno a 5 o superiore. Oltre alla sequenza emiliana, che ne ha fatti registrare molti con M>5, ne abbiamo avuti nell'Appennino settentrionale, nel Pollino e nel frusinate. In tutto il nord-Italia, dove i terremoti sono storicamente meno frequenti che al sud, diversi eventi sono stati avvertiti in aree molto ampie e in quasi tutte le grandi città, vale a dire, quindi, da milioni di persone. Questo aumento di attività non è tuttavia sorprendente: se guardiamo al catalogo storico troviamo molti periodi di attività più intensa e altri di relativa calma. Su scale di tempo lunghe (secoli) abbiamo addirittura ipotizzato delle "tempeste sismiche" in Italia, con vari terremoti distruttivi concentrati in pochi decenni".

Sebbene qualcuno occasionalmente si avventuri in previsioni, la scienza ci dice che i terremoti sono a) fenomeni naturali b) che non si possono prevedere in maniera deterministica e c) che l'unica forma di prevenzione è di gran lunga l’adozione di adeguate tecniche di costruzione per minimizzare i danni e salvaguardare l’incolumità di cose e persone. Sulla base delle registrazioni storiche con cui sono state elaborate le mappe di pericolosità sismica, possiamo prevedere l’area in cui si potrà verificare un terremoto, le sue caratteristiche e, entro certi limiti, la magnitudo che ci dobbiamo attendere. Ma non possiamo dire quando questo accadrà. Ci sono aree interessate da sciami sismici che durano mesi o anni, senza che si verifichino scosse di magnitudo rilevante (uno sciame sismico è composto da una serie di eventi di bassa magnitudo, in cui non si verifica una scossa principale seguita dagli "aftershocks" o “repliche” ma le scosse di maggiore magnitudo si distribuiscono in maniera casuale nel tempo). “Negli ultimi dieci anni soltanto la sequenza dell'Aquila del 2009 è stata seguita da un forte terremoto, mentre tutte le altre si sono esaurite senza una scossa distruttiva.” - aggiunge Amato -  “Ogni anno in Italia rileviamo in media 30-40 sequenze sismiche di durata variabile da pochi giorni a molti mesi. Una delle più lunghe degli ultimi anni è quella del Pollino, al confine tra Basilicata e Calabria, attiva da oltre due anni con alti e bassi e una massima magnitudo finora registrata pari a 5.

Attività antropiche e sismicità indotta

L’attività sismica non è sempre naturale, può infatti essere provocata dalla realizzazione di dighe, dallo sfruttamento di aree geotermiche, dall'estrazione di idrocarburi e dall'immagazzinamento di anidride carbonica. In generale, questo tipo di attività antropiche provoca attività sismica di bassa intensità. Ma ci sono eccezioni.

Un articolo di Marco Mucciarelli (Centro Ricerche Sismologiche dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale) in fase di pubblicazione sulla rivista “Ingegneria Sismica” (Patron Editore – Bologna) cita importanti incidenti verificatisi in passato in Italia, che potrebbero essere riconducibili ad attività sismiche causate proprio dalla realizzazione di opere che, infine, ne sarebbero state a loro volta danneggiate. Il caso della diga del Vajont (1964) è uno degli esempi citati.  

Nell’articolo si legge che “Il fenomeno dei terremoti indotti è ampiamente studiato e monitorato proprio perché oltre a causare danni ad abitazioni, questi possono danneggiare le stesse opere che li hanno causati. Una ricerca bibliografica su  Google Scholar con le frasi chiave “induced earthquake” e “induced seismicity” restituisce oltre 1000 articoli pubblicati dal 1980 ad oggi, in media oltre 30 all'anno. Uno degli aspetti problematici emersi dalla ricerca  - continua Mucciarelli - è la carenza in questo ambito di studi e ricerche italiane. Il problema infatti è che se si restringe la ricerca all'Italia, paese ricco di centrali idroelettriche, impianti geotermici, pozzi di estrazione di idrocarburi, si scopre sorprendentemente che dal 1964 ad oggi sono stati pubblicati solo tre lavori sulla sismicità indotta da dighe, due sul problema della sismicità indotta da reiniezione dei fluidi e uno che studia l'effetto sulla sismicità della variazione del regime idrico sotterraneo possibilmente causato dallo scavo di un tunnel o da un cambiamento climatico.

Altri casi recenti hanno destato attenzione e preoccupazione. Un articolo del 2009 pubblicato su Scientific American tratta del “famigerato progetto geotermico di Basilea, in Svizzera, dove a seguito di una perforazione di tre miglia (4,8 chilometri) nella crosta terrestre, partì un terremoto di magnitudo 3,4 che fece ondeggiare la città determinando la chiusura di tutte le attività”. Lo stesso articolo cita il caso di “The Geysers” un’area a 150 Km a nord di San Francisco sfruttata per l’intero secolo scorso per la sua naturale capacità energetica. Con il potenziamento dei livelli di produzione di energia geotermica, dagli anni ‘70, iniziarono a verificarsi eventi sismici.

Controllo e monitoraggio della sismicità indotta

Il campo geotermico "The Geysers" è stato oggetto dello studio che Vincenzo Convertito, ricercatore INGV, Nils Maercklin, Nitin Sharma e Aldo Zollo, docente di Sismologia presso l'Università Federico II di Napoli, hanno pubblicato su “Bulletin of the Seismological Society of America”. Nell’area di “The Geysers”, nel periodo Aprile 2007 - Ottobre 2010, sono stati registrati ben sette terremoti di magnitudo uguale e superiore a quattro. Lo studio, condotto dai ricercatori dell'INGV e dall'Università di Napoli, fornisce uno strumento che permette di valutare gli effetti della sismicità indotta dallo sfruttamento geotermico e di valutare come la pericolosità vari nel tempo in funzione delle attività industriali, quali iniezioni o emungimento di fluidi.

La tecnica proposta nello studio si basa sull'analisi in continuo, nel tempo e nello spazio, dei parametri utilizzati per la valutazione della pericolosità sismica. Nello studio si evidenzia infatti come la variazione di uno o più parametri possa portare ad una variazione sia della probabilità di avere eventi potenzialmente più dannosi che della pericolosità sismica, richiedendo quindi agli operatori una ri-calibrazione delle operazioni di campo. La tecnica permetterà di studiare la sismicità indotta oltre che dallo sfruttamento delle aree geotermiche anche relativamente all'estrazione di idrocarburi e all'immagazzinamento di anidride carbonica.

Ad Aldo Zollo abbiamo chiesto come si applica questa metodologia a un impianto geotermico:

A.Z. In aree geotermiche dove si iniettano dei fluidi per aumentare la produzione di energia la presenza di sismicità indotta, generalmente di piccola magnitudo, è un dato assodato. Nell’articolo abbiamo dimostrato che è possibile adottare tecniche simili a quelle usate per il calcolo della pericolosità sismica su scala nazionale, ma permettendo l’evoluzione nel tempo. La pericolosità sismica è espressa come il livello di superamento di una determinata soglia di accelerazione al suolo in un dato periodo. L’obiettivo è di valutarne la variazione nel tempo utilizzando le informazioni acquisite nel sito in cui avviene l’attività di iniezione e estrazione di fluidi. Si descrive la ricorrenza della sismicità, la sua distribuzione in magnitudo e come evolvono nel tempo le proprietà di attenuazione delle onde sismiche. A partire da questi dati, un metodo numerico consente di valutare le variazioni nei periodi successivi segnalando eventuali incrementi di pericolosità eventualmente correlati alla attività industriale svolta.

I terremoti dunque possono essere provocati anche dalle attività dell’uomo?

Nelle zone del Lardarello-Travale e Latera sono stati registrati nel passato a fianco della sismicità naturale anche degli eventi indotti dall’iniezione dei fluidi. Per la maggior parte dei casi sono eventi di bassa magnitudo non avvertibili se non dagli strumenti utilizzati per il controllo della sismicità. In alcuni casi, sia perché l’evento è un po’ più superficiale o perché è di magnitudo più elevata, questo può essere avvertito dalla popolazione. Nelle aree geotermiche italiane non abbiamo mai avuto a che fare con situazioni di danneggiamento o crolli associabili all’attività geotermica. Nelle casistiche che ricordo la soglia strumentale è stata superata nel momento in cui la percolazione dei fluidi ha innescato dei fenomeni di frattura su delle faglie preesistenti, generalmente più profonde della zona “serbatoio”,direttamente interessata dall’attività produttiva, producendo un evento sismico naturale  favorito dall’iniezione di fluidi. Non è pertanto l’iniezione di fluidi in sé che può provocare terremoti di intensità rilevabile ma semmai l’attivazione di faglie in prossimità delle zone di estrazione/iniezione ed al limite di rottura.

Come possiamo distinguere un’attività sismica naturale da una antropica?

In generale ciò che manca è un quadro completo che descriva l’accadimento di questa sismicità in relazione alle operazioni effettuate dall’uomo. Sulla base della conoscenza che ci deriva da studi effettuati in altri paesi sappiamo che l’iniezione o estrazione di fluidi nel sottosuolo può determinare fenomeni di microsismicità ma i sistemi di osservazione attuali non sono in grado di rilevarli in modo completo ed  accurato. Stiamo parlando di eventi di magnitudo molto piccole e le reti sismiche - che sono preposte alla rilevazione di terremoti di magnitudo superiori, capaci di generare danni - non sono adeguate per il rilievo della microsismicità indotta. Ovunque, in Italia ma anche negli Stati Uniti, l’attività sismica indotta è sovrapposta a un’intensa attività naturale. Generalmente le aree naturali geotermiche, come quelle in cui si effettua l’estrazione del petrolio, sono aree prossime a zone sismicamente attive. Nei cataloghi che si hanno a disposizione, in queste aree le due attività sono confuse a tutti i livelli di magnitudo e di localizzazione.

Il problema della sismicità indotta può riguardare anche le perforazioni petrolifere. Qual è il rischio?

In Italia esistono zone di giacimenti che sono fuori dalla catena appenninica, ad esempio la pianura padana, e poi esistono un gran numero di pozzi e giacimenti situati a ridosso della catena. L’ambiente tettonico dell’appennino è un ambiente geologico adatto alla formazione di giacimenti di idrocarburi. La correlazione spaziale tra alcune zone dove si estrae il petrolio in Italia e le zone sismiche adiacenti è pertanto ovvia. Altrettanto ovviamente non possiamo dire, basandoci solo sulla prossimità tra siti di estrazione e zone sismiche, che l’estrazione di petrolio in Italia sia la causa dei terremoti. Molto banalmente si potrebbe ricordare che l’Italia è un Paese dalla storia sismica millenaria, mentre l’attività industriale petrolifera risale a poco più di 50-60 anni fa. Quindi la correlazione tra l’attività di estrazione petrolifera e la sismicità va verificata caso per caso considerando anche la corrispondenza temporale con le attività industriali in corso, non solo quella spaziale, e utilizzando strumenti di osservazione e dati ad alta precisione. Questo vale anche per il caso della sequenza di terremoti accaduti in Emilia nel Maggio 2012 che alcuni vorrebbero essere correlati all’attività estrattiva dell’ENI nell’area.

Cosa occorrerebbe per completare il quadro?

Bisognerebbe predisporre dei sistemi di osservazione sismica adeguati - ad alta risoluzione, che prevedono reti di sensori molto dense e possibilmente in foro - per produrre registrazioni accurate dell’evoluzione spaziale e temporale della sismicità eventualmente connessa alle attività produttive in corso. E’ necessaria pertanto una sinergia e collaborazione fattiva con le industrie che operano nel settore dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo perché le attività estrattive siano controllate con sistemi avanzati di osservazione sismica e i dati siano resi disponibili alle autorità pubbliche ed alle comunità dei territori su cui le attività di estrazione/iniezione vengono svolte.

Sarebbero dunque opportuni interventi normativi?

Quando si autorizza un impianto per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo è importante verificare il contesto geologico nel quale esso si realizza  e valutare l’impatto ed i rischi che le sue attività di esercizio possono avere sul territorio e sulle persone. Ciò è previsto dalla norma vigente in Italia, che adottando il principio di precauzione può eventualmente non consentire la realizzazione dell’impianto. La questione è legata a costi e benefici: un’indagine estremamente dettagliata e completa per la valutazione dei rischi connessi all’esercizio di tali impianti è estremamente onerosa. Sulla base dell’esperienza fatta essenzialmente all’estero su impianti di questo tipo, è possibile tuttavia stabilire norme per l’analisi della pericolosità che tengano in conto il verificarsi della sismicità indotta. Tali analisi consentirebbero di stabilire la probabilità di occorrenza dei terremoti indotti e degli eventuali effetti che essi potrebbero avere sul patrimonio abitativo, data la conoscenza circa la sua vulnerabilità. Ciò al fine di costruire delle mappe di rischio che integrino la pericolosità naturale con quella indotta. Semmai in Italia si avviasse un progetto di potenziamento delle reti di osservazione sismica, potremmo un giorno adottare metodologie come quella da noi proposta nell’articolo sulla sismicità indotta nel campo geotermico The Geyser.

Si tratta dunque di un problema di costi, per il miglioramento delle reti, oltre che di maggiore trasparenza e condivisione delle informazioni in possesso delle imprese. Trasparenza auspicata in particolare da parte delle società petrolifere e di quelle che si occupano di geotermia. I dati delle prospezioni geofisiche e delle attività di estrazione e reiniezione di fluidi - che oggi le società tengono in gran parte riservati considerandoli parte del loro capitale - agevolerebbero la ricerca e la valutazione della connessione fra queste attività e la sismicità, garantendo l’azione di controllo e prevenzione. In Olanda, il paese più avanzato da questo punto di vista, la sismicità indotta deve essere considerata nella progettazione antisismica di impianti industriali e strutture strategiche secondo relazioni di attenuazione appositamente sviluppate. A quando l’ingresso dell’Italia tra i “paesi avanzati” nella ricerca, controllo e prevenzione della sismicità indotta? I costi? Se le imprese non si accollano il costo della prevenzione e del monitoraggio, sarà la collettività a doversi far carico delle eventuali conseguenze. La sismicità indotta è un fatto assodato. Le sue conseguenze non sono sempre accertate ma non sono escluse.

Bibliografia e referenze:

- “From Induced Seismicity to Direct Time-Dependent Seismic Hazard” by Vincenzo Convertito, Nils Maercklin, Nitin Sharma, and Aldo Zollo  - Bulletin of the Seismological Society of America, Vol. 102, No. 6, pp. 2563–2573, December 2012, doi: 10.1785/0120120036

- “Sismicità indotta da attività antropiche e rischio derivante” - Mauro Mucciarelli 

Deichmann & Giardini su Sesimological Research Letters http://srl.geoscienceworld.org/content/80/5/784.extract
A survey of the induced seismic responses to fluid injection in geothermal and CO2 reservoirs in Europe-  Keith F. Evans, Alba Zappone, Toni Kraftb, Nicolas Deichmannb, Fabio Moiac


- Rapporto annuale 2012 – Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per l’Energia, Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche

"Do earthquake storms repeat in the Apennines of Italy?", Claudio Chiarabba, Pasquale De Gori and Alessandro Amato - Istituto Nazionale di Geofisica and Vulcanologia, CNT, Rome, Italy - Terra Nova, 23, 300–306, 2011 - doi: 10.1111/j.1365-3121.2011.01013.x

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