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L’istruzione italiana sotto la sufficienza

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E’ stato appena pubblicato “Education at a Glance 2013”, il rapporto dell’Ocse che in poco più di 400 pagine descrive lo stato di salute dell’istruzione di 34 paesi tra cui anche il nostro.
"La relazione Ocse, importante fonte di conoscenze e di dati per i decisori politici, ci aiuta a comprendere meglio le sfide che ci aspettano. Investire nell’istruzione conviene sempre nel lungo periodo e gli Stati membri devono tenerne conto nel decidere lo stanziamento dei fondi pubblici" ha affermato Androulla Vassiliou, Commissaria europea responsabile per l'istruzione.

L’Italia investe poco nell’istruzione

La percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione nei paesi del rapporto Ocse è in media del 13%. Tra il 1995 e il 2005, la spesa è aumentata nella maggior parte dei paesi, tuttavia se viene considerato il quinquennio tra il 2005 e 2010, la crisi economica ha messo a dura prova i bilanci pubblici, costringendo molti governi a destinare meno risorse all'istruzione. Tagliare questa voce nei momenti di crisi può essere contradditorio perché diminuendo i posti di lavoro aumenta sempre la domanda di istruzione e di formazione. Prendendo in considerazione questi dieci anni possiamo notare come il nostro Paese ha avuto, purtroppo, un andamento molto regolare. Tra il 2005 e il 2010 infatti, l’Italia non hai mai destinato più del 9% della spesa all’istruzione. Siamo quindi ben lontani dalla media Ocse.
La percentuale italiana è la più bassa tra i 30 Paesi per i quali sono disponibili dei dati. Il nostro è l’unico paese dell’area Ocse che dal ’95 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria. Oltre a tenere in considerazione il dato della spesa pubblica, il rapporto dell’Ocse riporta la percentuale di PIL destinata ai tre livelli di istruzione.
Nel 2010 l’Italia ha speso il 4,7% del PIL, mentre la media Ocse è del 6,3%. In pratica è la terza percentuale più bassa dell'area e questo dato diventa ancora più drammatico se si tiene in considerazione che dal 1995 è cresciuto solo dello 0,1%. Sicuramente le poche risorse destinate all’istruzione non servono al nostro Paese per pagare in maniera adeguata i nostri insegnanti.
Quelli italiani sono i peggio retribuiti tra le nazioni prese in esame. Una differenza più bassa a inizio carriera, ma che  aumenta con il procedere dell'esperienza lavorativa: 29.418 dollari è la media per gli insegnanti italiani all'inizio della carriera contro 31.348 di media dei paesi Ocse, 36.928 dollari per un professore italiano con 15 anni di servizio contro 41.665 di media Ocse. L’aspetto riguardante gli stipendi è molto importante per attrarre giovani laureati a diventare insegnanti.

 

Fig.1- Stipendio medio degli insegnati dei paesi Ocse 

In quei paesi dove c’è un forte aumento della popolazione in età scolare si dovrebbe pensare di offrire salari più interessanti e prospettive di carriera. Tuttavia, per garantire un insegnamento altamente qualificato, gli sforzi maggiori devono essere fatti in fase di selezione del corpo docente. 
I nostri insegnanti oltre a essere malpagati sono anche fra i più anziani, nel rapporto si legge che ''negli ultimi anni un numero relativamente limitato di giovani adulti è stato assunto nella professione di insegnante”. Nel 2011 infatti, il 47,6% dei maestri elementari, il 61% dei professori delle medie inferiori e il 62,5% di quelli delle superiori aveva già superato i 50 anni d'età.
Secondo l’Ocse nel rapporto studenti/docenti, l’Italia si sta livellando alla media internazionale seguendo due strade, un aumento delle ore di lavoro per gli insegnanti e una parallela diminuzione delle ore di studio per gli studenti. Nei prossimi anni sarà importante capire se questi cambiamenti di rotta porteranno a un beneficio per tutto il sistema.

Università

La percentuale di giovani del nostro Paese che pensa d’iscriversi a un programma di studi di livello universitario durante l’arco della loro vita è aumentata dal 39% nel 2000 al 50% nel 2002 e al 56% nel 2006, prima di diminuire al 48% nel 2011 (media OCSE: 60%). Solo il 15% degli italiani compresi nella fascia d'età tra i 25 e i 64 anni possiede un'istruzione di livello universitario, rispetto alla media OCSE del 32%. La percentuale di laureati nel nostro Paese nella fascia di età compresa tra 25 e 34 anni è pari al 21%, tutti i grandi paesi europei hanno una media più alta

 

Fig.2 - Percentuale della popolazione con titolo universitario              

La popolazione studentesca risulta sempre più eterogenea. La maggior parte dei laureati di tutti i livelli di istruzione terziaria sono le donne. Le italiane sono molto più brillanti, il rapporto indica, infatti, che il 26% di esse, in una fascia di età compresa tra i 25 ed i 34 anni, ha completato l'istruzione universitaria; il dato maschile, riferito alla stessa età, si ferma solo al 16%.
La spesa per l’università varia molto fra i paesi presi in esame: Canada, Messico, Svezia e Stati Uniti spendono oltre il 49% del PIL pro capite per ogni studente universitario. Il nostro Paese  risulta  14° sui 24 paesi presi in esame nel rapporto.

Fig.3 – Spesa per l’università (% di PIL) 

Ma avere una laurea conviene?

Sicuramente sì, le casse erariali sono le prime a beneficiarne. In media, infatti, nei paesi OECD un laureato porta allo stato nell’arco della sua vita 169.000 dollari in più di un lavoratore che ha solo il titolo della scuola dell’obbligo. Chi ha una laurea ha prospettive di guadagno maggiori, se però non lavora nel Bel Paese. I laureati italiani, tra i 25 e 34 anni guadagnano solo il 22% in più rispetto ai pari età che hanno un diploma di scuola secondaria superiore (la media Ocse è del 40% in più). All’opposto, i lavoratori della classe di età dai 55- 64 anni guadagnano il 68% in più rispetto ai lavoratori della stessa classe di età che hanno un diploma della scuola secondaria superiore (la media OCSE è del 73% in più). C’è, inoltre, per un laureato la possibilità di trovare lavoro più facilmente. Nel 2011, circa il 18,1% dei 25-34enni dei paese Ocse, senza istruzione di livello secondario, era disoccupata, rispetto all’8,8% dei 55‑64enni. Nella coorte di età dei 25‑34enni con titolo universitario, si registra in media un tasso di disoccupazione del 6,8%, rispetto al 4,0% dei 55‑64enni con un livello d’istruzione simile.
Anche nel nostro Paese chi ha conseguito la laurea ha una minore probabilità di disoccupazione. Il tasso di occupazione per i laureati italiani è pari al 79% contro il 75% dei maturati e il 58% per chi si è fermato alla media inferiore. Se da un lato, la situazione italiana è peggiore della media OCSE, il differenziale  di quattro punti percentuali tra laureati e maturati è identico. In conclusione, i giovani laureati italiani trovano difficilmente un lavoro adeguato al loro livello di competenze. Anche per questo forse, tra i nostri studenti diminuisce l'interesse per l'istruzione universitaria: secondo i dati raccolti tramite questionari Pisa (OECD Programme for International Student Assessment), tra il 2003 e il 2009, la percentuale di quindicenni intervistati che puntano a ottenere una laurea è scesa di 11 punti, dal 52,1% si è passati 40,9%.

Aumentano i disoccupati

In Italia, circa 1 giovane su 5 nella fascia di età tra i 29-34 anni è senza lavoro, non studia e non segue una formazione professionale, abbiamo la sesta percentuale più alta di NEET (Neither in Employment, Education and Training) tra i paesi Ocse. Come per la maggior parte dei paesi dell’Ocse, per i giovani italiani la transizione dalla scuola al lavoro è stata difficile durante la recente crisi economica, specie per i giovani meno istruiti. Tra il 2008 e il 2011 nel nostro Paese, la disoccupazione tra i 25-34enni senza istruzione secondaria superiore è aumentata di 3,6%(in media, l’aumento per l’area dell’Ocse è stato di 4,5%) mentre per i diplomati della scuola secondaria è cresciuto del 2,9% (rispetto a un aumento di 3,1% in media nell’area dell’Ocse) e di 2,1% per i giovani con un livello d’istruzione terziaria.

Pochi obesi tra i laureati

Nei paesi Ocse nel 2010, la spesa sanitaria occupa circa il 9% del PIL, rispetto al 3,9% del 1961 anno in cui l'Ocse è stata fondata. Il rapporto 2013 mette in relazione l’impatto dell’istruzione sulla incidenza di obesità e fumo. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche, tende a essere più comune tra gli individui, soprattutto donne, che appartengono a gruppi socio-economici svantaggiati. 
In media nei 24 paesi Ocse presi in esame, circa il 19% degli adulti sono obesi. L'obesità è particolarmente elevata tra coloro che hanno un istruzione secondaria superiore (25%) e relativamente bassa tra i laureati (13%). Lo stesso andamento è riscontrabile per il fumo. In tutti i paesi dell'Ocse, tranne la Svezia, fumano di più gli uomini che le donne. Questo divario di genere è particolarmente grande in Cina, Indonesia, Giappone, Corea. Di tutti i 23 paesi Ocse esaminati con questo indicatore, il 30% degli adulti fuma regolarmente ogni giorno. L'incidenza del fumo è particolarmente elevata tra chi è in possesso di un istruzione secondaria superiore (37%) e bassa tra i laureati (21%). 


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