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Le prime tre lezioni da trarre dal rapporto ANVUR

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L’ANVUR, l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca, ha presentato oggi a Roma il rapporto finale sulla Valutazione della Qualità della Ricerca 2004-2010. Si è trattato di un esteso lavoro che ha riguardato l’attività di ricerca di 95 università, di 12 Enti Pubblici di Ricerca vigilati dal MIUR (il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) e di 26 enti cosiddetti “volontari”. Ciascuno di questi soggetti è stato valutato per le proprie attività di ricerca in 14 diverse aree disciplinari. Ciascuna area disciplinare è stata valutata da uno specifico GEV (Gruppo di Esperti della valutazione). In totale i 14 GEV hanno impegnati 450 persone e alcuni migliaia di valutatori. I criteri, abbastanza specifici per ciascuna area, sono stati svariati, bibliometrici e non. Ne è venuta fuori una griglia molto complessa che fotografa l’Italia della ricerca. Con quanta fedeltà dovrà essere oggetto di analisi. Insomma, la valutazione deve essere sottoposta a sua volta a valutazione. Ciò comporterà del tempo.

Ma è indubbio che da questa fotografia scattata dall’ANVUR occorrerà ripartire. È anche sulla base di questa massa enorme di dati, che bisognerà studiare in dettaglio, che occorrerà realizzare la politica della ricerca in Italia.

Intanto è possibile proporre alcune considerazioni, a grana grossa. La prima riguarda la presentazione del rapporto, realizzato – sottolinea l’ANVUR – con un mese di anticipo rispetto al previsto. È la prima volta che la ricerca italiana viene valutata in maniera analitica. È la prima volta che il merito trova un suo riconoscimento istituzionale. L’Agenzia, voluta dal ministro Fabio Mussi e insediata dal ministro Mariastella Gelmini ha svolto, dunque, il suo primo compito istitutivo. E lo ha svolto nei tempi previsti. Sull’utilità di una simile valutazione si discute e si continuerà a discutere. Ma intanto già l’aver posto il merito al centro della discussione e l’averlo valutato in concreto nei tempi previsti è un buon risultato.

La fotografia dell’ANVUR ci offre una realtà della ricerca italiana in parte molto frammentata, ma anche con grandi aree di omogeneità. C’è differenza nella qualità della ricerca valutata tra le diverse aree disciplinari. Che solo in parte concorda con quanto già è possibile dedurre da altre fonti internazionali. Le aree disciplinari migliori, infatti, risultano le scienze chimiche e le scienza fisiche, con al terzo posto l’ingegneria industriale e dell’informazione. Desta un po’ di sorpresa la non brillante performance dell’area matematica, che nelle classifiche internazionali è, invece, al top. Se ne può dedurre, in prima battuta, che tra i matematici italiani vi sono nuclei di assoluta eccellenza (che fanno scintille nelle classifiche internazionali) e insiemi piuttosto mediocri. La media, valutata dall’ANVUR, risulta poco brillante.

Ma la netta differenza di qualità misurata è tra le discipline scientifiche e quelle umanistiche. La qualità media della ricerca scientifica risulta alta, la qualità media della ricerca umanistica risulta bassa. Azzardiamo una spiegazione, non certo esaustiva. Chi fa ricerca in campo scientifico partecipa di una comunità internazionale ed è costretto a confrontarsi ogni giorno con il meglio che c’è al mondo. Non esiste in campo umanistico una comunità internazionale altrettanto omogenea. In queste discipline contano molto i fattori locali, che non inducono a un confronto serrato a scala planetaria. Si creano così comunità nazionali con una maggiore tendenza all’autoreferenzialità e, di conseguenza, a un certo scadimento della qualità. Il fenomeno trova riscontro anche in alcuni ambiti come la medicina, l’ingegneria civile e l’economia, che, pur essendo più vicini alla scienza, sono permeati da interessi locali (in questi due casi anche da forti interessi economici). Nelle valutazioni dell’ANVUR le tre discipline vantano performance decisamente poco brillanti.

Va detto anche, però, che per loro, come per le discipline umanistiche, la valutazione è molto più difficile. Per cui l’analisi comparata tra discipline scientifiche, quasi scientifiche e umanistiche va effettuata con prudenza. Se ci è concesso un piccolo suggerimento all’ANVUR: sarebbe bene anche il confronto internazionale tra aree culturali omogenee. Ovvero come i nostri scienziati, i nostri medici, i nostri ingegneri, i nostri economisti e i nostri umanisti si pongono rispetto ai loro colleghi in Europa e nel mondo.

L’altro dato evidente è quello, per così dire, geografico. Salvo rarissime eccezioni, in ogni settore disciplinare la migliore ricerca si effettua in luoghi ubicati al Nord e al Centro del paese. Il Sud è quasi sempre assente. Certo, non mancano le eccezioni: ma questo è il dato generale, peraltro largamente prevedibile. Un dato che spalanca a diverse domande, più schiettamente politiche: è interesse del paese superare questo gap? E se sì, come si può superare? Per ora le lasciamo aperte. E proponiamo un terzo ordine di considerazione. In quasi tutte le aree disciplinari non solo gli Enti di ricerca, ma anche le migliori tra le piccole e le medie università ottengono valutazioni di qualità superiore alle grandi università. Un dato che si offre ad almeno tre commenti.

Primo: valorizziamo gli Enti pubblici di ricerca e non ascoltiamo le sirene che vorrebbero ridurli a enti funzionali a servizio dello stato o dell’industria.

Secondo: non è vero che in Italia c’è un eccesso di università; che la qualità della ricerca italiana risente dell’eccesso di quantità delle università e che nelle piccole e nelle medie la qualità scade. Al contrario in alcune medie e in alcune piccole università la qualità è altissima.

Terzo: il dato comparativo fornisce una buona indicazione (un’indicazione su cui vale la pena discutere) per l’evoluzione desiderabile del sistema universitario: non riduzione delle università con chiusura delle piccole e qualche media; non separazione tra università di ricerca e università con compiti meramente didattici; ma specializzazione nella ricerca delle università. Le piccole e anche le medie ricerchino il top della qualità in poche aree disciplinari. Il tutto in una divisione dei compiti concordata a livello nazionale. Con un occhio nazionale. Perché l’altro occhio, sia chiaro, non può che essere internazionale.


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