fbpx Troppe stelle? Basta stelle! | Scienza in rete

Troppe stelle? Basta stelle!

Tempo di lettura: 3 mins

La scoperta non è di poco conto, tanto che Nature le riserva addirittura l'onore della prima pagina sul numero dello scorso 25 luglio. Il meccanismo scoperto, infatti, potrebbe spiegare come mai le galassie massicce che si osservano siano così poche. Ma andiamo con ordine.

La Galassia dello Scultore (nota tra gli astronomi come NGC 253 e talvolta chiamata familiarmente Silver Coin Galaxy per la sua forma che la fa assomigliare a una moneta vista quasi di taglio) è una delle galassie più brillanti della volta celeste, escluse ovviamente quelle che appartengono a quella cerchia di sistemi stellari più prossima alla Via Lattea nota come Gruppo Locale. Distante circa 11,5 milioni di anni luce, la Galassia dello Scultore è soprattutto nota agli astronomi perchè sede di intensa produzione stellare (starburst, in termini tecnici) e per questo tenuta costantemente sotto controllo. Non è dunque un caso che il team di Alberto Bolatto, astrofisico uruguaiano in forza all’Università del Maryland, abbia puntato verso quella galassia le potenti antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in caccia di nuove e dettagliate informazioni sulle regioni di intensa formazione stellare che la caratterizzano.

La qualità delle osservazioni ha permesso di scoprire la presenza di dense e fredde colonne di gas in allontanamento dalle zone centrali della galassia. “Per la prima volta - ha commentato Bolatto - abbiamo potuto osservare con chiarezza massicce concentrazioni di gas mentre vengono soffiate via dalla violenta espansione dei gusci di pressione innescati dalle giovani stelle”. Lo studio, pubblicato su Nature, è di particolare importanza perchè la valutazione delle quantità di gas coinvolte in questi super-venti stellari (circa dieci masse solari all'anno, ma potrebbero essere anche molte di più) fornirebbe la prova convincente che alcune galassie interessate da intensa produzione stellare si priverebbero in tal modo della materia prima indispensabile alla formazione di nuove generazioni di stelle. La galassia, insomma, finirebbe col mettere a repentaglio il suo stesso futuro. Mantenendo l'attuale ritmo di espulsione, infatti, si valuta che la Galassia dello Scultore possa restare senza risorse nel volgere di 60 milioni di anni, un tempo incredibilmente breve nella vita evolutiva di una galassia.

L'eccezionale ricchezza di dettagli consentita da ALMA - utilizzato ancora in una configurazione con 16 antenne, dunque solo un quarto della configurazione completa - ha permesso ai ricercatori di determinare che quelle grandi quantità di gas vengono espulse dalla galassia a velocità comprese tra 150 mila e quasi un milione di chilometri orari. Velocità senza dubbio estremamente elevate, che però potrebbero anche non bastare ad allontanare definitivamente il gas dalla galassia. Se così fosse, dopo molti milioni di anni, quel materiale intrappolato nell’alone che circonda la galassia potrebbe alla fine ricadere sul disco permettendo l'innesco di nuovi episodi di formazione stellare. In tal caso, il ruolo di quei super-venti sarebbe quello di diluire nel tempo la formazione di nuove stelle.

Ciò che è stato scoperto nella Galassia dello Scultore potrebbe aiutare a rispondere a una domanda chiave dell'astronomia contemporanea: quali sono i meccanismi che regolano la formazione stellare nelle galassie? Comprendere tali meccanismi permetterebbe di chiarire le modalita con cui le galassie evolvono. A quanto pare, i risultati appena pubblicati sono già in grado di offrire un indizio importante. Secondo alcune simulazioni al computer, infatti, le galassie più antiche dovrebbero avere molta più massa e molte più stelle di quanto noi realmente osserviamo. Ora, scoprire che una forsennata produzione stellare può impoverire di materiale una galassia e impedire successive generazioni di stelle potrebbe offrire una convincente spiegazione del fatto che, nelle loro osservazioni, gli astronomi si siano imbattuti in poche galassie di massa elevata.

Chiarimenti decisivi sono attesi quando si potrà impiegare ALMA nella sua configurazione completa. Solo allora, probabilmente, si potrà determinare qual è il vero destino del gas soffiato via dai venti stellari e stabilire se quel super-vento è il tassello di un gigantesco, complesso e lento riciclo di materiali oppure è un insormontabile ostacolo per le nuove generazioni di stelle.

Per approfondire:
Research paper


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP sei tu, economia

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo ed emergenti che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. Qualche decina di paesi, fra i quali le piccole isole, saranno inabitabili se non definitivamente sott’acqua se non si rimetteranno i limiti posti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè fermare il riscaldamento “ben sotto i 2°C, possibilmente. 1,5°C”, obiettivo possibile uscendo il più rapidamente possibile dalle fonti fossili.