SGR 0418+5729 è ciò che rimane dell'apocalittica esplosione che circa mezzo milione di anni fa ha dilaniato una stella di almeno una ventina di masse solari giunta ormai al termine del suo cammino evolutivo. Unico sopravvissuto di quell'immane cataclisma, consumatosi a 6500 anni luce dal nostro pianeta, un minuscolo e quasi insignificante oggetto celeste: una perfetta sfera di una decina di chilometri di raggio in cui la smisurata energia della supernova ha compattato una quantità di materia pari a una volta e mezza quella del Sole. Densità spaventosa - tre zollette di quel materiale peserebbero quanto una piccola montagna - simile a quella che caratterizza il nucleo atomico, il che spiega egregiamente come mai gli astrofisici abbiano coniato per tali oggetti il termine di stella di neutroni. Relitti cosmici dei quali, con un colpo di genio, alla fine degli anni Sessanta il nostro Franco Pacini aveva intuito nuove intriganti caratteristiche una volta che si fosse tenuto conto della loro folle rotazione e che, dopo la scoperta di Jocelyn Bell, si sono concretizzate in quei regolarissimi fari cosmici chiamati pulsar.
Ovviamente, le stelle di neutroni non sono fatte con lo stampino e per qualcuna si poteva azzardare che potesse stupire ancor di più gli astrofisici. L'idea venne nei primi anni Novanta a Robert Duncan e Christopher Thompson, che pubblicarono su The Astrophysical Journal il loro studio su questi esotici oggetti osservando che, in caso di particolari condizioni al momento della loro nascita, ci si poteva aspettare di veder emergere oggetti caratterizzati da un intensissimo campo magnetico. Talmente esagerato da indurli a coniare il termine di magnetar. L'esistenza di queste eccezionali calamite cosmiche poteva essere svelata dall'improvviso rilascio di un potente flusso di radiazione X e gamma, intense esplosioni di elevatissima energia dovute all'aggrovigliarsi delle linee di forza del campo magnetico e alla loro devastante azione sulle regioni superficiali della stella di neutroni. A seguito di sconvolgenti “stellamoti”, violentissime onde sismiche erano in grado di liberare enormi quantità di energia sotto forma di radiazione X e gamma.
Anche la stella di neutroni SGR 0418, individuata il 5 giugno 2009 grazie al satellite Fermi, venne classificata come magnetar proprio per il potente flusso di energia che periodicamente liberava e che svelavano la sua più profonda natura. Qualcosa, però, non convinceva del tutto. Passata al setaccio per quasi tre anni da un team di ricerca composto da numerosi astrofici italiani che per questo avevano utilizzato i satelliti Chandra e Swift della NASA e XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea, stranamente non dava alcun segno di voler rallentare la sua rotazione. Caratterstica piuttosto insolita, dato che quel lento rallentamento era ormai un fatto assodato per tutte le altre magnetar. La conclusione, pubblicata su The astrophysical Journal lo scorso giugno, era che ci si trovava in presenza di una magnetar dal campo magnetico non eccezionale, paragonabile a quello di una normalissima pulsar. Solo una magnetar un po' anomala, insomma, come magari ce ne sono a centinaia camuffate da semplici pulsar.
Così è sembrato fino allo scorso 14 agosto, quando la pubblicazione su Nature di un nuovo studio su SGR 0418 rimette tutto in discussione. Un team di ricerca italiano - primo autore Andrea Tiengo dello IUSS di Pavia e con la partecipazione, tra gli altri, di Giovanni Bignami, presidente INAF - annuncia infatti di essere riuscito a stabilire l'intensità del campo magnetico di quella magnetar così anomala. Un compito delicato, portato a termine misurando l’energia dei raggi X emessi dalla magnetar e rilevati dal telescopio spaziale XMM-Newton dell’ESA. Grazie all'analisi dell'energia della radiazione X, un dato dal quale si può risalire all’intensità del campo magnetico, Tiengo e collaboratori hanno potuto identificare una piccola regione superficiale della magnetar caratterizzata da un campo magnetico la cui intensità poteva raggiungere il milione di miliardi di Gauss. Un valore da record assoluto, un autentico primato che difficilmente potrà essere insidiato. Giusto per dare un'idea dell'incredibile intensità rilevata, ricordiamo che il campo magnetico terrestre è, mediamente, dell'ordine di mezzo Gauss.
Tutto d'un tratto, insomma, SGR 0418 è stata catapultata dall'oscuro ruolo di magnetar “di serie B” a quello davvero altisonante di calamita più potente mai osservata finora nell'intero Universo.
Per approfondire :
ESA
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