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In fuga verso la città

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Siamo sulla Terra più di 6,5 miliardi di persone e la crescita demografica, per quanto rallentata, continua. Soprattutto nei Paesi poveri e (meno) in quelli in via di sviluppo.

Poco più della metà di questa popolazione terrestre vive in città. Cioè si è andata inurbando e lo ha fatto con particolare celerità da quando è scoppiata la rivoluzione industriale. Allora la popolazione terrestre si avviava a raggiungere il primo miliardo di unità residenti in grandissima maggioranza in insediamenti rurali; oggi la situazione è profondamente cambiata.

Quali scenari sono ipotizzabili per questo secolo? Dal punto di vista della crescita demografica le previsioni sono più difficili e rischiano di essere azzardate quando vengono proiettate nel medio-lungo periodo. Tuttavia è verosimile che la crescita tenda dovunque a rallentare e che la popolazione raggiunga la stazionarietà, stabilizzandosi intorno a 10-11miliardi di persone per la fine del secolo. Dove tenderanno a vivere? Qui la risposta mi sembra più semplice e la previsione meno azzardata: tenderanno a vivere prevalentemente in città ed è verosimile che a fine secolo circa il 70% della popolazione sia inurbata. Il che significa che è possibile che per quella data vivrà in città l’equivalente della attuale popolazione terrestre.

C’è motivo di preoccupazione in questa previsione? Sì se la tendenza sarà lasciata libera di manifestarsi senza alcun controllo. No se la tendenza sarà correttamente gestita.

Per controllo non intendo interventi contrastanti la tendenza all’inurbamento che considero assolutamente irreversibile, bensì interventi di politica della città capaci di gestire il fenomeno riducendo e abbattendo il potenziale impatto negativo sull’ambiente planetario.

La città oggi, nei paesi ricchi come in quelli in via di sviluppo, è, in gran parte dei casi, una fabbrica di inquinamento, soprattutto atmosferico. Un inquinamento transfrontaliero che prodotto in un luogo può far danno a tutto il pianeta, con particolare riguardo alle emissioni di gas serrapossibile causa dei temuti mutamenti climatici.

In più la città è un elemento parassitario che riceve dall’esterno energia (soprattutto idrocarburi) e materia (merci e cibo) per la vita quotidiana della sua popolazione. Questa metabolizza tali risorse e le trasferisce all’esterno sotto forma di rifiuti ed emissioni inquinanti.

Stando così le cose è evidente perché sono giustificati i motivi di preoccupazione legati alla incontrollata crescita urbana. Ma, dicevo, la preoccupazione è giustificata solo in presenza di una anarchica prosecuzione della tendenza. Certo la sostanziale inutilità delle grandi conferenze organizzate dalle Nazioni Unite da Stoccolma 1972 a Copenaghen 2009 non lascia ben sperare. Ma l’intensificarsi degli eventi estremi legati al mutamento climatico in atto potrebbe, finalmente, far passare all’azione anche i governi più restii a riconoscere questa situazione e ad affrontarla con interventi concreti per attenuarne e via via eliminarne gli effetti negativi.  Poiché tutto ha origine nei grandi agglomerati urbani è evidentemente  che qui saranno concentrati gli interventi. Nell’abbattimento delle emissioni industriali e nella produzione di energia, certamente, ma ancor più direttamente nelle vere e proprie politiche della città in termini di politica dei trasporti, produzione di rifiuti, climatizzazione artificiale degli ambienti.

In questo modo non solo si darà (darebbe?) un fondamentale contributo alla riduzione di gas serra in atmosfera, ma si getteranno concretamente le basi per quella salutare riconversione ecologica di economia e società che potrà durevolmente garantire una migliore qualità di vita alle generazioni future.


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Crediti: Foto di Katie Rainbow/Unsplash

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