All’inizio del 2020 le temperature nell’Antartico hanno superato per la prima volta i 20°C e questa non è in alcun modo una buona notizia. Uno studio pubblicato su Nature stima che, restando sotto i 2°C di aumento della temperatura globale media per fine secolo, avremmo almeno circa 1.3 metri di mare in più. Se dovessimo superare i 2°C, si arriverebbe anche a 2.4 metri (per ogni grado in più).
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Un cubetto di ghiaccio in un bicchiere d’acqua, se fonde, non contribuisce a far innalzare il livello del liquido. Questo è facilmente verificabile applicando le note leggi di Archimede. Allo stesso modo, non è il ghiaccio galleggiante, come gli iceberg, che determina l’aumento del livello del mare, ma, come sappiamo, i ghiacci continentali. L’Antartide ha un’estensione di circa 14 milioni di km2, un volume di quasi 27 milioni di km3 e detiene più della metà delle risorse di acqua dolce della Terra. La calotta antartica, con spessore massimo di quasi 5 km, ricopre una superficie terrestre simile a quella che occupa il Nord America e, pertanto, risulta essere la più grande minaccia per l’aumento del livello marino.
Julius Garbe, Torsten Albrecht, Anders Levermann, Jonathan F. Donges e Ricarda Winkelmann hanno pubblicato su Nature il loro studio “The hysteresis of the Antarctic Ice Sheet” che cerca di individuare dei punti di non ritorno per il ghiaccio antartico. Si parla di punti di non ritorno, perché, come gran parte dei fenomeni legati alla crisi climatica in atto, la Terra è un sistema complesso e risponde a molteplici feedback dagli effetti non lineari. In particolare, se si dovesse superare una certa soglia di temperatura, non basterebbe tornare indietro per dare modo al ghiaccio di riformarsi, ma servirebbe scendere sotto i livelli di temperatura preindustriali.
Il ghiaccio dell'Antartide: lo studio
Lo studio si concentra sui vari meccanismi di feedback possibili considerando solo il ghiaccio. Tuttavia, come sottolineano i ricercatori, sarebbe possibile prendere in esame i vari feedback tra ghiaccio, atmosfera, oceano e terra per avere un quadro più completo della situazione; uno su tutti, l’effetto albedo, per cui il bianco del ghiaccio respinge gran parte della luce solare che non può quindi essere assorbita e trasformata in calore dalla Terra.
L’Accordo di Parigi chiede di restare ben al di sotto di 2°C di aumento, l’IPCC, nel 2018, ha premuto perché l’aumento sia di 1.5°C, ma adesso siamo diretti verso i 3.2°C globalmente (secondo l’UNEP). Lo studio ha individuato una serie di soglie di temperatura oltre le quali la perdita di ghiaccio diventa irreversibile.
Sotto 2°C il collasso del ghiaccio antartico comporterebbe 1.3 metri per grado di aumento. In particolare,
il declino della calotta di ghiaccio si verifica in diverse fasi di disgiunzione: inizialmente, sotto 1 °C di riscaldamento, il volume di ghiaccio nella simulazione quasi statica in realtà aumenta leggermente a causa dell'effetto di un'ulteriore nevicata […]. L'influenza dell'aumento delle nevicate è, tuttavia, minore rispetto alle perdite di massa complessive dell'Antartide in risposta alle temperature più calde.
«A livelli di riscaldamento tra 1 °C e 2.5 °C, le linee di terra nell'Antartide occidentale iniziano a ritirarsi fortemente» e, fino ai 6°C, per ogni grado di riscaldamento si avrebbero 2.4 metri di mare in più. Sopra i 6°C fino ai 9°C i modelli usati dai ricercatori restituiscono una perdita di oltre il 70% del volume di ghiaccio attuale, provocando un innalzamento del mare fino a 10 metri. Infine, in uno scenario piuttosto inverosimile di +10°C, «l’Antartide è destinata a diventare praticamente priva di ghiaccio».
La calotta antartica esiste da circa 34 milioni di anni, formatasi nel Cenozoico – tra Eocene e Oligocene, quando la temperatura era intorno ai 7°C più calda dei livelli preindustriali – e rimasta pressocché nella forma attuale.
Oltre a questi risultati, lo studio evidenzia come, nel caso si riuscisse a ristabilire una temperatura da livelli preindustriali, non sarebbe sufficiente per ricostituire il ghiaccio perduto. Il fenomeno segue un comportamento di isteresi – analogo alla magnetizzazione più o meno permanente di vari materiali metallici da parte di magneti – per cui servirebbe abbassare sotto i livelli preindustriali le temperature di almeno 1°C.
Rispettare l’Accordo di Parigi
Come ha riferito al Guardian Jonathan Bamber, che insegna glaciologia all’Università di Bristol:
Questo studio fornisce prove convincenti che anche un riscaldamento climatico moderato ha conseguenze incredibilmente gravi per l'umanità, e queste conseguenze crescono in modo esponenziale con l'aumento della temperatura. L'impegnativo innalzamento del livello del mare dall'Antartide, anche a 2°C, rappresenta una minaccia esistenziale per interi Stati nazionali.
Se l’Accordo di Parigi e le raccomandazioni dell’IPCC non venissero rispettate, «il contributo a lungo termine dell'Antartide al livello del mare aumenterà drasticamente e supererà quello di tutte le altre fonti», si legge nello studio di Garbe.
Il livello del mare non aumenta uniformemente in tutto il mondo; si pensi, per esempio, all’effetto conca dell’alto Adriatico nelle alluvioni crescenti a Venezia, oppure alla sommersione totale o prossima di varie isolette di arcipelaghi nel Pacifico come Tuvalu, Kiribati e altre. La scienza, da decenni, non fa altro che confermare i trend di peggioramento relativi al surriscaldamento globale, che ovviamente vanno anche oltre l'aumento del livello del mare. Dalle migrazioni di massa (oltre 140 milioni per il 2050 secondo la World Bank) ai fenomeni meteorologici estremi, dalla siccità agli effetti sulla salute.
Nel 2021 si terrà la COP26, posticipata di un anno causa Covid-19, nel Regno Unito con eventi preparatori in Italia; durante la conferenza si dovranno aggiornare gli obiettivi nazionali di politiche climatiche (gli NDCs). Sarebbe auspicabile arrivare con un Piano Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici aggiornato e con obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 almeno del 55% nel PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), come auspicato dalla Commissione e dal Parlamento Europei.
La Cina, nel silenzio generale, ha recentemente annunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di voler arrivare alla neutralità climatica entro il 2060. Un annuncio che – con tutte le dovute cautele del caso e nonostante prefigga una data dieci anni dopo dell’obiettivo IPCC – potrebbe spingere alcuni paesi in via di sviluppo ad agire; seppur in una transizione che deve essere guidata (sia tecnologicamente che economicamente) dai paesi ricchi.
Insieme a Europa e Cina, l’altro grande attore globale sono gli Stati Uniti. C’è poco da dire, visto che ormai anche Scientific American ha apertamente preso posizione: è vitale per il futuro dell’intero pianeta che alle elezioni americane del prossimo 4 novembre vinca il candidato democratico, Joe Biden.