fbpx Conoscere per deliberare. Anche online | Scienza in rete

Conoscere per deliberare. Anche online

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Che cosa c’entra l’attuale dibattito sulla sorte del Senato italiano con la democrazia partecipativa e le pratiche deliberative, di cui sempre più si sente parlare? C’entra, se è vero che qualcuno - guarda caso ricercatori e giornalisti delle pagine culturali di importanti quotidiani - hanno contrapposto al Senato delle regioni (o dei comuni) un “Senato della conoscenza”.
Ad alcuni questa proposta sarà parsa élitista e - in qualche modo - addirittura antidemocratica. Si può deliberare in base al merito e alla competenze, prima ancora che in base all’investitura popolare? O al fatto stesso di esistere, e di farsi rumorosamente sentire sulla rete? Domanda difficile, a cui si potrebbe rispondere con il titolo di un famoso saggio di Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”.
La democrazia senza conoscenza, senza le competenze che Socrate interpellava nella piazza di Atene già duemilacinquecento anni fa, è piena democrazia? Nella formula di Einaudi vi è già tutto, se interpretato bene.
Ed è proprio una retta interpretazione della deliberazione che può arginare il populismo delle emozioni che recentemente ha fatto strame di qualsiasi corretta argomentazione nei casi Stamina, così come negli attacchi ciechi e violenti contro l’uso di animali modello.

Pesare e valutare

Deliberare su solide basi di conoscenza, insomma, è vitale, per la scienza come per la politica? Ma cosa vuol dire “deliberare”? L’etimo ci fa capire, in realtà, che la conoscenza è già inclusa nella deliberazione; deliberare: mettere in libertà, specie nel caso della scelta; ma anche de-libra: togliere dalla “libra”, dalla bilancia dopo avere conosciuto il peso. Da qui librare che indica, per estensione, il giudicare dopo averci pensato. Subito capiamo che il deliberare è il processo che porta a scegliere in base ad argomenti che pesano la bontà delle varie possibilità. Non stiamo parlando solo di teoria. Già da tempo vi sono interessante esempi di deliberazioni democratiche.
Per esempio nel campo delle politiche sanitarie: lo Stato dell’Oregon nel 1990 organizzò una consultazione pubblica con più di mille persone (divise in 47 gruppi) per decidere quali cure potevano essere comprese nel programma assicurativo pubblico federale (Medicaid).
Qualche anno dopo in Gran Bretagna l’HFEA (la Human Fertilisation and Embryology Authority) allestì un commesso processo deliberativo per rispondere alla richiesta di produrre linee cellulari staminali da embrioni ottenuti trasferendo il nucleo di cellule somatiche umane in oociti non-umani (mucche) privati del proprio nucleo; creando così quelli che furono chiamati ibridi citoplasmatici (cibridi).
Intendiamoci: la logica non è quella semplice e brutale dei referendum, a cui anche noi italiani più volte abbiamo fatto ricorso. E’ piuttosto un processo di consultazione a più fasi dove si cerca di bilanciare le preferenze morali delle persone e la conoscenza specifica delle tecniche in questione. Quella britannica del 2006 prevedeva (i) una consultazione diretta e non strettamente regolamentata, della popolazione, (ii) un son-daggio d’opinione a campione e (iii) l’organizzazione di workshop consultivi i cui partecipanti venivano prima informati sulla scienza in questione e sulle problematiche etiche e legali. Il risultato di questa complessa consultazione pubblica fu che l’HFEA riconobbe una generale opposizione della ricerca a meno che sotto una stretta e continua supervisione. Cosa che non le impedì di concedere le due licenze richieste.
Anche in Italia qualcosa del genere è stato tentato con le “giurie dei cittadini” su temi del test per i portatori sani di fibrosi cistica o l'indicazione al test della prostata (vedi partecipasalute.it) e, con minore successo, anche su temi ambientali: dalla localizzazione degli inceneritori ad altri esperimenti di deliberazione su infrastrutture e rischi ambientali (per un rassegna leggi qui).

Servono tre competenze

Da tutte queste esperienze emerge che la deliberazione è un processo di decision-making che inizia con cittadini con le opinioni più disparate ma che, attraverso un metodo basato sulla esposizione a conoscenze e argomenti razionali, cercano di arrivare a una soluzione condivisa.
Ma questo comporta che il cittadino (o il politico) che voglia parteciparvi debba “fare la fatica”. Se vorrà deliberare sulla plausibilità etica della produzione di energia nucleare, o dell’uso di terapie cellulari, o dell’uso di animali modello, dovrà saperne abbastanza da poterne parlare senza dire sciocchezze. E così può capitare di cambiare idea, cioè di superare posizioni preconcette.
Cosa serve alla buona deliberazione? Tre aspetti: (i) si dovrebbe avere la sufficiente competenza scientifica; (ii) si dovrebbe avere la sufficiente competenza etica (l’etica ammette un suo sapere specifico e molte volte sono socialmente più dannose le scioc-chezze etiche che non le sciocchezze scientifiche); (iii) si dovrebbe avere la sufficiente competenza argomentativa, ossia la capacità di riconoscere argomenti razionali e fallaci. Tutto ciò non è astrazione, come visto; anzi dovrebbe essere pratica quotidiana per un cittadino che vuole essere tale.
E forse un Senato non elettivo ma specializzato nell’istruire questi processi di documentazione e deliberazione sui molti temi controversi della politica, dell’economia e della morale, potrebbe davvero rappresentare un potenziamento, non una diminuzione, della vita democratica del nostro paese.

Un nuovo progetto

Anche il web può rappresentare una risorsa importante per le deliberazioni pubbliche.
E’ l’esperimento che stanno tentando ad esempio in queste settimane il gruppo di Biomedical Humanities del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dello IEO (Giovanni Boniolo e Giuseppe Schiavone), la Genome Function Unit dell’Ospedale San Raffaele (Elia Stupka) e il Laboratorio di Informatica Civica dell’Università di Milano (Fiorella De Cindio), che su Scienzainrete lanceranno una piattaforma di consultazione online intorno a temi scientifici (specie biomedici) dove i tre aspetti conoscitivi prima ricordati saranno centrali.
Appuntamento allora a mercoledì 26 marzo (Acquario di Milano, 17:30-19:30) dove il progetto verrà per la prima volta presentato e discusso.

Una versione di questo articolo di Giovanni Boniolo è stata pubblicata su Tutto Scienze de La Stampa

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.