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Di cosa parliamo quando parliamo di agricoltura rigenerativa

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L'agricoltura rigenerativa è un approccio emergente ma molto promettente per il nostro sistema agroalimentare, che appare ormai insostenibile sotto diversi aspetti: ne ripercorriamo le caratteristiche principali.

Crediti immagine: Peter Kleinau/Unsplash

I recenti episodi di contestazione da parte degli agricoltori mettono in evidenza come ormai il sistema agroalimentare, così come è stato progettato dai fautori della cosiddetta rivoluzione verde del secolo scorso, sia oggi insostenibile per gli aspetti ecologici, economici e sociali e – perché no ? - etici.

In questa situazione di disagio generale, le proposte che si pongono l’obiettivo di elaborare un modello diverso di produzione e consumo si moltiplicano. Alcune provengono dalla comunità scientifica, altre dalle aziende agricole stesse o da centri di innovazione che sviluppano ricerche partecipate che coinvolgono diversi componenti delle filiere agroalimentari. Tutte queste esperienze, di diversa natura e potenzialità, stanno sperimentando e applicando nuovi principi e pratiche, sviluppando proprie tecnologie. Chi non è del settore non sempre riesce a orientarsi e seguire il dibattito interno.

Tra le molte “agricolture del cambiamento” l’agricoltura rigenerativa (AR) appare promettente perché propone non solo di cambiare alcune parti del sistema, ma di elaborare e applicare nuovi principi e pratiche al fine di dare nuova vita, rigenerare gli agroecosistemi degradati, restituendo loro la capacità di produrre diffusamente alimenti sani e ricchi di elementi nutritivi. Vediamo quali sono le sue caratteristiche. 

Gli esordi dell'agricoltura rigenerativa

I ricercatori Gabel e Ho-Ping utilizzarono per primi l’espressione "agricoltura rigenerativa" nel lontano 1979, per indicare una svolta del sistema agro-alimentare all’interno dello scenario internazionale. Negli stessi anni il termine fu utilizzato anche da Robert Rodale, figlio del fondatore del Rodale Institute, dove si erano avviate sperimentazioni per valutare in pratica i principali caratteri e i risultati dell’agricoltura biologica rigenerativa. Si rivoluzionava il sistema allora predominante attraverso alcuni forti cambiamenti: era adottato un approccio olistico per superare un riduzionismo considerato controproducente e per integrare gli aspetti di miglioramento ambientale e sociale, escludendo l'uso di fertilizzanti e fitosanitari di sintesi (vedi i sette principi dell’agricoltura rigenerativa). In seguito, Rodale e molti altri scienziati utilizzarono il termine "rigenerativo" per indicare qualcosa che potesse andare oltre al concetto di sostenibile.

Questa prima fase pionieristica, seguita da un periodo di interesse non particolarmente acceso, è comunque stata un trampolino di lancio per il forte risveglio avvenuto con il nuovo secolo.

Le tante definizioni

La più recente fioritura di pubblicazioni scientifiche che riportano l’attenzione sull’agricoltura rigenerativa s'inserisce all’interno del dibattito sulla sostenibilità in generale e sulle forme di agricoltura sostenibile, alternative all’agricoltura convenzionale di stampo industriale. Il numero di articoli di ricerca che utilizzano il termine "agricoltura rigenerativa" è aumentato esponenzialmente nell’ultimo decennio e ciò ha determinato un forte incremento di definizioni non sempre concordanti. Alcuni autori la descrivono sulla base dell’approccio sistemico basato su principi e pratiche necessarie per ripristinare le risorse e aiutare gli agricoltori a gestire la complessità; Ravenscroft, professore all'International Agriculture University, la definisce «una forma di impresa che coinvolge una comunità di persone impegnate nel lavoro collettivo di produzione e fruizione del cibo, di coltivazione della terra, di cura del paesaggio e di spazi di ricreazione». Secondo Malik e Verma, l'agricoltura rigenerativa è un insieme di tecniche modificate che si evolve nel tempo che prevede l'uso di metodi di agricoltura biologica. Altri autori la descrivono attraverso l’insieme dei principi su cui si basa: (i) l'abbandono della lavorazione del terreno; (ii) la riduzione degli eventi spazio-temporali di suolo nudo; (iii) il miglioramento della fertilità del suolo; (iv) la diversificazione dei sistemi colturali con l'integrazione del bestiame; (v) l'aumento della biodiversità; (vi) l'aumento del sequestro del carbonio; e (vii) la riduzione o l'eliminazione dei prodotti chimici di sintesi. Alcuni ricercatori sostengono che l'agricoltura rigenerativa , grazie a un nuovo approccio, ha la capacità di auto-rinnovamento e di resilienza, contribuisce alla salute del suolo, aumentando l’immagazzinamento idrico, migliorando e conservando la biodiversità e sequestrando il carbonio. Anche Schreefel e colleghi sottolineano il carattere di nuovo approccio dell'agricoltura rigenerativa che utilizza la conservazione del suolo come punto di partenza per rigenerare e contribuire a molteplici servizi ecosistemici.

L'agricoltura rigenerativa è un «approccio olistico ai sistemi agricoli che incoraggia l'innovazione continua per il benessere ambientale, sociale, economico e spirituale». Il ricercatore Christopher Rhodes la propone come sistema alternativo per la produzione di cibo con impatto ambientale e/o sociale ridotto o addirittura positivo: «L'agricoltura rigenerativa ha al centro l'intenzione di migliorare la salute del suolo o di ripristinare il suolo altamente degradato, che migliora simbioticamente la qualità dell'acqua, della vegetazione e della produttività del terreno; un progetto olistico a lungo termine che cerca di coltivare la maggior quantità di cibo utilizzando il minor numero possibile di risorse in modo da rivitalizzare il suolo anziché impoverirlo, offrendo al contempo una soluzione per il sequestro del carbonio». Secondo Rhodes, l'obiettivo generale è quello di sfruttare i processi naturali, anche attraverso le seguenti azioni:

  • Catturare il carbonio nel suolo attraverso la fotosintesi di piante ad alta produzione di biomassa
  • Migliorare le interazioni simbiotiche suolo-microbiota-pianta
  • Utilizzare i sistemi biologici per migliorare la struttura del suolo e la ritenzione idrica
  • Includere il bestiame, con un impatto positivo previsto sui servizi ecosistemici

All’interno del Drawdown Project del 2017, presentato sulla rivista Science come il piano più completo mai proposto per invertire il riscaldamento globale, si utilizza il termine agricoltura rigenerativa per riferirsi a sistemi di coltivazione che includono almeno quattro di sei pratiche sostenibili senza che il sistema sia necessariamente biologico. Il rapporto speciale Climate Change and Land dell’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) indica l'agricoltura rigenerativa come una «pratica di gestione sostenibile del territorio» incentrata sulle funzioni ecologiche che «può essere efficace nel costruire la resilienza degli agro-ecosistemi». Sherwood e Uphoff propongono di definire l'agricoltura rigenerativa come sistema costruito su principi biologici che cerca di migliorare sia la produttività che la gestione ambientale, al contrario dei i sistemi che riducono la fertilità del suolo, l'immagazzinamento del carbonio e la biodiversità, da considerare in termini di agricoltura degenerativa. L'agricoltura rigenerativa è «un sistema di principi e pratiche agricole che aumenta la biodiversità, arricchisce i terreni, migliora i bacini idrici e migliora i servizi ecosistemici»; Giller e colleghi (2021) la definiscono come un approccio che mira a combinare agroecologia e intensificazione sostenibile per far fronte al degrado del territorio.

L'agricoltura rigenerativa nel concreto

Di seguito alcuni esempi concreti delle tecniche agronomiche considerate dall’agricoltura rigenerativa: minima lavorazione, vale a dire ridurre le lavorazioni del terreno fino alla semina diretta sul terreno sodo; ampie rotazioni e ricche consociazioni; colture di copertura, vale a dire piante coltivate da inserire tra una coltura principale e l’altra per non lasciare nudo il terreno; biostimolanti, anche di autoproduzione aziendale; allevamento estensivo con pascolo rotazionale; forte riduzione di prodotti di sintesi.

Tutto ciò per raggiungere gli obiettivi di miglioramento della salute del terreno, di miglioramento della qualità degli alimenti prodotti, di mantenimento del reddito aziendale, di riduzione degli impatti sulle risorse a partire dalla emissione dei gas serra. Tutte queste pratiche sono espressione concreta di alcuni chiari principi di base: riduzione al minimo del disturbo arrecato al terreno coltivato; cura sistematica di quest’ultimo da mantenere sempre coperto con vegetazione di vario tipo; cura della fertilità del terreno e della vita della rizosfera; aumento dell’agrobiodiverstità e della biodiversità in genere; integrazione della coltivazione con l’allevamento e ottimizzare dei loro rapporti nel tempo e nello spazio. Hargreaves-Mendez e colleghi sottolineano, infatti, l’importanza di includere il benessere animale nelle analisi che riguardano l’agricoltura rigenerativa. In quanto iniziativa più che sostenibile ed emergente, questa forma di agricoltura dovrebbe colmare questa lacuna e rendere espliciti i suoi impatti sul benessere degli animali, mostrando prove dei potenziali risultati positivi in termini di benessere animale, umano e ambientale. Senza queste prove, un sistema non dovrebbe essere considerato rigenerativo.

Khangura e colleghi la definiscono in termini di strategia agricola che utilizza i processi naturali per aumentare l'attività biologica, migliorare la salute del suolo, migliorare il ciclo dei nutrienti, ripristinare la funzione del paesaggio e produrre cibo e fibre, preservando o aumentando la redditività dell'azienda.

Le diverse rassegne bibliografiche recentemente pubblicate sul tema sottolineano la persistente mancanza di una visione organica e completa che possa aiutare a definire in modo chiaro l’agricoltura rigenerativa. Soloviev osserva che queste differenze sono il prodotto delle diverse origini e tradizioni culturali: una definizione può evolvere nel tempo e può variare tra i gruppi di persone. Ciò non contraddice la necessità di riconoscere l'importanza di usare le parole in modo preciso e non ambiguo per un determinato contesto ed evitare strumentalizzazioni.

Le classificazioni

Alcuni studiosi hanno tentato di collocare tutte queste diverse definizioni all’interno di uno schema di tipologie che possa aiutare a capire meglio. Sono state riconosciute tre tipologie di definizione:

  • definizioni basate sul processo, a partire dall’inclusione o esclusione di uno o più principi e/o pratiche agricole come, per esempio, l'integrazione di colture e allevamenti, l'uso di minima lavorazione o semina su sodo, l'uso di colture di copertura, che definirebbero, nel loro insieme, quali tipi di agricoltura possono essere considerati rigenerativi
  • definizioni basate sui risultati, concentrate su uno o più esiti ottenuti con i processi come ad esempio il sequestro di carbonio, i cambiamenti nella salute del suolo, i cambiamenti nella biodiversità
  • definizioni ibride, basate sui processi e sui risultati

Le recenti rassegne bibliografiche evidenziano, quindi, un'ampia eterogeneità nel modo in cui viene definita l'agricoltura rigenerativa, con varie combinazioni di principi, pratiche e/o risultati interpretati come rigenerativi. Rimane la difficoltà di classificazione, anche perché alcuni autori riconoscono definizioni contrastanti.

Le organizzazioni internazionali

Diverse sono le associazioni e le organizzazioni internazionali che concentrano la propria attività sull'agricoltura rigenerativa, come per esempio la Regenerative Organic Alliance, alleanza fra agricoltori, aziende ed esperti, che ha istituito un programma di certificazione per l'agricoltura rigenerativa; la Regeneration International, che lavora «per promuovere, facilitare e accelerare la transizione globale verso un'alimentazione, un'agricoltura e una gestione del territorio rigenerative»; e il Savory Institute, che opera per diffondere la conoscenza e promuovere l'adozione di sistemi di produzione che incorporano l'agricoltura rigenerativa nelle praterie.

Alcune riflessioni tratte dalla bibliografia internazionale

La Canne e Lundgren sostengono che l'agricoltura rigenerativa occupi una posizione intermedia fra i movimenti agricoli più vicini agli agricoltori o ai consumatori (agroecologia e sovranità alimentare) e le alternative che propongono innovazioni dell’attuale sistema più favorevoli all'industria. Alle sue origini, quindi, l'agricoltura rigenerativa era più allineata con le priorità e i valori multidimensionali dell'agroecologia. Alcune definizioni del termine hanno mantenuto le basi socio-economiche presenti agli esordi, mentre altre le hanno abbandonate per abbracciare una logica più ristretta dal punto di vista ecologico o economico.

Emerge quindi in bibliografia una separazione tra le definizioni di agricoltura rigenerativa originate da visione più olistica, descritta da Daverkosen e Holzknecht come il «movimento agroecologico-ruralista che persegue una ristrutturazione fondamentale dei sistemi alimentari», rispetto alle definizioni riferibili ad una visione più specialistica, basata sulla pratica, rappresentata da un «movimento tecno-economico, che aspira ad aumentare la produzione». Tittonel e colleghi descrivono diverse tipologie di agricoltura rigenerativa e sottolineano il fatto che queste spesso trascurano le dimensioni politiche e sociali della sostenibilità.

Viene quindi osservato da diversi ricercatori che, se da un lato è meritorio rivolgersi ai tanti e diversi attori presenti all'interno del sistema agroalimentare, dall'altro questa intrinseca variabilità di obiettivi e procedure espone il termine “agricoltura rigenerativa" a essere utilizzato in modo strumentale a fini economici puramente di mercato. Quanto meno si definiscono i caratteri dell’agricoltura rigenerativa, quanto più appare maggiormente esposta ai tentativi di greenwashing, con un crescente rischio di depotenziamento del contenuto di trasformazione globale e sistemica proposto alle sue origini.

 


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